martedì 30 maggio 2017

29 maggio - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 29/05/17



Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
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INDICE
NESSUN LAVORATORE E’ SOLO: DA BRESCIA UN ESEMPIO DI ORGANIZZAZIONE OPERAIA
USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
COMUNICATO STAMPA: LETTERA APERTA ALLA COMMISSIONE SANITA’
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
MORETTI: LIQUIDATO E... RISARCITO!
9 MILIONI DI BUONUSCITA A MORETTI SONO UN INSULTO

La Città Futura noreply@lacittafutura.it
PER UNA CORRETTA DEFINIZIONE DI CLASSE
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
CI DISPIACE PER VOI, MA LA CLASSE OPERAIA ESISTE
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
UNIDICI AGRICOLTORI MORTI SCHIACCIATI
LA GIUNGLA DEI CORSI SICUREZZA: NUOVA DENUNCIA
SERVIZIO DEL TG3 SU RICCARDO ANTONINI
Posta Resistenze posta@resistenze.org
LA CLASSE OPERAIA NON E’ SCOMPARSA, MANCA LA COSCIENZA
Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
INIZIATIVA SU LICENZIAMENTO DI RICCARDO, "BUONUSCITA" A MORETTI, IN SICUREZZA IN FERROVIA LA GIORNATA DEL 29 GIUGNO
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From: PCARC News pcarc_news@riseup.net
To:
Sent: Tuesday, May 16, 2017 3:58 PM
Subject: NESSUN LAVORATORE E’ SOLO: DA BRESCIA UN ESEMPIO DI ORGANIZZAZIONE OPERAIA
Per il clima di repressione e intimidazione che si vive nella fabbrica di Brescia (un centinaio di dipendenti, soprattutto donne) dove lavorano queste operaie, pubblichiamo l’intervista in forma anonima. A qualcuno sembrerà un eccesso di “paranoia”, ma si moltiplicano i casi di provvedimenti disciplinari (anche licenziamenti) per ciò che un lavoratore scrive su Facebook o comunque comunica all’esterno dell’azienda e per quello che fa sul posto di lavoro, anche se è nel suo pieno diritto. Pertanto, che sembri eccessivo o meno, anche questa precauzione è esemplificativa di una situazione come probabilmente, anzi sicuramente, ce ne sono tante altre, nascoste dietro i cancelli e i muri delle fabbriche, degli uffici, dei supermercati. Fra i compiti dei comunisti c’è anche quello di “scovarle”, conoscerle e imparare a leggervi i germi del nuovo che nasce sulle rovine del vecchio e sostenerli. Quello che segue è un esempio utile a tanti, ma in particolare a chi vuole darsi da fare e iniziare, dal suo “piccolo”, a organizzare la riscossa che parte dalle aziende e investirà tutto il paese.
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SIETE TUTTE DONNE, COME E PERCHE’ SI E’ FORMATO IL VOSTRO GRUPPO?
Tutto è partito da una provocazione da parte di un “capetto” che ci prendeva di mira perché eravamo attive sindacalmente come RSU e come semplici iscritte. L’intento era di isolarci per il nostro essere ribelli e, in una certa misura, politicizzate. Da un fatto specifico e particolare, una provocazione appunto, abbiamo tratto la spinta per fare un passo avanti contro il regime che vige in fabbrica. Diciamo che abbiamo capito persino meglio che avevamo un interesse comune molto concreto, che poi non è chissà che, ma semplicemente il lavorare in sicurezza, avere i propri diritti, cose di questo genere… quindi ci siamo unite ancora di più e così è nato il gruppo.
QUALI SONO LE DIFFICOLTA’ CHE AVETE INCONTRATO NELLA VOSTRA ATTIVITA’?
Alcune di noi erano RSU, ma siamo state obbligate a dimetterci perché la direzione ci ha mobilitato contro la maggior parte degli operai, utilizzando intimidazioni e calunnie, tipo che la crisi dell’azienda era colpa nostra, che creavamo situazioni che mettevano a rischio il futuro dell’azienda, ecc. Il sindacato ci ha consigliato di rinunciare alla carica per evitare ritorsioni peggiori, anche se noi avremmo voluto continuare. E’ stata un po’ una ritirata. Da noi vige una specie di regime: manca qualsiasi tipo di libertà, che sia esprimere opinioni o leggere un’informativa. Anche durante le assemblee sindacali era impossibile avere un confronto libero, perché erano presenti alcuni capi che facevano azioni di disturbo e plateali intimidazioni. Questo ha portato molti a non partecipare più. Agli scioperi le minacce erano prassi corrente: la direzione convocava le lavoratrici in ufficio, da sole, senza tutele e con richiami più o meno formali le minacciava di non proseguire su una linea o condotta altrimenti sarebbe arrivato il licenziamento. Minacce anche campate in aria, ma spesso l’ignoranza in termini di diritti le rendeva efficaci. Del resto informarsi era impossibile: se attaccavamo volantini alla bacheca, dopo mezz’ora venivano fatti sparire. Abbiamo tentato anche di diffonderli di nascosto, ma anche così dopo un paio d’ore siamo state richiamate dalla direzione che sosteneva fosse proibito volantinare in azienda. Ecco, la prima difficoltà è far aprire gli occhi ai colleghi sulla situazione perché molti si accontentano, la paura di perdere il lavoro favorisce questo problema, ma così la situazione peggiora. Chi si ribella si trova fra l’incudine e il martello perché anche alcuni colleghi sembrano vedere solo intenti “polemici” nelle proteste, dicono che si è sempre andati avanti così e non vedono prospettive.
STATE DESCRIVENDO UNA SITUAZIONE DI TERRORISMO VERO E PROPRIO...
La ragione dell’azienda viene fatta valere con intimazioni e pressioni, facendo leva sui soggetti più deboli, sulla paura della crisi e su chi magari in famiglia ha già problemi con il marito che ha perso il lavoro: in questi casi la minaccia di licenziamento o di chiudere la fabbrica fa decisamente il suo effetto. La disorganizzazione è totale, tutto ricade sulle spalle dei lavoratori. Per il padrone, finché i conti tornano, di problemi non ce ne sono e c’è gente che si ammazza di lavoro per sopperire a questa mentalità del dover produrre anche in condizioni che ti ostacolano. Produrre, produrre, produrre anche a discapito della salute, questa è la situazione. La violenza psicologica, inoltre, va “a go go”. Abbiamo casi di colleghe che si devono curare per i nervi che saltano. Ma è il caso di perdere la salute per accettare questo ricatto? Ad aumentare la pressione, il fatto che il capitalista ti vede come una merce: quando hai problemi di salute, quando non sai più stare in piedi, quando non ci sei più con la testa ti dice “stai a casa, che non ci servi più”. C’è quindi una tensione latente, anche fra colleghi a volte si rischia di venire alle mani. Ci sono lavoratori di serie A e di serie B. La questione è che i nervi saltano perché c’è questo clima e l’azienda lo favorisce facendo fioccare anche i richiami disciplinari. In casi di diatribe fra operai viene colpito quello con la tessera sindacale. Anche in caso di errori nel lavoro: sbagliano due operai e magari ne sanzionano solo uno. Come mai questa differenza? Lo fanno per mettere uno contro l’altro due operai che lavorano insieme. Noi abbiamo capito questa tattica. Anche contro il nostro gruppo tentano queste cose. Una di noi, ad esempio, viene trattata meglio, sembrano più gentili: secondo noi perché tentano lo stesso tipo di gioco, di lavorarsela un po’. Ecco, questa era la situazione e in parte è ancora così.
COSA E’ CAMBIATO O COSA STA CAMBIANDO? E COME AGITE?
Quando eravamo RSU avevamo questo piccolo potere e lo usavamo per ottenere qualcosa di positivo per i lavoratori, ad esempio sul tema della sicurezza qualcosa la proprietà è stata obbligata a fare e tutt’ora è difficile tornare indietro. E questo ci ha fatto mantenere prestigio, in un certo senso. Ma nel momento in cui abbiamo toccato dei nervi scoperti, la direzione ci ha fatto terra bruciata e in parte ci è riuscita, anche se il nostro gruppo è rimasto coeso. Alcune operaie hanno iniziato a porsi domande, vediamo che alcune reagiscono, ci sono piccoli segnali, qualche collega inizia ad alzare un po’ la testa, anche se di nascosto, diciamo. La smania repressiva della direzione riusciamo a volgerla a nostro favore, perché le operaie colpite vengono a chiedere aiuto e noi le sosteniamo. Chiaro che la direzione, continuando ad attaccare i lavoratori, li spinge verso di noi. Anche i più pacifici a lungo andare si stufano, si stanno fortificando anche quelli che vengono presi di mira di continuo, perché ritenuti più deboli. Ci sono casi di colleghe che vediamo crescere in consapevolezza, che iniziano a tirare fuori le unghie contro i soprusi. Questo è possibile perché sanno che c’è un gruppo che le appoggia, che non sono sole. Se le nostre colleghe vedono che non abbiamo paura di reagire, allora si sentono appoggiate. Noi teniamo d’occhio e seguiamo le persone più deboli che hanno problemi e ci adoperiamo a tutela dei compagni di lavoro. Rivoltiamo contro la direzione le sue stesse mosse, trasformiamo in opportunità i tentativi di impedire la nostra iniziativa. Il tentativo di debellarci esautorandoci come RSU, ad esempio, ha portato risultati positivi: si può dire che i colleghi quasi ci vedono più adesso come rappresentanti rispetto a prima, ci cercano di più, ci chiamano per i loro problemi. Così, il tentativo di separarci assegnandoci turni diversi, spostandoci in reparti diversi, cambiandoci le mansioni, ecc. ci consente di “coprire” con la nostra presenza due turni invece che uno solo. Ora abbiamo due gruppi, anche se piccoli, così veniamo a conoscere tante cose che prima ci sfuggivano; allarghiamo il nostro bacino di influenza e questa cosa piano piano si sta ritorcendo contro la direzione, abbiamo potenziato un lavoro di squadra che ci permette di mettere assieme le scoperte e gli elementi che raccogliamo. In questa fase la direzione tende a evitarci per non sostenere delle discussioni con noi. Questo evidenzia già una loro debolezza, una “crepa” nel regime.
UNA CREPA CHE PUO’ DIVENTARE UNA VORAGINE...
Una crepa che ci permette di guardare avanti con fiducia e tirare dritte per il nostro obiettivo: unire più persone in questo “gruppo” e diventare forti davvero. Ma senza eccessi di entusiasmo... Abbiamo avuto quella esperienza di cospirazioni organizzate, dove l’azienda è riuscita a mobilitare tante nostre colleghe contro di noi. Noi le sosteniamo, ma per accoglierle appieno serve avere più fiducia. È importante che chi si avvicina comprenda che noi le sosteniamo e che il loro sostegno verso di noi è importante, per vincere questa battaglia. Perché in realtà noi vogliamo fare una cosa costruttiva, unendoci e risolvendo i problemi che riguardano tutti.
OLTRE CHE AI RAPPORTI IN FABBRICA, PENSIAMO ANCHE ALLA GESTIONE DEI RAPPORTI FAMILIARI: CI SONO DELLE PARTICOLARI PROBLEMATICHE DA AFFRONTARE COME OPERAIE E COME DONNE?
Con una famiglia è più complicato perché i doveri familiari solitamente sono sulle spalle delle donne, in una società dove i ritmi sono sempre più serrati e stressanti. Da parte dei familiari e dei mariti c’è un sostegno verbale, ma non c’è una collaborazione attiva. E’ difficile far comprendere la situazione che viviamo e, sentendo le cose dall’esterno, spesso c’è la tendenza a sminuire, a ridimensionare, a cercare di sdrammatizzare, a dire che bisognerebbe cercare di fregarsene, di fare il proprio lavoro senza badare a queste cose, di lasciare stare. C’è sempre un freno, che magari è dettato dal tentativo di preservarti da guai e ritorsioni, ma credo che in realtà se una è convinta di quello che fa dovrebbe essere sostenuta.
In fabbrica le donne portano più problematiche: i figli, il ciclo, la stanchezza (perché lavorano anche a casa), ecc. La nostra esperienza dice che il trattamento della direzione rispetto agli uomini che cercano di alzare la testa è quasi lo stesso: il padrone usa un criterio di classe. Ma è vero che riserva attenzioni maggiori verso le donne.
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Questa intervista è il racconto di un processo in atto e dimostra l’importanza di formare organizzazioni operaie, cioè di organizzarsi direttamente senza aspettare o contare sull’intervento del sindacato (che nella fabbrica di cui si parla, non fa neanche le “cose base” di un’organizzazione sindacale degna di questo nome: si limita a dire alle operaie di stare attente e sottomettersi alle pressioni del padrone per evitare ritorsioni peggiori, quindi aiuta il padrone nell’opera di intimidazione). Emergono molti spunti e crediamo possa infondere coraggio e sentimenti di riscossa in tanti lavoratori e lavoratrici che ogni giorno lavorano in condizioni difficili e si dannano nella ricerca di una strada per cambiare il corso delle cose, in fabbrica e fuori. Mettiamo in luce tre aspetti:
- pur non essendo una RSU, questo gruppo di operaie è diventato il punto di riferimento dei lavoratori e questo può succedere ovunque;
- ogni attacco del padrone può essergli rivoltato contro, se si opera con ottica di prospettiva e senza far dipendere tutto da una singola battaglia;
- darsi i mezzi della propria politica vuol dire trovare i modi e le forme per perseguire i propri obiettivi nelle condizioni concrete in cui ci si trova.
Infine, l’elemento che sintetizza il tutto è una legge universale della lotta di classe: finché persiste l’oppressione del capitale, nessuna forma di repressione può impedire che emergano avanguardie che cercano e trovano strade per portare avanti la lotta, in fabbrica e fuori.
Redazione di Resistenza
30 aprile 2017
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From: USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Friday, May 19, 2017 12:59 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA: LETTERA APERTA ALLA COMMISSIONE SANITA’
LETTERA APERTA AI COMPONENTI LA II COMMISSIONE SANITA’ REGIONE LIGURIA
In data 17/11/16 abbiamo avuto audizione presso la Commissione Sanità dove i componenti hanno potuto ascoltare le diverse problematiche. L’impegno di questa Commissione era quello di audire l’Amministrazione del Gaslini entro 15 giorni
Nulla è accaduto fino all’incontro con i capigruppo del Consiglio Regionale avvenuto il giorno 11/04/17. In quella sede infatti, alle nostre critiche sul mancato rispetto degli impegni presi, siamo stati invitati a richiedere altra audizione in Commissione alla presenza della dirigenza del Gaslini.
I gruppi politici presenti si sono mostrati favorevoli
L’incontro è avvenuto il giorno 11/05/17 dove, alla presenza della dirigenza del Gaslini, come delegati USB abbiamo esposto le varie problematiche.
Non ci aspettavamo altro da quelle che sono state le risposte dell’amministrazione Gaslini ovvero l’assenza di risposte e la negazione delle problematiche esposte e, dove ammesse, la non volontà di risolverle.
Tuttavia ci aspettavamo altro atteggiamento da esponenti politici del PD e della Lega che, di fatto, hanno cercato di proibirci di esporre le nostre tesi sia politiche che sindacali.
A quel punto, in maniera sicuramente ricercata da parte di questi esponenti, l’audizione si è di fatto conclusa e non vi è stata possibilità di approfondire alcune tematiche che consideriamo non di poco conto:
- carenza di personale nei reparti del Gaslini;
- mancato rispetto di molte parti del D.Lgs. 81/08 sulla sicurezza dei lavoratori: alle nostre istanze per il rispetto della legge, l’Amministrazione ha risposto con atti intimidatori a danno del nostro RLS;
- l’impossibilità da parte del personale di poter effettuare i corsi di formazione nei giorni di riposo ed i dover rinunciare al recupero delle ore in eccesso;
- il mancato rispetto da parte dell’Assessore Viale dell’impegno per la costituzione di posti letto per adolescenti psichiatrici in fase di acuzie;
- l’impossibilità da parte del personale di poter effettuare visite specialistiche tramite la Mutua come prevede la Legge (nota del Ministero della Salute DGPOB/III/0014368 del 24/04/15);
- la carenza di divise per il personale;
- il mancato rispetto della ditta CIR (appalto ristorazione) degli impegni sull’assorbimento del personale;
- il capitolato per l’esternalizzazione del servizio di ristorazione prevede che l’ordinazione dei pasti dei piccoli pazienti e dei loro famigliari sia a carico del personale del Gaslini e su questo siamo totalmente in accordo: non ci vengono date risposte sul perchè il personale dei reparti debba però inserire i dati tramite un software della ditta togliendo decine e decine di ore ogni mese all’assistenza pagata dai cittadini per regalarle a un’azienda privata;
- delucidazioni sull’inconcludente “accordo” inerente l’assunzione dei precari della ricerca;
- mancata concessione dei nulla osta da parte della Regione per la mobilità del personale;
- problematiche al centralino CUP;
- proposta di favorire accordi per le lavoratrici interinali che effettuano turni H24 e che si ritrovano a dover scegliere tra maternità e lavoro, fatto che riteniamo inaccettabile;
- l’assenza di risposte da parte dell’Assessore Viale in riferimento alla nostra richiesta di conoscere i criteri regionali per il riconoscimento delle terapie subintensive;
- l’impegno da parte della politica regionale di istituire un tavolo per la creazione di un albo per ex esposti amianto.
Auspichiamo che i componenti della Commissione e i gruppi politici di cui fan parte, vogliano quanto prima approfondire le questioni affrontate.
Da parte nostra continueremo a pretendere i diritti per lavoratori e cittadini denunciando tramite media, volantinaggi, banchetti e rivolgendoci agli enti preposti, con ulteriori costi per i contribuenti per il disinteresse mostrato da questa amministrazione e da questa politica nei confronti dei lavoratori e lavoratrici, per cui chiediamo l’assegnazione dell’onorificenza della Croce di San Giorgio al personale del Gaslini che, nonostante tutto, continua a fornire un’eccellente assistenza ai piccoli pazienti.
Genova, 19/05/17
Per USB
Pietro Cusimano Esecutivo Nazionale USB Pubblico Impiego
Simonetta Peruzzi Coordinamento Nazionale USB Pubblico Impiego
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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Sunday, May 21, 2017 12:42 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
UNA PARTECIPATA MANIFESTAZIONE A MILANO IN SOSTEGNO A DARIO MIEDICO
Si è svolto stamattina un partecipato presidio (circa 150 persone) nelle immediate vicinanze della sede dell’ordine del Medici di Milano in sostegno della libertà di espressione di Dario Miedico e di chiunque altro sul tema dei vaccini (e non solo).
Leggi tutto al link:
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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Monday, May 22, 2017 8:57 AM
Subject: MORETTI: LIQUIDATO E... RISARCITO!
Il 29 maggio a Viareggio ha inizio il mese della “Memoria e della Solidarietà” che si concluderà il 29 giugno, 8° anniversario della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009, con la manifestazione cittadina.
Ieri sera, 20 maggio, dalle ore 23.00 alle ore 00.30, nella stazione si è tenuto un presidio con il blocco di due treni (Intercity e Treno notte) per protestare contro i “compensi-risarcimenti” di 9 milioni e 400 mila euro a Moretti, dopo la condanna a 7 anni per le pesanti e gravi responsabilità nella strage ferroviaria.
Quella di ieri sera è stata una “risposta” a questa ennesima e nuova offesa; una risposta per mostrare che siamo presenti, siamo mobilitati e vigiliamo. Al presidio, convocato alcune ore prima, di sabato e a tarda ora, per una protesta “simbolica”, hanno partecipato oltre cento persone.
Moretti, che da quel 29 giugno ha fatto di tutto per essere la 33° vittime della strage, ha ricevuto anch’esso, come a suo tempo e dopo una mobilitazione fu riconosciuta ai familiari, la “legge Viareggio” dei 10 milioni (200.000 euro per ciascuna delle 32 Vittime).
Moretti, a 8 anni dalla strage, si porta a casa o, meglio, porta nelle sue tasche l’equivalente della “legge Viareggio” e tutta per sé.
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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Monday, May 22, 2017 11:57 AM
Subject: 9 MILIONI DI BUONUSCITA A MORETTI SONO UN INSULTO
Da TG Regione
9 MILIONI DI BUONUSCITA A MORETTI SONO UN INSULTO: STRISCIONI DI PROTESTA SUI BINARI
“Nove milioni di buonuscita a Mauro Moretti non sono solo un insulto alla povertà della maggioranza degli italiani ma sono soprattutto un’offesa alle 32 vittime del 29 giugno e al licenziamento di Riccardo Antonini”.
La protesta, annunciata poche ore prima, è andata in scena sui binari della stazione di Viareggio. Sul posto “Il Mondo che Vorrei” e “Assemblea 29 Giugno”, con Daniela Rombi, che in quella terribile notte di fuoco, ha perso sua figlia, e Marco Piagentini, che non solo è rimasto sfigurato dalle fiamme ma si è visto rubare dal rogo assassino (sprigionato dal GPL della cisterna del treno merci squarciata dopo il deragliamento) la moglie e due bimbi piccoli.
Molti gli striscioni, e le lacrime.
“La notizia che Mauro Moretti, condannato a 7 anni in primo grado per la Strage di Viareggio, percepirà (a titolo di indennità) la somma di 9,2 milioni di euro, oltre alle competenze di fine rapporto, per il ruolo ricoperto nel gruppo Leonardo, la notizia non può che suscitare sdegno e vergogna nei confronti di questo Stato e tutta la nostra solidarietà nei confronti dei familiari delle vittime del 29 giugno, ma alla fin fine è una notizia che non ci deve stupire e sorprendere più di tanto” - questo il commento di Repubblica Viareggina - “D’altra parte è lo stesso Stato che non si è costituito parte civile nel processo, è lo stesso Stato che insigna Moretti del titolo di Cavaliere e lo riconferma ai vertici di Ferrovie, è lo stesso Stato che da una parte, attraverso la magistratura, lo condanna per la morte di 32 persone, ma la politica lo conferma ai vertici e il potere economico lo premia con 9 milioni; forse questo Stato non va solo capito ma combattuto. Sabato 20 maggio abbiamo ritenuto doveroso, sia come singoli individui che come Repubblica Viareggina partecipare e portare il nostro contributo al presidio che c’è stato alla stazione ferroviaria”.
“Il 29 maggio a Viareggio ha inizio il mese della Memoria e della Solidarietà che si concluderà il 29 giugno, 8° anniversario della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009, con la manifestazione cittadina” - commentano i parenti delle vittime.
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, May 22, 2017 2:58 PM
Subject: PER UNA CORRETTA DEFINIZIONE DI CLASSE
PER UNA CORRETTA DEFINIZIONE DI CLASSE
E’ DI MODA, SOPRATTUTTO NEI TEMPI DI INDEBOLIMENTO DEL PENSIERO, PREDICARE LA FINE DELLE CLASSI E, A FORTIORI, DELLA LOTTA DI CLASSE.
A seguito della pubblicazione della venticinquesima edizione del Rapporto annuale dell’ISTAT di cui trattiamo in uno specifico articolo (https://www.lacittafutura.it/editoriali/ci-dispiace-per-voi-ma-la-classe-operaia-esiste.html) la redazione della Città Futura ritiene necessario proporre questo breve testo apparso sul numero 51 della rivista Contraddizione (http://contraddizione.it) nella sezione “Quiproquo” col titolo “Classe (definizione)”.
E’ di moda, soprattutto nei tempi di indebolimento del pensiero, predicare la fine delle classi e, a fortiori, della lotta di classe. Che ciò sia fatto dall’ideologia dominante è ovvio; che tale predica venga assimilata e ripetuta acriticamente dagli esponenti della “asinistra” è conseguenza necessaria proprio di quello stesso dominio di classe “solido e pericoloso” che costoro vorrebbero far credere di esorcizzare.
E la faccenda non è recente, se già Marx si sentì in dovere di precisare, nel poscritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale, che “l’economia politica, in quanto concepisce l’ordinamento capitalistico come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati. Dal momento in cui la lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in teoria, forme via via più pronunciate e minacciose, per la scienza economica borghese quella lotta suonò la campana a morte. Ora non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale, se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all’indagine scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell’apologetica”.
Del resto, che la lotta di classe appaia spenta agli occhi dei proletari è inevitabile in momenti in cui la parte attiva di codesta lotta venga perseguita dalla borghesia trionfante, ancorché in crisi, e non sia più svolta se non marginalmente dal proletariato stesso. Tutto ciò non esime dal riconoscere le contraddizioni del modo di produzione capitalistico, il persistere della lotta delle classi che lo costituiscono e, anzitutto, l’esistenza e la riproduzione delle classi stesse.
In prima istanza, dal punto di vista della base economica del modo di produzione capitalistico, la definizione di classe sociale può essere immediatamente circoscritta all’omogeneità di funzione svolta dai diversi soggetti nel processo di produzione. L’identità funzionale individua l’appartenenza all’una o all’altra classe in sé, oggettivamente identificata. Tale appartenenza, pertanto, non pertiene alla sfera empirica del tipo di attività svolta, né dell’ammontare di reddito percepito, né tantomeno può corrispondere biunivocamente con i singoli individui empirici. Essa è, per l’appunto, oggettiva e trascende il soggetto individuale in quanto un medesimo soggetto può svolgere più di una funzione nel processo di produzione, con diverse mansioni e livelli di reddito, per cui la sua appartenenza a quella o quell’altra classe dipende da quale sua figura prevalga sulle altre, da quella che ne determina in prima istanza il ruolo e la funzione sociale. Dunque, nel modo di produzione capitalistico che sta a fondamento delle formazioni economiche sociali moderne a dominanza borghese, la prima e principale divisione funzionale al processo di produzione medesimo mette: da un lato, la classe di coloro che sono proprietari delle condizioni oggettive della produzione, in quanto non produttori, ossia tali che per definire la loro funzione peculiare non è necessario che essi partecipino attivamente alla produzione stessa; dall’altro, la classe di coloro che sono effettivamente i produttori della ricchezza sociale nella forma storica data, in quanto non proprietari di quelle condizioni della produzione, pur se accidentalmente e parzialmente possano esserlo.
La predominanza dell’una o dell’altra funzione fa sì che i soggetti sociali siano identificabili, nel primo caso, con la classe dei capitalisti (in senso lato) e, nel secondo, con la classe dei proletari (o lavoratori salariati, in senso lato). E’ altresì ovvio che una siffatta definizione funzionale di classe, come insieme omogeneo di soggetti per riguardo al processo di produzione, sia adeguata anche ai modi di produzione che hanno preceduto quello capitalistico, tenendo tuttavia presente che nelle epoche passate diverse erano le classi costitutive delle varie formazioni sociali poiché diversa era la finalità del processo di produzione e che, proprio in ragione di ciò, solo nella forma capitalistica le classi si presentano come tali, nella loro elementarità, senza trasmutarsi e cristallizzarsi nella parvenza di “ordini” o “caste” in forza di superfetazioni metaeconomiche. Solo sulla base di una tale divisione nelle due classi principali della società moderna si può costruire una successiva, e necessaria, articolazione che sia ancora economica, ma anche sociologica e culturale o perfino comportamentale.
Innanzitutto, come accennato, nulla vieta che un medesimo individuo sia al contempo “proprietario” e “produttore”, come potrebbe essere l’artigiano, il coltivatore diretto, o anche il capitalista che lavora nella propria impresa o il salariato (operaio, bracciante o impiegato) che possiede qualche mezzo di produzione. Ma la sovrapposizione casuale di più funzioni non impedisce di comprendere sia che nella generalità dei casi ciò non caratterizza il modo di produzione capitalistico, ma solo le sue diverse forme empiriche di esistenza economica sociale, sia di individuare nel caso di una simile sovrapposizione, accidentale transitoria o residuale, quale funzione debba essere ritenuta quella qualificante e determinante. In secondo luogo, perciò, è facile trovare una gran varietà di forme di passaggio, intermedie tra le due classi principali della società moderna, tali da rappresentare altre classi, sottoclassi, ceti o gruppi in cui praticamente si articola questa formazione sociale. Ma, in terzo luogo, infine, nessuno può dubitare che ancora oggi e per tutta la vigenza in forma dominante del modo di produzione capitalistico si riproduca in maniera sempre più polarizzata la divisione tra “proprietari non produttori” (capitalisti industriali, percettori di profitto e interesse, nella cui classe vanno generalmente ricomprese anche le forme moderne assunte dai capitalisti monetari e dai capitalisti commerciali, e proprietari fondiari, percettori di rendita) e “produttori non proprietari” (lavoratori salariati o proletari, percettori appunto di salario, in qualsiasi forma esso sia travestito). Nessuno può disconoscere tuttora l’esistenza di tali classi, su scala mondiale, e le contraddizioni e gli antagonismi che esse mettono in movimento. E’ bene che la specificazione del concetto di classe e della sua formazione storica, così come l’analisi delle classi realmente esistenti e la loro composizione, siano lasciate alle parole stesse di Marx e dei marxisti.
20/05/17
di Gianfranco Pala
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, May 22, 2017 2:58 PM
Subject: CI DISPIACE PER VOI, MA LA CLASSE OPERAIA ESISTE
CI DISPIACE PER VOI, MA LA CLASSE OPERAIA ESISTE
PER QUANTI SFORZI FACCIANO REPUBBLICA E L’INFORMAZIONE MAINSTREAM, NON E’ SCOMPARSA NE’ LA CLASSE LAVORATRICE NE’ L’INEVITABILE CONFLITTO DI CLASSE
 “Ma d’altra parte ogni movimento in cui la classe operaia si oppone come classe alle classi dominanti e cerca di far forza su di essa con pressure from without (pressione dall’esterno) è un political moviment (movimento politico)”.
Forse è il caso di partire da questa lettera di Karl Marx a Bolte del novembre 1871, per commentare il Rapporto annuale 2017 dell’ISTAT, nel quale si afferma che “all’interno delle stesse classi sociali ciò che sembra essersi profondamente modificato è il senso di appartenenza a una data classe sociale e ciò è particolarmente vero per la classe media e la classe operaia”. La quale classe operaia, evidentemente, esiste ancora anche per l’Istituto nazionale di statistica. Eppure, Repubblica e altre testate giornalistiche hanno letto nel rapporto ISTAT la scomparsa della classe operaia e della piccola borghesia. Ora, sia chiaro, nessuno pretende dall’ISTAT e tantomeno da Repubblica che si definiscano marxianamente le classi sociali. D’altronde lo stesso Marx non fece in tempo a terminare la sua analisi nel capitolo “Le classi” de Il Capitale, rimasto perciò incompiuto. Ma il barbuto di Treviri fece in tempo a porre la questione in questi termini: “Che cosa costituisce una classe? A prima vista può sembrare che ciò sia dovuto all’identità dei loro redditi e delle loro fonti di reddito”.
Appunto, solo a prima vista. Perché al fondo delle cose la linea di demarcazione si trova tra chi è costretto a passare una ampia quota della sua giornata sul posto di lavoro per produrre merci e chi si appropria del profitto che si può ricavare da quelle stesse merci. Questa è la prima suddivisione da tenere in considerazione e dentro questi primi insiemi si determina, quindi, la divisione sociale del lavoro e la distribuzione della ricchezza prodotta, che è conseguenza dei rapporti di produzione e del grado di sfruttamento della forza lavoro. Le classi sociali, cioè, sono determinate dal “rapporto con i mezzi di produzione”, sulla base “del ruolo nell’organizzazione sociale del lavoro, quindi sulla base del modo in cui ottengono la ricchezza sociale e per l’importanza della ricchezza di cui dispongono”.
Se la sfera della distribuzione della ricchezza prodotta è conseguenza dei rapporti di produzione, allora l’enorme divario (segnalato dall’ISTAT) tra i redditi equivalenti della classe dirigente italiana e quelli delle famiglie a basso reddito è un indicatore dell’esistenza di una classe che si oppone a quella dirigente, e questa classe è appunto la classe operaia, ma sarebbe meglio dire la classe lavoratrice, che quindi non è affatto scomparsa. Semmai il segnale che viene dal rapporto ISTAT è di un aumento della massa della classe lavoratrice, dal momento che viene posta “l’attenzione sulla difficoltà dei lavoratori del ceto medio, osservando come la quota di reddito a essi distribuita sia diminuita, con un conseguente aumento delle diseguaglianze”. A fare le spese di una distribuzione del reddito sempre più diseguale sono le famiglie a basso reddito, gli anziani soli, i giovani disoccupati, le cui gravi condizioni economiche mette la maggioranza dei membri appartenenti a questi gruppi sociali in condizione di grave deprivazione materiale e di fronte al drammatico rischio povertà. Una condizione dalla quale è difficile uscire, dal momento che la mobilità sociale è di fatto solo una vana speranza.
Un indicatore, in questo senso, è dato dal livello di istruzione, i cui più alti livelli risultano preclusi ai gruppi sociali in condizioni economiche disagiate. E l’ISTAT sottolinea quanto il livello di istruzione incida sulla mobilità sociale. Ma l’istruzione è sempre meno garantita da un sistema scolastico sempre più classista. Basta notare nel rapporto dell’Istituto di statistica come, tra le famiglie italiane a basso reddito, la quota di persone che riesce ad arrivare a una laurea costituisce solo il 5,5%, contro il 73,6% di chi gode del privilegio di essere parte della classe dirigente di questo Paese. E ciò conta in misura tanto maggiore quanto più si tiene in considerazione che, mentre la classe lavoratrice, che ci dicono sia scomparsa, subisce la crescente precarietà lavorativa significativamente aggravata negli ultimi anni dalla legge Fornero prima e dal Jobs Act poi, “nei gruppi a reddito più elevato caratterizzati da maggiori tassi di occupazione, il possesso di elevati titoli di studio favorisce l’accesso a un lavoro più stabile”. Tanto che, mentre spesso e volentieri una donna lavoratrice viene costretta a scegliere tra la maternità e il lavoro, tra la classe dirigente risultano protetti “i livelli di occupazione delle donne anche quando diventano madri”.
Una condizione difficile da modificare anche perché il mantenimento dei rapporti di produzione che garantiscono alle classi dirigenti di questo Paese l’appropriazione delle risorse economiche che permettono le migliori condizioni di vita, permettono anche, allo stesso tempo e a quella stessa classe sociale, la possibilità di partecipazione diretta e indiretta alla vita politica e sociale. Si legge nel rapporto ISTAT che chi ha il privilegio di partecipare al banchetto della classe dirigente, ha ovviamente maggiori possibilità di quanti sono costretti a condizioni di vita peggiori, non solo di svolgere attività di partito, ma di sostenere economicamente i partiti. Che poi sono, verosimilmente, gli stessi partiti che affermano la necessità di fare sacrifici, che applicano misure di austerità, che accrescono le condizioni di precarietà, che allungano l’età pensionabile, che attentano alla Costituzione per ridurre ulteriormente gli spazi di democrazia e di partecipazione per le classi sociali più deboli. Una classe dirigente, quindi, che favorita dagli attuali rapporti di produzione, può permettersi di imporre, direttamente o indirettamente, misure economiche e politiche che mantengono la loro posizione di privilegio sociale, a scapito della stragrande maggioranza di questo Paese.
Per quanti sforzi facciano Repubblica e in generale l’informazione mainstream nostrana, la classe lavoratrice non è scomparsa ed è fatta di quelli che lavorano in fabbrica, in cantiere, in un call center; che smistano le merci in un magazzino o le consegnano a casa; che fanno le pulizie in un ospedale, che servono pasti in una mensa, che insegnano in una scuola. Una classe che cresce, si impoverisce, diventa più precaria, muore sul lavoro o per la sua mancanza, ma spesso lotta e che perciò si vorrebbe far scomparire dall’immaginario collettivo perché quando si fa scomparire la classe lavoratrice si fa scomparire il conflitto inevitabile di questa con il capitale. In realtà, la classe lavoratrice non è affatto scomparsa, semmai se ne è ridefinita la composizione. Ma che ciò accada non è affatto una novità. Già Marx notava come “la stratificazione delle classi non appare neppure lì [nell’Inghilterra del suo tempo] nella sua forma pura. Fasi medie e di transizione cancellano anche qui tutte le linee di demarcazione. Ma per la nostra analisi ciò è irrilevante”. Ciò che conta, è “la tendenza costante e la legge di sviluppo del modo di produzione capitalistico di separare in grado sempre maggiore i mezzi di produzione dal lavoro [...] trasformando con ciò il lavoro in lavoro salariato e i mezzi di produzione in capitale”. Posta in questi termini, la classe lavoratrice, la classe operaia, non è scomparsa, semmai è aumentata la sua massa, dal momento che aumentano le disuguaglianze e, come afferma l’ISTAT, “anche la borghesia ha al suo interno componenti di livello reddituale e occupazionale meno consolidate di quanto il nome di questa classe evochi”.
Ciò che sta aggravando ulteriormente una situazione già oggettivamente drammatica è che, come sottolinea l’ISTAT, in particolare per la classe operaia “ciò che sembra essersi profondamente modificato è il senso di appartenenza a una data classe sociale”. E questo pare essere l’intento nel far passare l’idea della fine della classe operaia. Il motivo è che fintanto che i lavoratori non abbiano coscienza dell’appartenza di classe, risulta molto più difficile la loro organizzazione perché si possano modificare le condizioni di disuguaglianza descritte dall’ISTAT nel suo rapporto. “La classe operaia” - sosteneva Marx nella lettera a Bolte già citata “si oppone come classe alle classi dominanti” e solo in questo modo che “dai singoli movimenti economici degli operai sorge e si sviluppa dappertutto il movimento politico” che, come abbiamo visto, le classi dirigenti ostacolano con la loro attività politica e sociale consentita dalla loro condizione di classe privilegiata.
Rimane, però, il potenziale conflittuale. E nonostante la crescente stratificazione di classe, ed anzi proprio perché è così accentuata che (come hanno indicato i compagni del Clash City Workers in “Dove sono i nostri”, pregevole, recente inchiesta su lavoro, classe e movimenti italiani) è necessario “ricostruire le fila, agendo su ogni punto di essa per creare l’alleanza più vasta possibile fra i lavoratori [...] Attaccando però ogni volta il punto apicale. [...] Organizzare qualsiasi comparto di classe [...] senza mai dimenticare di orientarlo e di connetterlo alla sfera della produzione, che resta il piano strategico”.
20/05/17
di Carmine Tomeo
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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, May 23, 2017 9:14 AM
Subject: UNIDICI AGRICOLTORI MORTI SCHIACCIATI
IO INASCOLTATO COME CASSANDRA: UNIDCI AGRICOLTORI MORTI SCHIACCIATI DAL TRATTORE NEGLI ULTIMI DIECI GIORNI, TRE ANCHE IERI
PAPA FRANCESCO PENSACI TU
Una settimana fa avevo spedito un migliaio di mail scrivendo che dopo tanta pioggia sarebbe arrivato il bel tempo e che sarebbero morti tantissimi agricoltori schiacciati dal trattore.
Purtroppo così è stato: ho cercato di sensibilizzare tutti. Dal Ministro delle Politiche Agricole Martina in giù (ormai arriviamo a cinquecento morti a causa di questo mezzo da quando è Ministro), ma niente, nessuno ha cuore la vita dei nostri agricoltori. Ne sono morti negli ultimi dieci giorni ben undici.
Insomma come Cassandra non vengo ascoltato: eppure da dieci anni monitoro le morti sul lavoro, so quando queste stragi cominciano, quando ci può essere un maggior pericolo.
Dopo gli ultimi tre morti di pochi giorni nella mia regione l’Emilia Romagna ho scritto al presidente Bonaccioni: ma neppure si degna di rispondere, come del resto fanno tutti quelli che occupano un posto di responsabilità a livello locale e nazionale. Ho anche scritto centinaia di volte, ed è così anche quest’anno, come del resto tutti gli anni, che un morto sui luoghi di lavoro su cinque è provocato dal trattore, ma si vede che questo non interessa.
Occorrerebbe (ma lo scrivo da anni) una campagna informativa sulla pericolosità del mezzo. Tra l’altro quello che angoscia di più è che per l’ennesima volta è stata rinviata una Direttiva europea dove c’è scritto che occorrerebbe sottoporre a esame d’idoneità alla guida “un patentino” chi guida questo mezzo mortale. E’ stato rinviato per l’ennesima volta la Direttiva.
Anche bravi giornalisti di quotidiani nazionali hanno cercato di sensibilizzare e hanno scritto che era assurdo l’ennesimo rinvio. Ma nulla: neppure l’opposizione si interessa a questa strage e questo la dice lunga. Non disturbare i manovratori su questioni cruciali per la gente normale.
Molti che mi conoscono associano la mia immagine quando vedono un trattore: lo vedono ribaltato e con l’agricoltore schiacciato sotto.
Proverò a scrivere a Papa Francesco. L’ho sognato questa notte e lo baciavo, era su un letto: quando mi sono avvicinato ho sentito che aveva la barba non rasata. Come i nostri agricoltori che levandosi alla mattina presto pensano di rasarla dopo essere tornati dai campi. Se ritornano vivi.
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From: Muglia La Furia noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Tuesday, May 23, 2017 5:18 PM
Subject: LA GIUNGLA DEI CORSI SICUREZZA: NUOVA DENUNCIA
Ma quali sono i soggetti formatori autorizzati?
“C’è chi falsifica i registri e chi i registri non li redige neppure. C’è chi subappalta i corsi a enti non autorizzati e chi tiene lezioni di primo soccorso senza alcuna esperienza in campo medico”.
Inizia così l’articolo del Fatto Quotidiano che dà voce alla denuncia di Susanna Cantoni, Responsabile di sicurezza sul lavoro nella ASL di Milano dal 1978, sugli innumerevoli illeciti riscontrati in merito ai corsi di formazione obbligatori sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08).
Le più frequenti violazioni della legge riguardano corsi di formazione subappaltati da associazioni sindacali ad enti bilaterali, società private e liberi professionisti senza alcuna abilitazione all’erogazione dei corsi D.Lgs. 81/08, in presenza e in modalità e-learning.
Gli attestati e i patentini rilasciati in seguito a questi corsi risultano ovviamente privi di qualsiasi validità.
Quali sono i soggetti formatori autorizzati alla formazione in materia di sicurezza?
La norma di riferimento è l’Allegato A dell’Accordo Stato Regioni del 07 luglio 2016, dove vengono individuati i soggetti formatori autorizzati alla formazione in materia di sicurezza.
Tra questi, ritroviamo:
- Regioni e Province Autonome;
- Enti di formazione accreditati conformemente al modello di accreditamento specifico di ogni Regione;
- le Associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e gli organismi paritetici, limitatamente allo specifico settore di riferimento.
Nessuna menzione per gli Enti Bilaterali, che risultano esclusi dai soggetti formatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
associazioni sindacali e organismi paritetici possono fare formazione?
No, a meno che non rispondano al requisito di rappresentatività sul piano nazionale, ovvero solo se hanno un numero consistente di associati e hanno partecipato alla stipulazione dei contratti nazionali collettivi di lavoro (non è rilevante la firma del CCNL per mera adesione.)
Gli organismi che soddisfano questi criteri sono autorizzati a erogare formazione solo “limitatamente allo specifico settore di riferimento” e non possono stipulare convenzioni per avvalersi di altri enti di formazione che non facciano capo all’organismo stesso (vedi nota al Punto 2, lettera I) dell’Allegato A dell’Accordo Stato Regioni del 07 luglio 2016).
Per fare un esempio pratico, un’associazione sindacale rappresentativa sul piano nazionale e firmataria del CCNL Metalmeccanici può erogare formazione esclusivamente ai lavoratori del settore metalmeccanico con strutture formative di diretta ed esclusiva emanazione. Attestati rilasciati a lavoratori di altri settori produttivi risultano non legalmente validi.
Quali sono i soggetti in grado di garantire la validità della formazione?
Nel caso di associazioni sindacali o organismi paritetici è importante che il consulente o il datore di lavoro verifichi che sussista il requisito di rappresentanza che garantisca la validità dei corsi effettuati in funzione di uno specifico settore di riferimento (ma questo spesso è più facile a dirsi che a farsi).
Viceversa, per gli Enti di formazione accreditati, la validità della formazione è certificata per qualsiasi settore da un’autorizzazione regionale dopo un rigido iter di accreditamento e non necessita di alcun ulteriore controllo.
Quali sono gli enti di formazione accreditati nella tua Regione?
Ogni regione pubblica e mantiene aggiornato un elenco degli Enti accreditati per la formazione, che si trovano ai link seguenti:
Valle d’Aosta
Piemonte
Liguria
Lombardia
Trentino Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia Romagna
Toscana
Marche
Umbria
Lazio
Abruzzo
Campania
Basilicata
Puglia
Calabria
Sicilia
Sardegna
20 Aprile 2017
di Giulia Pacini
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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Thursday, May 25, 2017 8:32 PM
Subject: SERVIZIO DEL TG3 SU RICCARDO ANTONINI
Segnalo il servizio di Stefano Vidori andato in onda durante il TG3 Toscana di oggi, 25 maggio 2017, mentre si svolgeva il presidio davanti alla stazione di Pisa del 15 maggio scorso in appoggio a Riccardo Antonini.
Buona serata.
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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, May 25, 2017 12:38 PM
Subject: LA CLASSE OPERAIA NON E’ SCOMPARSA, MANCA LA COSCIENZA
Da La Riscossa
17/05/17
La pubblicazione del rapporto annuale dell’ISTAT 2017 ha consentito ai giornali di formulare i consueti titoli da scandalo sulla “fine della classe operaia”. I maggiori telegiornali hanno parlato di “classe operaia spazzata via dalla crisi”.
Al netto di qualche critica ad alcune delle scelte operate dall’ISTAT sulle categorie statistiche (dalla scelta delle categorie spesso dipende anche il risultato politico dell’analisi) i dati che si ricavano dal rapporto spingono ad un ragionamento più articolato, che non mette in discussione l’esistenza numerica dei lavoratori salariati, ma punta dritto alla questione della percezione che i lavoratori hanno di sé stessi.
In termini marxisti si potrebbe esprimere questa situazione con la differenza tra il concetto di “classe in sé”, storicamente determinato sulla base dei rapporti sociali di produzione, e quello di “classe per sé”, ossia di classe cosciente del proprio ruolo e della propria funzione storica. Andiamo con ordine, in attesa di un’analisi più accurata del dossier, che condurremo nei prossimi giorni.
Gli ultimi dati sull’occupazione disponibili in Italia parlano di 22,8 milioni di occupati, di cui 16 milioni dipendenti, 8 milioni dei quali inquadrati contrattualmente come operai. Il numero degli operai in Italia è dunque pari a un terzo del totale della popolazione occupata, e nel complesso il numero dei lavoratori dipendenti continua a crescere. Questo nonostante una parte rilevante del lavoro dipendente sia qualificato contrattualmente, e dunque incluso nelle statistiche, nelle varie forme di lavoro autonomo senza dipendenti. Il frutto delle esternalizzazioni, del massiccio ricorso alle partite IVA infatti trasforma sulla carta in lavoro autonomo forme di lavoro che sono a tutti gli effetti subordinate, alterando anche le statistiche. Nella forbice che separa i 16 milioni di dipendenti dal totale di 22 milioni di occupati devono quindi essere considerate queste forme, che con statistiche accurate farebbero ulteriormente lievitare il numero di lavoratori salariati/stipendiati.
Se dunque si parla di esistenza materiale della classe operaia, i dati sono chiari, anche al netto di alcune riduzioni che si sono verificate nel numero di occupati nell’industria (-387.000 dal 2008), compatibili con le massicce delocalizzazione e le crisi aziendali, il pesante ricorso a processi di automazione in alcuni settori, e nell’edilizia, per la crisi del settore dopo anni di speculazione e bolle immobiliari.
Perché dunque i lavoratori perdono la percezione di sé come classe? Qui dalla sfera materiale si passa al livello della coscienza. Certamente la parcellizzazione contrattuale è stata una leva fondamentale in questo processo. A partire dagli anni ‘90 il numero e le tipologie di contratto si sono moltiplicate, diminuendo l’efficacia di lotte su rivendicazioni immediate. L’ISTAT rileva come anche nel 2017 siano in aumento i contratti di somministrazione (+6,4%), e part-time, e che nel complesso esista una tendenza alla dequalificazione dell’occupazione nelle fasce sociali più basse. Un processo che risponde alla tendenza generale dell’abbassamento del costo del lavoro, e dei salari, come strategia per la ripresa che oggi il capitale sta adottando massicciamente in Italia.
La parcellizzazione contrattuale è senza dubbio il primo passaggio, ma grande responsabilità hanno anche l’insieme delle forze sociali (sindacali e politiche) che hanno, per le note ragioni, ridotto la propria capacità d’influenza sui lavoratori, e sul processo di costituzione in classe.
Per i lavoratori comunisti, i dati dell’ISTAT sulla percezione di classe non dicono nulla di sconosciuto, che non sia immediatamente visibile sui luoghi di lavoro, durante un’assemblea o nei giorni che precedono uno sciopero. La maggioranza dei lavoratori in questi anni, in assenza di quel lavoro di informazione, lotta e organizzazione, ha fatto proprie categorie che teorizzano il superamento della logica dello scontro di classe, che appartengono alla strategia delle classi dominanti, per le quali la rottura dell’unità e della coscienza di classe è presupposto necessario per il mantenimento del proprio potere.
Così i luoghi di lavoro da cui una volta si proiettava una cultura e una visione del mondo nella società, sono divenuti preda di visioni che prescindono dalla centralità del conflitto capitale/lavoro. I lavoratori hanno così finito per farle proprie in larga maggioranza, e specialmente nelle generazioni nate dopo gli anni ‘80 che non hanno conosciuto la forza delle lotte e dell’organizzazione del movimento operaio. Hanno iniziato a tornare a ragionare da una parte con il ricorso alle “categorie” sempre più parcellizzate, e sempre più frammentate, si pensi alla differenza tra precari e lavoratori a tempo indeterminato, o a quelli interni rispetto a quelli che lavorano per società in appalto. Dall’altra hanno iniziato a ragionare da semplici “cittadini” e non più come lavoratori, anche grazie a forze di opposizione, che appaiono le uniche titolate a garantire un cambio di governo, e che rifiutano una cultura del lavoro, e al contrario fanno proprie quelle teorie che vanno nella direzione della rimozione del concetto di classe, di ogni forma di organizzazione di classe, a partire da quella sindacale. La visione interclassista è quindi assolutamente dominante nella società odierna, perché unisce le principali forze di maggioranza e opposizione (nazionaliste o anti-politiche).
Ed è proprio questo il segreto che consente, l’immobilismo politico, la passività della classe operaia pur di fronte alla durezza delle politiche antipopolari e all’acuirsi delle differenze sociali. “Una divisione nuova della società italiana farebbe pensare a cambiamenti rivoluzionari” - scrive Repubblica - “In realtà di rivoluzionario in Italia al momento non c’è niente: è una società che cristallizza le differenze, e che da tempo ha bloccato qualunque tipo di ascensore sociale. In effetti funziona quello verso il basso, ma i piani alti sono sempre meno accessibili”.
Nessun cambiamento rivoluzionario potrà esistere in assenza di coscienza da parte della classe sociale che deve guidare questo cambiamento. La sola crisi economica, gettando sul lastrico milioni di lavoratori e di famiglie non produrrà questo cambiamento, ma al massimo un orientamento dei lavoratori verso le forze percepite immediatamente come artefici di un cambiamento realizzabile, che purtroppo però non è altro che la riaffermazione sotto altre forme degli stessi rapporti sociali da cui dipende lo sfruttamento dei lavoratori. Ecco perché oggi il compito della “costituzione del proletariato in classe” è ancora il primo compito dei comunisti; bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare in questa direzione, valorizzando ogni embrione di quella coscienza, come pure non tardano a vedersi, dandogli forza e organizzazione.
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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 28, 2017 9:47 PM
Subject: INIZIATIVA SU LICENZIAMENTO DI RICCARDO, "BUONUSCITA" A MORETTI, IN SICUREZZA IN FERROVIA LA GIORNATA DEL 29 GIUGNO
Giovedì 1° giugno dalle ore 08.30 alle ore 11.00, presidio e volantinaggio di fronte al Tribunale di Lucca, via Galli Tassi, su licenziamento di Riccardo, "buonuscita" a Moretti, (in)sicurezza in ferrovia, la giornata del 29 giugno a Viareggio (8° anniversario della strage ferroviaria annunciata del 29 giugno 2009).
L'appello del 1° giugno è rivolto a quanti sono disponibili in quelle ore della mattina.

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