giovedì 18 maggio 2017

16 maggio - I siti inquinati non sono mai stati bonificati. Il caso Stoppani lo conferma



Stoppani, torna l'incubo: riaffiora la terra avvelenata dal cromo esavalente


Il muro di conteniemnto della collina che "trasuda" cromo esavalente 
Nella riviera genovese, in uno dei 40 siti più inquinati d'Italia la bonifica fa scoprire un muro di contenimento che trasuda materiale nocivo
di GIUSEPPE FILETTO


16 maggio 2017
Una macchia gialla sul muro di cemento e a 14 anni dalla fine dell'attività e dopo centinaia di milioni investiti nella bonifica torna l'incubo cromo esavalente alla Stoppani di Cogoleto.
La Stoppani è oggi uno spettro industriale ma è uno dei 40  "siti di interesse nazionale" (assieme a Casale Monferrato, Porto Marghera, Gela, Fibronit di Bari, polo chimico di Mantova, l'Acna di Cengio) seguiti direttamente dal Ministero dell'Ambiente a causa dell'altissimo livello di inquinamento che ha richiesto piani di bonifica impegnativi e costosi. Nel 2003 lo stabilimento ha cessato l'attività che era consistita principalmente nella produzione di bicromato di sodio, dal quale, attraverso successivi stadi di lavorazione, sono stati prodotti altri derivati del cromo. Una storia quella di Stoppani - collocata a poche decine di metri dalla costa dove in estate i bagnanti affollano la spiaggia - passata attraverso malattie, processi, durissime battaglie sindacali, contrapposizioni tra ambiente e lavoro, e poi ancora tentativi di speculazione. Alla fine tutto il costo della bonifica è finito sulle spalle dello Stato mentre gli eredi Stoppani riprendevano la produzione di cromo in Russia. E oggi ecco la difficoltà a proseguire una bonifica che rivela purtroppo nuove sorprese. Il grande sarcofago Stoppani, pieno di cromo esavalente, è molto più esteso di quanto si veda. O meglio: di quanto previsto. È interrato nei dintorni di Pian Masino, al confine tra i comuni rivieraschi di Arenzano e Cogoleto. L'inquietante scoperta (per chi non ne era a conoscenza, ma pare che gli ex operai sapessero) è diventata di pubblico dominio in questi giorni, durante l'ispezione della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti, presieduta dal deputato Alessandro Bratti del Pd.
Le aree esterne ai muraglioni che delimitano il sito industriale sono stracolme di materiale cancerogeno, e lo si vede ad occhio nudo da un fiotto di sostanza giallastra che percola da una di queste pareti (vedi foto a lato), emersa dopo la rimozione dei cumuli di cromite che vi erano addossati.
"Tanto che bisognerà pensare ad una nuova fase di bonifica - dice il deputato Alberto Zolezzi dei Cinque Stelle, membro della Commissione Parlamentare - occorrerà rifinanziarla, perché i soldi stanziati finora non basteranno".
Non saranno sufficienti i 40 milioni di euro che dal 2006 il Ministero dell'Ambiente ha fatto arrivare in Liguria per disinquinare le aree industriali, e neppure la proroga del Dpcm per tutto il 2017. Così come non bastano i 500mila metri cubi di rifiuti tossico-nocivi prelevati da Pian Masino e trasferiti nella discarica del Molinetto, in Valle Arrestra, al confine tra Cogoleto e Varazze, messa sotto indagine dalla magistratura e sotto sequestro. Piove un'altra tegola sulla situazione ambientale dell'immediato Ponente genovese, quando la bonifica - portata avanti dalla struttura commissariale incaricata dalla Presidenza del Consiglio - sembra a buon punto: con la messa in sicurezza del sito industriale, la captazione e la depurazione delle acque di falda, con i rifiuti imballati ed i cumuli coperti da teli impermeabili che attendono di essere trasferiti. I carotaggi effettuati dalla stessa struttura commissariale (formalmente guidata dal prefetto Fiamma Spena, ma di fatto in mano al sub-commissario Cecilia Brescianini, il braccio operativo), secondo quanto è stato spiegato alla Commissione Parlamentare, forniscono un quadro alquanto preoccupante. Tutto il costone di Ponente (verso Cogoleto), sorretto da uno spesso muraglione alto una decina di metri, sarebbe costituito da terre sature di cromo esavalente. In Val Lerone sarebbero sepolti gli scarti di 100 anni di lavorazioni: una quantità difficile da stabilire. Si tratta di milioni di metri cubi di materiale cancerogeno. Una situazione dal punto di vista ambientale al momento preoccupante soltanto a parlarne. Spaventosa, se si pensa ai quattrini che bisognerà investire. D'altra parte, la bonifica dell'intero sito prevede che sia restituito a "prato verde". Libero da inquinanti. "Temiamo che la situazione sia destinata a prolungarsi per almeno quattro, cinque decenni", precisa l'onorevole Zolezzi al ritorno dalle audizioni di giovedì e venerdì scorso. Sono stati ascoltati il prefetto di Savona, l'assessore regionale all'Ambiente Giacomo Giampedrone, il sub-commissario Brescianini che è anche dirigente dell'Ambiente di Regione, i tecnici della struttura commissariale e quelli di Arpal. Non sono stati ascoltati i pm Francesco Cardona Albini e Francesco Pinto che sulla discarica del Molinetto hanno aperto l'inchiesta per "abuso d'ufficio" e "gestione di rifiuti non autorizzata" a carico di 7 pubblici ufficiali. E lo scorso 28 settembre il gip Nicoletta Bolelli ha disposto il sequestro del sito. Secondo la Procura della Repubblica, la struttura commissariale avrebbe "rappresentato una agibilità del sito non conforme alla situazione reale". Fino a confezionare una gara d'appalto più modellata al conferimento di terre da scavo (dovrebbero provenire dal Terzo Valico) che di vero risanamento della discarica.
Tant'è che di turbativa d'asta e falso sono chiamati a rispondere: Cecilia Brescianini; i dirigenti della ex Provincia Paola Fontanella, Francesco Benzi e Raffaella Dagnino; Marco Canepa e Francesco Di Ceglia, entrambi geologi dell'Arpal distaccati presso la struttura; il geologo Vittorio Asplanato, ingaggiato come esperto esterno. Avrebbero procurato un vantaggio patrimoniale da 8 milioni di euro alla società vincitrice dell'appalto.


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