mercoledì 8 giugno 2016

6 giugno - Da M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 06/06/16



INDICE

Dante De Angelis deangelisdante@gmail.com
STRAGE DI VIAREGGIO, MARCO PIAGENTINI E IL CORTOMETRAGGIO "OVUNQUE PROTEGGI" PREMIATI A CANNES

Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
ALLA GUERRA QUOTIDIANA PER IL PROFITTO DEI PADRONI, SERVE RISPONDERE CON LA GUERRA DI CLASSE DEGLI OPERAI

Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com

DONNE, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO NEI CAMPI DEL “GHETTO ITALIA”

 

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
LA FRANCIA E NOI: 5 BREVI RIFLESSIONI

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO: CONFINDUSTRIA STRINGE L'ACCORDO

Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
SOLIDARIETA’ PER GINA DE ANGELI


Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 5 MESI DEL 2016

IN NOME DEL POPOLO O DEI MERCATI INTERNAZIONALI?

Posta Resistenze posta@resistenze.org
NE ABBIAMO ABBASTANZA!

Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
ITALIA: 4 GIORNI PER FERMARE IL GLISOFATO

8 GIUGNO: ASSEMBLEA NAZIONALE DEI FERROVIERI

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From: Dante De Angelis deangelisdante@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, May 25, 2016 12:46 PM
Subject: STRAGE DI VIAREGGIO, MARCO PIAGENTINI E IL CORTOMETRAGGIO "OVUNQUE PROTEGGI" PREMIATI A CANNES

Cari,
il cortometraggio "Ovunque Proteggi", pochi giorni fa ha ricevuto, al festival del cinema di Cannes, il prestigioso riconoscimento ottenuto al Global Short Film Awards 2016 di New York.
Premiati Marco Piagentini, vittima-simbolo della strage e gli autori, Massimo Bondielli e Luigi Martella.
Purtroppo al di fuori della Versilia queste notizie, pur se di rilevanza internazionale, circolano poco.
Sotto tre articoli che meritano di essere divulgate.
Ciao
Dante
 
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Il Tirreno
21 maggio 2016
di Donatella Francesconi
IL FILM SULLA STRAGE APPRODA A CANNES
OGGI LA PREMIAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO “OVUNQUE PROTEGGI”
SUL PALCO IL REGISTA MASSIMO BONDIELLI INSIEME A MARCO PIAGENTINI
La vittoria a New York, il riconoscimento a Cannes: così la strage di Viareggio diventa internazionale nella comunicazione oltre che nei fatti. Visto che la Gatx, multinazionale proprietaria dei carri merce deragliata è made in Usa, e l’Europa gioca un ruolo centrale nelle inadempienze che hanno portato al disastro ferroviario da trentadue morti.
Il cortometraggio “Ovunque proteggi”, firmato dai registi Massimo Bondielli e Luigi Martella, ha trionfato a New York, vincendo il Global Short Film Awards. Ed oggi il documentario prodotto dalla Caravanserraglio Film Factory riceverà la sua consacrazione a Cannes, nella giornata finale del Festival internazionale.
A Cannes saranno Daniela Rombi con il marito Claudio Menichetti (genitori di Emanuela Menichetti, morta a 21 anni dopo 40 giorni di agonia per le ustioni riportate) e Marco Piagentini con il figlio Leonardo, ed altri familiari delle vittime della strage. Sul palco, al momento della premiazione, salirà solo Piagentini insieme a Bondielli. E lì risuoneranno le parole che in tutto il mondo ricorderanno quella notte di sette anni fa, quando tutto è cambiato, a un passo dall’estate di bimbi e mare che si è tinta in un attimo di fuoco, fumo e sangue.
“Sono questi i momenti in cui rivivi, rivedi quel giorno con gli occhi degli altri”, racconta Marco Piagentini in partenza per Cannes. Marco che per tutta la vita lotterà con le conseguenze delle ustioni su tutto il corpo, ma che oggi avrà vicino a sé il figlio Leonardo, che quella notte ha perso d’un colpo la mamma Stefania Maccioni ed i fratellini Luca e Lorenzo. Il retro della copertina del cortometraggio (disegnata da Chiara Rapaccini) c’è il disegno che Leonardo, ricoverato in ospedale dopo essere stato salvato con un intervento delicatissimo dai vigili del fuoco, consegnò all’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
“Oggi condivido con Leonardo questo momento”, racconta suo padre, “ed è un valore aggiunto. Mio figlio oggi è vicino a me ed è l’aspetto più bello”.
Perché ancora una volta i familiari delle vittime affrontano un mondo che non è il loro, un mondo che racconta storie, ma quella di “Ovunque proteggi” non è fantasia.
“A Cannes, come pure in questi anni ovunque siamo andati, io, Daniela e tutti gli altri” - continua Piagentini - “portiamo un valore assoluto: quanto accaduto la notte del 29 giugno 2009. A quello che è successo in quelle ore, a quello che è successo alle nostre vite da lì in poi, non ci può essere smentita”.
Parole pronunciate con tutta la dignità che i familiari delle vittime della strage di Viareggio hanno sempre dimostrato e dimostrano a ogni udienza di un processo che dura ormai dal 13 novembre 2013. E che chiama in causa le responsabilità dell’intera catena di controllo e gestione del trasporto ferroviario di merci pericolose in tutta Europa. “Dopo il consiglio comunale del 9 giungo” - annuncia Piagentini, che è presidente dell’associazione “Il mondo che vorrei”, nata per riunire i familiari delle vittime della strage - “saremo in Regione. Ma si rende necessario anche un nuovo passaggio in Europa, perché quello che è accaduto a Viareggio sette anni fa riguarda ancora, e ancora di più, l’Europa intera”. Che in dieci anni non è riuscita a prendere una decisione in materia di adozione obbligatoria dei dispostivi anti svio.
“Una tragedia avvenuta senza nessuna giustificazione di nessun genere”, sono le parole del regista Mario Monicelli, il cui intervento a Viareggio, subito dopo la strage, chiude il cortometraggio. Una partecipazione concreta, vera, sentita, forte quella di Monicelli in quei giorni. Tanto che tra le decine di migliaia di firme raccolte in quell’estate per chiedere le dimissioni di Mauro Moretti, all’epoca dei fatti Amministratore Delegato di Ferrovie, oggi tra gli imputati per il disastro.

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La Nazione
23 maggio 2016
di Paolo Di Grazia
PIAGENTINI STREGA LA PLATEA DI CANNES: "IO QUELLA NOTTE MALEDETTA ERO LI’..."
COMMOZIONE MENTRE RITIRA IL GLOBAL SHORT PER “OVUNQUE PROTEGGI”
“Io quella sera ero lì...”. Sono bastate queste poche, semplici parole per consentire a Marco Piagentini di catturare l’attenzione della platea internazionale dell’hotel Intercontinental Carlton di Cannes e per far calare il silenzio assoluto nella cena di gala organizzata nell’ambito del Festival del cinema.
Il pubblico aveva da poco visto e applaudito “Ovunque proteggi” il documentario capolavoro di Massimo Bondielli e Luigi Martella in cui Marco, insieme a Daniela Rombi, recita da attore protagonista. Un corto premiato come miglior documentario al Global Short Film Awards di New York.
Massimo Bondielli e Marco Piagentini, entrambi con un inappuntabile smoking, lo hanno ritirato sabato sera a Cannes e, nell’occasione, Marco ha potuto parlare per poco più di un minuto. Tutti col fiato sospeso a sentire le sue parole: “Io quella sera ero lì” – ha esordito – “e qui rappresento 32 persone scomparse per negligenza, imperizia e incuria dei massimi livelli delle Ferrovie dello Stato. Quello che avete visto è che 32 persone innocenti sono state portate via dal fuoco nelle loro case. Noi siamo gli ambasciatori di queste 32 vittime che non avevano mai girato il mondo ma che adesso cerchiamo di far conoscere al mondo”.
Una sala che è rimasta in silenzio in attesa della traduzione in inglese e che si è poi lasciata andare in un lungo applauso. Non è facile per Marco, come mai lo era stato per Daniela Rombi, mettere in piazza i suoi sentimenti, le sue emozioni. Mentre percorreva il Red Carpet, le immagini di sua moglie e dei suoi due figlioletti, gli saranno rimbombate mille volte nella testa, proprio come raffigurato nel cortometraggio.
“Per noi non è una gita di piacere. Ogni volta facciamo violenza a noi stessi” - ha detto ieri Marco al rientro in Italia - “E’ una fatica mentale terribile. Eravamo in un luogo che non ci appartiene, ma avevamo di fronte una platea di oltre 200 persone arrivate da tutto il mondo. L’importante per noi era rappresentare il nostro messaggio di ricerca di verità e giustizia. E’ un cammino che abbiamo intrapreso e continueremo a portare avanti”.
“Ovunque proteggi” è difatti l’embrione narrativo del lungometraggio “Il sole sulla pelle”, un docu-film sulla strage del 29 giugno 2009, le cui riprese sono già cominciate sempre con la regia di Massimo Bondielli.

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Il Fatto Quotidiano
20 maggio 2016
di Ilaria Lonigro

FESTIVAL CANNES 2016, PREMIO COME MIGLIOR CORTO AL DOCUMENTARIO SULLA STRAGE DI VIAREGGIO

“C’È LA NOSTRA VITA E IL NOSTRO DOLORE”

 “Ovunque Proteggi”, il documentario di Massimo Bondielli ha come protagonista Marco Piagentini che si è salvato assieme al figlio Leonardo, ma ha perso la moglie e gli altri due figli nell'incidente ferroviario del 29 giugno del 2009 che causò la morte di 32 persone. Adesso il vero sogno del regista e del co-sceneggiatore Luigi Martella è finanziare dal basso il lungometraggio “Il sole sulla pelle”
Con l’inseparabile ombrello per proteggersi dal sole, Marco Piagentini, 47 anni, superstite della strage di Viareggio, domani (sabato 21 maggio) sarà a Cannes a ritirare il premio come miglior corto per “Ovunque Proteggi”, il documentario di Massimo Bondielli di cui è protagonista.
Dodici minuti che tolgono il fiato e che parlano del disastro ferroviario del 29 giugno 2009 che ha fatto 32 morti. E che, a 7 anni di distanza, aspetta un giudizio in primo grado.
Sfilerà sulla croisette battuta da attori e modelle, lui che, per venire a Cannes, si è fatto fare il primo smoking su misura. “E’ un ambiente che non mi appartiene, ma sono contento di portare la nostra storia fuori dall’Italia con un corto bellissimo. Per me è importante” confessa a ilfattoquotidiano.it Piagentini. Accanto avrà, per la prima volta in un’occasione pubblica, il figlio Leonardo, 15 anni, unico sopravvissuto, insieme al papà, nella famiglia Piagentini.
Una storia universale” ha motivato la giuria del Global Short Film Festival Award. Un successo per il regista e il co-sceneggiatore Luigi Martella, che con la loro Caravanserraglio Film Factory si sono autoprodotti il corto, su cui nessuno aveva scommesso. E adesso puntano al vero sogno: finanziare dal basso il lungometraggio “Il sole sulla pelle”.
Il crowdfunding è già partito ed è possibile partecipare con donazioni a partire da 10 euro, al link:
A ritirare il premio ci saranno anche Daniela Rombi e Claudio Menichetti. I due genitori nel disastro ferroviario persero la figlia Emanuela, 21 anni, morta dopo 41 giorni di agonia. “Massimo e Luigi” – ha detto Rombi, tra i protagonisti di “Ovunque Proteggi” – “si sono avvicinati in punta di piedi, abbiamo messo nelle loro mani la nostra vita e il nostro dolore”.
“E’ una frase che ti inchioda al muro ma allo stesso tempo è una gran bellezza” commenta a ilfattoquotidiano.it Luigi Martella, autore del corto e del futuro lungometraggio.
Fece 32 vittime il disastro ferroviario del 29 giugno 2009, quando un treno carico di GPL deragliò all’altezza della stazione di Viareggio, provocando un incendio che avvolse case e strade.
Quella notte Leonardo Piagentini, 8 anni, fu sepolto dalla propria casa, esplosa come sotto le bombe. Ci rimase 4 ore a chiedere aiuto, finché i Vigili del Fuoco non lo tirarono su, in pigiama. Il video del suo salvataggio, incredibile come un miracolo, fece il giro del mondo. Il suo fratellino Lorenzo, 2 anni, morì carbonizzato nell’auto in cui i genitori lo avevano messo per fuggire. Anche la mamma Stefania, 39 anni, non ce la fece: le fiamme la raggiunsero mentre teneva in braccio l’altro figlio, Luca, 4 anni. Morirono entrambi. Marco Piagentini tornò ad abbracciare Leonardo dopo 6 mesi passati al reparto Grandi Ustionati di Padova, con la pelle bruciata al 95 per cento. Da allora sono passati 7 anni, scanditi da oltre 40 operazioni in anestesia totale e 90 udienze, alle quali Marco Piagentini ha assistito in silenzio, attento, nel cuore la rabbia e la paura per la prescrizione che potrebbe cancellare dal processo, prima ancora della sentenza di primo grado, il reato di incendio colposo. Il primo aveva 4 anni e morì in braccio a Stefania.
“Io lo dico sempre! Costa molto meno risarcire 32 familiari che investire nella sicurezza”. A parlare, in uno dei tanti cortei dei familiari ripreso nel cortometraggio, è Andrea Maccioni, il fratello di Stefania e lo zio dei piccoli Luca e Lorenzo Piagentini. Una frase dietro cui si nasconde un mondo, quello dei risarcimenti, straziante, nei freddi algoritmi che quantificano in denaro il dolore di chi sopravvive. “Bisogna calcolare l’età della vittima e la sua aspettativa di vita, il lavoro che conduceva, il lavoro dei suoi familiari, il dolore e la sofferenza soggettiva dei suoi familiari. Come afferma Andrea” - spiegano gli autori del corto - “oggi a una grande impresa conviene molto di più pagare delle buone assicurazioni per risarcire gli eventuali danni causati, che investire in sicurezza. Basta un semplice calcolo: l’algoritmo del dolore”.
Definiscono così quello che ilfattoquotidiano.it
aveva scoperto già tre anni fa con un’inchiesta che rivelava come la Era, l’Agenzia Ferroviaria Europea, raccomandasse alle società nazionali di usare una formula matematica per capire fino a che punto conviene mettere in conto i morti (e i relativi risarcimenti), piuttosto che investire in sicurezza perché le vittime diminuiscano.

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From: Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 29, 2016 8:07 AM
Subject: ALLA GUERRA QUOTIDIANA PER IL PROFITTO DEI PADRONI, SERVE RISPONDERE CON LA GUERRA DI CLASSE DEGLI OPERAI

Premesso che all'interno del sistema capitalista di produzione gli operai sono considerati carne da macello per il profitto dei padroni, e che nella crisi le condizioni di sicurezza sui posti di lavoro non possono che peggiorare come dimostrano gli stessi dati della FIOM (da gennaio al 20 aprile di quest’anno sono stati 271 gli incidenti mortali sul lavoro), nonostante le ore di lavoro totali siano diminuite, sono le condizioni di lavoro che sono peggiorate.
Una vera e propria guerra che oltre i padroni ha dei responsabili con nome e cognome da combattere: il Governo con i provvedimenti terroristi contenuti nel Jobs Act che vanno dalla libertà di licenziare al depotenziamento degli organi ispettivi e delle leggi sulla sicurezza.
I sindacati confederali tra cui anche la FIOM nei contratti nazionali hanno dato la possibilità di utilizzare manodopera precaria (interinali, apprendisti) e di fatto hanno avvallato le scelte dei governi in tema di sicurezza e lavoro.

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Dal comunicato della FIOM: "Un giovane operaio di 28 anni ha perso la vita oggi (mercoledì 25 maggio) in un incidente sul lavoro alla De Lucchi di Trezzano Rosa (Milano). "Da tempo denunciamo le condizioni di lavoro in quell'impresa, e chiediamo ai vertici aziendali di intervenire sulle questioni della sicurezza, in particolare attivando procedure che annullino i rischi nella fase della movimentazione dei carichi. La morte di un operaio è una tragedia a prescindere, ma in questo caso c’è un elemento che accresce la rabbia: il giovane, assunto con contratto di somministrazione, era in fabbrica da tre settimane e mercoledì prossimo sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro" continua la nota.
"E' indecente che in una fabbrica pesante, come una zincheria a caldo, si mettano al lavoro giovani senza alcuna esperienza, senza alcuna formazione, assunti per pochi giorni e poi sostituiti da altri. In questa giostra all’abbattimento dei costi, che in questo paese hanno reso possibile, sono alte le possibilità di farsi male o di morire". 

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da Repubblica

di Gabriele Cereda

OPERAIO MORTO NEL MILANESE, COLLEGHI IN ASSEMBLEA SULLA SICUREZZA: "MINACCIATI DAL CAPO"

Il ragazzo, 28 anni, interinale, schiacciato da una rastrelliera. La denuncia dei sindacati: "Dovevano subito ricominciare a scaricare i camion o li avrebbe lasciati a casa".

Sono finiti dentro un incubo e non riescono a uscirne. Non bastava la morte di un loro collega di 28 anni, ucciso da una trave di due tonnellate, ieri mattina i dipendenti della De Lucchi di Trezzano Rosa, in provincia di Milano, sono stati minacciati dai vertici dell'azienda. In assemblea, stavano discutendo della sicurezza in fabbrica, quando il direttore generale, Davide Invernizzi, ha preso in disparte tre di loro costringendoli a riprendere il lavoro.

"Ha detto che se non cominciavano subito a scaricare i camion li avrebbe lasciati a casa, rimpiazzandoli con qualcun altro", racconta Walter Albiati di FIOM CGIL Milano.

Sotto le volte del capannone di 35.000 metri quadri della De Lucchi, Gruppo Bisol, holding veneta della carpenteria pesante, i dipendenti hanno paura.

"Temono di perdere il posto e sanno che dietro l'angolo ci potrebbe essere un nuovo incidente se non verranno prese velocemente misure straordinarie in materia di sicurezza", dice ancora il sindacalista. Alla fine delle otto ore di sciopero, le tute blu hanno deciso di ripresentare alla direzione aziendale tutte le segnalazioni sui pericoli in fabbrica fatte negli ultimi 18 mesi.

Ieri, nella casa di Verdello, in provincia di Bergamo, dove abitava Antonino Capuano, il ragazzo travolto dalla trave trasportata dal carroponte, si sono presentati alcuni colleghi che hanno portato le condoglianze alla famiglia. Tra di loro anche l'uomo che col muletto ha spostato la rastrelliera sotto la quale era rimasto il corpo del 28enne. "Una scena devastante” - racconta l'uomo – “non credo che potrò mai dimenticarla".

Quella di Capuano, infatti per i colleghi è stata "una morte annunciata". Il ragazzo era stato assunto come interinale solo tre settimane fa, mercoledì prossimo avrebbe finito di timbrare il cartellino e si sarebbe rimesso in cerca di una nuova occupazione.

"Nell'ultimo anno e mezzo abbiamo segnalato la De Lucchi 20 volte all'Ispettorato del Lavoro” - aveva detto già ieri il sindacalisti -  “C'è in corso un'inchiesta sulla presenza in reparto di lavoratori non in regola".

Quando ci sono i picchi di produzione, in fabbrica entrano gli interinali, "in alcuni casi, gente assunta con un contratto da facchino viene spedita in produzione. Solo qualche giorno fa” - aveva raccontato dopo l'incidente mortale – “alcuni operai sono stati spediti in una buca profonda sette metri per recuperare materiale di lavorazione. Lì sotto ci sono i bruciatori: sono stati fatti scendere senza imbragatura e maschere. Qui non c'è posto per la salute e la sicurezza".


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From: Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 22, 2016 6:15 AM

Subject: DONNE, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO NEI CAMPI DEL “GHETTO ITALIA”

 

Le braccianti nei campi tra caporalato, sfruttamento, stupri e morte.

Occorre organizzare la lotta.

Senza questa, le proposte, anche giuste, sono palliativi e la richiesta che le imprese riducano i loro profitti è una illusione, niente affatto scientifica

Quando pensiamo al lavoro agricolo andiamo con la mente alla fatica e al sudore di un’occupazione considerata, a torto, prevalentemente maschile. Le cose non stanno così. Nell’immaginario più comune si specchia un pregiudizio, visto che le donne, le braccianti, costituiscono un pezzo importante dell’offerta di lavoro in agricoltura. A dire il vero nella condizione delle braccianti, soprattutto se straniere, troviamo tutti i più terribili ingredienti delle nuove forme di sfruttamento.
Va detto innanzitutto che il lavoro femminile non sostituisce quello maschile, ma gli è complementare, soprattutto quando le donne sono impiegate per immagazzinare i prodotti agricoli dopo averli raccolti. Se si tratta di ortaggi le donne sono preferite agli uomini per via della maggiore delicatezza del lavoro da svolgere. La raccolta degli ortaggi può avvenire in serra, sotto grandi tendoni, al caldo asfissiante, dove all’umidità dobbiamo associare le esalazioni dei fitofarmaci e di altri veleni. Questo avviene in Calabria, nel Lazio, in Puglia, in Emilia.
Le donne, italiane e straniere, vengono condotte nei luoghi della raccolta dai caporali, trasportate per decine di chilometri dai punti di raccolta. Nel caso pugliese, i pulmini dei caporali partono dai comuni della provincia di Brindisi o di Taranto per raggiungere Bari e la Barletta-Andria-Trani, dove c’è la più forte concentrazione di imprese di una certa dimensione: capaci di assorbire manodopera in grande quantità. E in queste aziende può capitare che le braccianti siano sottoposte a forme di ricatto, anche sessuale, pur di mantenere il posto, per essere richiamate a lavorare l’indomani.
Il ricatto sessuale non è nuovo. Nella memoria delle braccianti pugliesi e siciliane, per esempio, il racconto degli stupri e dei palpeggiamenti da parte dei caporali e dei capisquadra è sempre stato frequente. Quello che cambia è la nazionalità delle donne ricattate. Sono per lo più rumene o centrafricane. In alcuni casi, come ci hanno raccontato alcune braccianti rumene della provincia di Taranto, le più giovani sono selezionate nude in una specie di turpe sfilata sotto i teloni di imprese non sempre piccole e spesso beneficiarie di lauti finanziamenti pubblici. Questa condizione rivela quanto sia maschilizzato il sistema dello sfruttamento. Le caporali, infatti, sono poche e certamente non assurgono ai vertici del sistema.
La manodopera femminile è un doppio serbatoio di gratificazione per i caporali: pecuniaria e sessuale. Nei ghetti dei braccianti il confine tra lavoro bracciantile e prostituzione è davvero labile. Questo fenomeno è osservabile nel ghetto di Rignano Garganico o in altri più piccoli ghetti della Capitanata. Qui le donne (nigeriane, altre centrafricane e rumene) sono prostituite nei bordelli e condotte nei campi come braccianti. Siamo in un regime di doppia riduzione a merce delle braccia e del sesso di queste immigrate. Le ragazze vengono vendute per i braccianti, ma sono gratuitamente a disposizione dei caporali e dei proprietari dei terreni sui quali lavorano e sono innalzati i ghetti. Ci è capitato di osservare questa situazione soprattutto nel foggiano, dove la già elevata domanda invernale di sesso a pagamento aumenta nella stagione estiva grazie all’arrivo di migliaia di maschi per la raccolta del pomodoro. E’ un circolo vizioso, un girone infernale che stritola le ragazze in una morsa di stress, affaticamento e malattia.
Le braccianti pagano, soprattutto se madri, l’inesistenza di sistemi di welfare adeguati al mercato del lavoro. E’ molto raro che un Comune apra un asilo o un nido notturno per i figli delle braccianti, e questo costituisce un impedimento alla continuità lavorativa che si ripercuote sulle garanzie contributive e retributive. D’altra parte, se alle braccianti viene sempre assegnato un numero di giornate agricole dichiarate all’INPS inferiore a quello delle giornate realmente lavorate, ci sarà una spiegazione. E queste giornate, poi, sono molte meno di quelle registrate per gli uomini. Sono certamente la più forte fragilità sociale, la tendenziale esclusione dal mercato del lavoro e una diffusa sottocultura che rendono le braccianti meno tutelate degli omologhi maschili, e meno visibili nel racconto mediatico sul lavoro agricolo.
In un sistema globale (gestito dalle grandi imprese della trasformazione agroindustriale e dalle grandi reti commerciali) per chi fissa il prezzo del prodotto agricolo a prescindere dal costo del lavoro, la manodopera femminile è una risorsa preziosa. Un prodotto può costare tanto ma contenere un dosaggio robusto di sfruttamento e di lavoro femminile (e maschile) nero e sottopagato.
In Puglia nel 2014 sono aumentate le donne straniere registrate come braccianti, mentre è diminuito il numero delle tutele a esse destinate. Il dato rivela una contraddizione interna al mercato del lavoro, mai sanata dalle normative e dalle ispezioni. Il prezzo del prodotto, incidendo sul tendenziale azzeramento del costo del lavoro come mai accaduto in precedenza nella storia contemporanea, gioca come una scommessa epocale contro i salari e contro la salute delle braccianti. Questo spiega, secondo noi, perché la scorsa estate ci sono stati sei morti nelle campagne pugliesi, tra i quali due donne.
Per porre rimedio a questa condizione disumana è necessario centralizzare nel sistema pubblico il collocamento delle/dei braccianti, sottrarlo alle agenzie informali (i caporali!) e a quelle interinali (non di rado in combutta con i caporali) di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Come è necessario che il trasporto e gli altri servizi siano garantiti dalle imprese e dalle istituzioni locali. Infine, gli stessi dispositivi contrattuali devono essere modificati al rialzo dei diritti: il ricorso al voucher, diffuso soprattutto al Nord, è un espediente adoperato dal sistema d’impresa più intelligente ed evoluto per ridurre salari e tutele e per evadere contributi. Perché questo accada, le grandi imprese dovranno ridurre i margini della rendita e del profitto accumulati sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli.  

Di Leonardo Palmisano e Yvan Sagnet.

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 29, 2016 09:07 PM
Subject: LA FRANCIA E NOI: 5 BREVI RIFLESSIONI

Al momento in cui scriviamo quest'articolo, la Francia è bloccata: le manifestazioni e gli scioperi settoriali e generali contro il progetto di riforma del diritto del lavoro si contano a decine e non accennano a finire.
Lo sciopero delle raffinerie ha lasciato a secco la maggior parte dei distributori di carburante, e quello delle centrali nucleari rischia di lasciare senza corrente il paese. Nel frattempo il governo ricorre ad una sorta di fiducia per blindare il provvedimento, mostrando contemporaneamente deboli segni di apertura al solo scopo di smontare una protesta enorme, la cui grandezza però non riesce ad attraversare le Alpi: sui nostri giornali, infatti, nessuna traccia. Sui social, intanto, decine e decine di lavoratori si disperano: perché loro sì e noi no? Per evitare di cadere in spiegazioni di ordine antropologico su una presunta “incapacità” degli italiani a mobilitarsi, proviamo a condividere alcune riflessioni, allo scopo di capire tutti insieme una cosa semplice: solo chi non lotta perde, e solo chi si arrende in partenza è sconfitto.
I SINDACATI FRANCESI E QUELLI ITALIANI.
L'OCSE riporta, per il 2013, una percentuale di lavoratori iscritti al sindacato pari al 7,7% in Francia, a oltre il 37% in Italia. La CGT, principale sindacato francese, paragonabile anche per storia politica alla nostra CGIL, nel lavoro privato conta l'1-2% di iscritti al massimo. Del resto anche i numeri italiani vanno ridimensionati, dal momento che degli oltre cinque milioni di tesserati dichiarati dalla CGIL per il 2015 quasi tre milioni sono pensionati, quindi non fanno parte della popolazione attiva. La copertura sindacale, invece, ovvero la quantità di lavoratori coperti da contrattazione collettiva, si aggira tra l'80% e il 90% in entrambi i paesi; sempre al di qua e al di là delle Alpi vigono norme simili sulla rappresentanza, quantificata sulla base del numero di iscritti e dei risultati elettorali delle diverse sigle. Insomma, la differenza fondamentale risiederebbe nella maggiore debolezza dei sindacati francesi rispetto a quelli italiani, dovuta al minor numero di iscritti. Ma è l'unica differenza?
LOTTA E CONCERTAZIONE
I sindacati francesi, a differenza di quelli italiani, non “cogestiscono” insieme ai padroni il mondo del lavoro. Tra le cause non vi è solo la relativa debolezza, ma anche il fatto che in Francia la legge, storicamente, è più “forte” della contrattazione: i sindacati e le associazioni padronali, nei contratti di categoria, possono “deliberare” su molte meno cose rispetto all'Italia, e hanno quindi meno poteri. Inoltre in Italia i sindacati più grandi gestiscono direttamente fondi pensione, CAF, siedono nei cosiddetti organismi bilaterali, nel CNEL, hanno insomma un ruolo che va ben oltre la rivendicazione e il conflitto, un ruolo anzi che vede questi ultimi due aspetti minoritari. A cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80 sia in Italia che in Francia una buona parte del mondo sindacale (in Italia la CGIL, in Francia la CFDT, simile alla CISL) ha abbracciato la linea della “compatibilità” con gli interessi dei padroni; l'Italia, però, è andata molto oltre, e i sindacati più grandi hanno progressivamente rinunciato alla lotta in cambio di un maggior potere di cogestione nel mondo del lavoro. Risultato: benché in linea con tutti i paesi industrializzati, le ore di sciopero sono calate molto più in Italia che in Francia. Nel 2008, secondo l'ILO, in Francia si è scioperato quasi il doppio che in Italia, e anche nel 2010, confrontando diversi studi, in Italia abbiamo fatto circa un milione di ore in meno di sciopero. Perché? Lo abbiamo appena detto: così come dei sindacati coinvolti (complici) nella gestione del lavoro hanno interesse a scioperare il meno possibile, allo stesso modo dei sindacati più deboli, come quelli francesi, hanno interesse, per questione di sopravvivenza e di appeal, ad assumere posizioni più radicali e a portare avanti le rivendicazioni con maggior determinazione. Va aggiunto, inoltre, che proprio per assecondare le esigenze “soporifere” dei nostri sindacati, negli ultimi 25 anni circa le leggi sullo sciopero in Italia sono diventate molto meno permissive e più severe.
NON C'È PIÙ NIENTE DA FARE?
Per nulla, anzi: dopo aver elencato alcuni degli elementi che rendono oggettivamente più difficile la lotta in Italia, ricordiamoci quanto è stato difficile, per i padroni, portare a casa il risultato. 13 anni ci sono voluti per cancellare l'articolo 18; un quindicennio circa per riformare le pensioni; ancora oggi, in alcune grandi aziende, il Jobs Act è stato disapplicato grazie alla forza dei lavoratori, che hanno pressato i loro rappresentanti sindacali. Ancora oggi si strappano notevoli aumenti salariali e si fanno cancellare licenziamenti, come nella logistica; ancora oggi i lavoratori in lotta ottengono di essere assunti dal pubblico e non essere più precari. Non c'è da disperarsi, quindi, né da pensare che altrove si vince magari perché gli altri “hanno le palle” e noi no: queste sono frasi di merda che abbiamo sentito dire da diversi sindacalisti per giustificare il loro opportunismo o inettitudine. La verità è che molto spesso i lavoratori che vogliono lottare devono scontrarsi prima col sindacalista, poi col padrone: due nemici al posto di uno! Tutto sta, invece, nel rendersi conto di quali sono i nostri punti di forza, da valorizzare, e le nostre debolezze da superare: il resto verrà facile, tanto finché ci saranno schiavi ci saranno rivolte. Per capire queste cose, guardiamo di nuovo a quello che succede al di là delle Alpi.
NOTTI IN PIEDI, GIORNI IN SCIOPERO!
Ha fatto tanto scalpore, e giustamente, il movimento di occupazione delle piazze che sta coinvolgendo centinaia di migliaia di cittadini francesi, un'ondata di partecipazione democratica che ha rotto il clima di isolamento e paura che era seguito agli attentati di Novembre. Nell'analizzare l'efficacia delle proteste, rendiamoci conto però che la loro principale forza sta nel gioco di sponda che sono riuscite a costruire con le mobilitazioni dei lavoratori. Ne hanno rilanciato e generalizzato i contenuti, sollevando la molteplicità di temi e problemi che si intrecciano a quelli dello sfruttamento nel luogo di lavoro. Sono così riusciti a dare risonanza e legittimazione alle forme di lotta più dure, dai cortei agli scioperi ai blocchi. Lotte spesso difficili da portare avanti, ma in grado di far paura realmente ai padroni e di toccare i gangli del potere. I lavoratori dei trasporti, dell'energia, della logistica, della meccanica, dei servizi pubblici, della grande distribuzione, per citare i principali settori essenziali della società contemporanea, quando decidono di astenersi dal lavoro, e di farlo in modo da creare un danno (quindi senza preavviso, il più a lungo possibile, ecc.). Iniziano a fare una danno, crescente di minuto in minuto, alla sola cosa che interessa ai padroni dopo ma forse più della loro stessa vita: le loro tasche. Non solo: quando l'astensione dal lavoro rende un paese ingovernabile, chi governa quel paese è costretto a intervenire perché il controllo gli può sfuggire rapidamente di mano. La risposta repressiva è sempre possibile, ma certamente non facile come quando una protesta non comporta nessun disagio; inoltre uno sciopero in un settore strategico (ad esempio i trasporti) è in grado di moltiplicare il danno: tutti i settori che sono infatti collegati ai trasporti vedranno i loro guadagni diminuiti a cascata! Il potere dei lavoratori è enorme, ed è necessario ricostruire la consapevolezza della nostra forza.
IL PUNTO DEBOLE DELLE LOTTE IN FRANCIA (E IN SPAGNA, GRECIA, PORTOGALLO…)
Prima o poi questa lotta finirà, portando a casa un risultato proporzionato all'intensità del combattimento che, crediamo, sarà positivo, qui ed ora, per i lavoratori francesi. Possiamo dire però da ora che non risolverà il nodo centrale, quello contro il quale si sono scontrati, negli scorsi anni, anche i lavoratori di altri paesi, e anche noi. E’ evidente, infatti, guardando il succo delle riforme in atto in Europa, che la direzione dei padroni è unica: farci lavorare più tempo, pagarci di meno, licenziarci quando vogliono. Il Jobs Act andava in questa direzione, la legge El-Khomri va in questa direzione, la riforma in discussione proprio in questi giorni in Belgio va in questa direzione, l'unica possibile per i padroni oggi. L'attacco è lo stesso, ma la risposta è stata sempre separata: oggi, ad esempio, il punto debole dei francesi... siamo noi! Una nuova stagione di lotte in Italia, ad esempio contro il Jobs Act, significherebbe riaprire il conflitto in un paese che, ancora oggi, è uno dei giganti mondiali della produzione di merci, il secondo paese produttore in Europa dopo la Germania. Unire le lotte e le vertenze dei lavoratori in Italia significherebbe alzare enormemente il livello di conflitto in Europa. Il secondo paese produttore è, ovviamente, un sorvegliato speciale: non è un caso che da noi lottare è diventato così difficile, i sindacati così corrotti, la sfiducia così generalizzata. Ma niente, nella società, è incontrovertibile, soprattutto quando si parla di lavoro. Il meglio che possiamo fare, quindi, è generalizzare il conflitto; parlarci tra lavoratori; liberarci dei sindacalisti inutili, codardi e corrotti ricostruendo le nostre organizzazioni e dandoci nuovi rappresentanti; individuare dei temi generali (la cancellazione del Jobs Act, ad esempio) e concentrare le lotte su obiettivi unitari; guardare a chi lotta fuori dai nostri confini, o a chi lo fa qui da noi senza essere nato in Italia, come ad un fratello, non ad un nemico. La vittoria di un singolo lavoratore in un qualunque paese del mondo è una vittoria per tutti noi!

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 29, 2016 09:07 PM
Subject: ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO: CONFINDUSTRIA STRINGE L'ACCORDO

L'alternanza scuola-lavoro prende forma in questi mesi, in preparazione del prossimo anno scolastico, Confidustria e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca hanno siglato un accordo in cui individuano gli istituti e le imprese in cui tale alternanza si realizzerà.
In particolare, si tratta degli studenti di ITIS Tullio Buzzi di Prato, ITIS Antonio Meucci di Firenze, ISIS Leonardo Da Vinci di Firenze, ITT Sarrocchi di Siena, Istituto Professionale Chino Chini di Borgo San Lorenzo (FI), ITT Balducci di Pontassieve (FI) che potranno andare a lavorare almeno 400 ore nel secondo biennio (come previsto dalla Legge 1107/15 "Buona Scuola") nelle seguenti imprese: Ge Oil & Gas Nuovo Pignone, GKN, Fasep 2000, Knorr-Bremse, OCEM, TecnoSystem, K-Array, Pear.
Nel comunicato stampa, Confindustria per ora può cantare vittoria: "Quando si lavora in sinergia per il raggiungimento di uno stesso fine i risultati sono tangibili” – “sottolinea Alfredo Coltelli, presidente della Sezione Metalmeccanica di Confindustria Firenze – “Scuola e impresa stanno finalmente parlando un linguaggio comune; il protocollo firmato oggi dimostra che è possibile creare una cultura di impresa già sui banchi di scuola, che orienta gli alunni in scelte più consapevoli, rendendo nel contempo le scuole più attraenti perché connesse con le realtà industriali del territorio" .
Allo stesso tempo, il Sottosegretario del MIUR, Gabriele Toccafondi, può ritenersi soddisfatto per aver dato seguito a un protocollo d'intesa, siglato nel dicembre 2015, in cui le parti interessate (Città Metropolitana Firenze, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Firenze, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana e Confindustria Firenze, ad eccezione dei protagonisti, ovviamente, gli studenti!) si impegnavano a dare concretezza a tale percorso.
A questo punto, tocca a noi.

Dobbiamo ribadire in tutti le occasioni possibili che l'alternanza scuola-lavoro non riduce la dispersione scolastica, né risolve il problema della disoccupazione giovanile.

Al contrario, si tratta, come abbiamo provato ad argomentare nel documento “L'alternanza scuola lavoro. Ovvero perchè la riforma della scuola riguarda tutti noi”:

dell'ennesimo elemento di competizione a ribasso sui salari e diritti, poiché gli studenti e gli  stagisti rappresenteranno un ulteriore incentivo per le imprese a non assumere.
Dobbiamo, lottare nelle scuole per far rispettare almeno tre punti:
-         gli stage non devono essere obbligatori (alternativa non penalizzante per chi non vuole farli) e devono essere retribuiti!
-         nessuna azienda che abbia licenziato, delocalizzato, avviato mobilità, attivato cassa integrazione o ristrutturato in peggio le condizioni salariali e lavorative negli ultimi anni può fare domanda per avere stagisti: nessuna speculazione sulla pelle dei lavoratori!
-         neanche un euro deve essere dato alle aziende: i finanziamenti stanziati devono essere destinati a potenziare l'offerta formativa all'interno della scuola, non a fare ulteriori regalini alle imprese.
Ma non solo, a questo punto, dobbiamo prendere contatto con i lavoratori delle aziende, a partire da quelle sopralencate, e sperimentare forme di lotta unitarie contro il lavoro gratuito.

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From: Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
To:
Sent: Sunday, May 29, 2016 7:49 PM
Subject: SOLIDARIETA’ PER GINA DE ANGELI

IL “REATO” E’ CRIMINALIZZARE LA SOLIDARIETA’!
Nell'emettere un Decreto Penale di condanna contro una lavoratrice della sanità che solidarizza con altre lavoratrici in lotta a difesa del proprio posto di lavoro, la magistratura ha sanzionato la solidarietà, come troppo spesso sanziona chi lotta per aver perso il lavoro, per vivere in povertà, per essere disoccupato o costretto ad accettare l'elemosina. Questa giusta ribellione è oggetto di repressione.
L'infermiera Gina De Angeli, per essere a fianco delle lavoratrici delle pulizie ed aver difeso il diritto al lavoro e alla salute é stata colpita da un Decreto Penale di condanna esecutivo (10 giorni di arresto o il pagamento di 2.500 euro di multa) in base al Regio Decreto del 18 giugno 1931 n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), emanato dal ventennio fascista. Il “reato” è aver solidarizzato e sostenuto le lavoratrici dell'azienda "Dussman Service" in lotta per il posto di lavoro, al presidio organizzato dai sindacati.
La lotta collettiva, cosciente e organizzata è l'unico antidoto a gesti di disperazione e di autodistruzione ai quali assistiamo quotidianamente, gesti che arrivano fino al suicidio per l'umiliazione di essere stati cacciati dal posto di lavoro o da una abitazione. Per non parlare di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Nella provincia di Massa Carrara vi sono state tre vittime in pochi giorni.
Di questo (!), dovrebbero occuparsi i magistrati, sanzionando i datori di lavoro prima ancora di ogni tragedia. E' questo il “contributo” che devono dare per salvare la vita di chi produce la ricchezza nel paese.
E invece, questi magistrati, si accaniscono contro la solidarietà tra lavoratori e lavoratrici, tra lavoratori e disoccupati, e assecondano le politiche di abbandono sulla sicurezza e di sopraffazione nei luoghi di lavoro.
Per la salute, la sicurezza, il lavoro, la sanità pubblica, ecc. la lotta e l'organizzazione rappresentano il centro per la difesa ed il motore di avanzamento.
Le azioni repressive, intimidatorie e provocatorie vanno denunciate e respinte con forza, sviluppando quelle energie, necessarie a far sì che diritti inviolabili come la vita, la salute, il lavoro, non siano subordinati ad alcuna norma, alcun contratto, alcuna legge.

27 maggio 2016
Collettivo per la solidarietà e l'unità

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, June 01, 2016 8:42 AM
Subject: REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 5 MESI DEL 2016

Finalmente assistiamo a un calo delle morti per infortuni sui luoghi di lavoro, rispetto al 31 maggio del 2015. Un calo abbastanza importante, dell’8,5%. Ma se lo andiamo a rapportare il numero di morti al 31 maggio del 2008, anno d’apertura dell’Osservatorio, il calo è inesistente.
Altro che costante calo delle morti da dieci anni. Erano dall’inizio del 2008 al 31 maggio 234. E questo nonostante la perdita di tantissimi posti di lavoro in regola, che sono andati a finire nel precariato e in nero.
Drammatica anche quest’anno la situazione in agricoltura e in edilizia. Negli ultimi sette giorni sono morti 8 agricoltori schiacciati dal trattore. Uno anche ieri. Anche in edilizia la situazione è drammatica. Ieri è morto dopo giorni d’agonia Mario Cannavò a soli 24 anni. La famiglia ha donato gli organi. L’agricoltura e l’edilizia hanno da sole oltre il 50% delle morti sui luoghi di lavoro tutti gli anni.
Impressionante anche le morti per infortuni in tarda età. La legge Monti/Fornero che non ha distinto nell’allungamento dell’età pensionabili tra chi svolge lavori pericolosi per se e per gli altri ha incrementato le morti tra gli ultrasessantenni che da soli rappresentano oltre il 20% di tutte le morti per infortuni sui luoghi di lavoro.
Se poi aggiungiamo le morti sulle strade e in itinere si arriva a sfiorare al 31 maggio i 500 morti complessivi. Questo se si tiene conto che l’INAIL monitora solo i propri assicurati e in tanti non lo sono. Come per esempio i Vigili del Fuoco che sono rimasti in sette intossicati ieri sera in una fabbrica in provincia di Cuneo.
Gli stranieri morti per infortuni sul lavoro sono tutti gli anni dai 10 ai 15%. I romeni rappresentano quasi un terzo delle morti. Abbiamo deciso di presentarlo anche nella loro lingua (molto simile all’italiano). La pagina che creeremo sarà a cura di Nicola Irimia conosciuto come la Iena Operaia.
Ieri ho partecipato alla trasmissione Fuori Tg sulla rete tre condotto egregiamente da Maria Rosaria De Medici. Voglio ringraziare pubblicamente la RAI che svolge un ottimo Servizio Pubblico. La TV di Stato si occupa costantemente di queste tragedie, come di tutte le problematiche sociali. Le TV commerciali mai si sono interessate alle morti sul lavoro se non per “buttarsi sull’osso” quando ci sono infortuni mortali multipli o particolarmente drammatici. Il sensazionalismo in queste tragedie che portano il lutto a migliaia di famiglie dura un attimo e non serve niente, neppure a lavarsi le coscienze.
Sorprendente in questi primi cinque mesi l’andamento delle morti della Lombardia che registra un fortissimo calo. Occorre tenere presente che la Lombardia ha il doppio degli abitanti di qualsiasi altra regione italiana e che il numero di abitanti è il solo parametro valido per verificare l’andamento di queste tragedie e questo perché a morire sono tantissime persone che non sono coperte da nessuna assicurazione.
SONO 233 I MORTI PER INFORTUNI SUI LUOGHI DI LAVORO DALL’INIZIO DELL’ANNO.
Oltre 490 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere. Rispetto al 31 maggio del 2015 registriamo un calo dell'8,7%. Rispetto al 31 maggio del 2008 il calo è solo dell'1,3%. Ricordiamo che l'INAL Istituto dello Stato, monitora solo i propri assicurati, anche perché le morti per infortuni in categorie che non assicura, e in nero non sono di sua competenza.
Riporto a seguire i morti per infortuni sui luoghi di lavoro nel 2016 per regione e provincia in ordine decrescente. I morti sulle autostrade e all’estero non sono conteggiate nelle province
CAMPANIA 23: Napoli 13, Salerno 5, Caserta 3, Avellino 2.
EMILIA-ROMAGNA 22: Reggio Emilia 5, Bologna 4, Forlì Cesena 4, Modena 2, Piacenza 2, Ferrara 1, Parma 1, Ravenna 2, Rimini 1.
VENETO 20: Vicenza 6, Padova 5, Treviso 3, Verona 3, Venezia 2, Belluno 1.
TOSCANA 20: Massa Carrara 6, Arezzo 4, Lucca 3, Livorno 2, Pisa 2, Siena 2, Pistoia 1, Prato 1.
SICILIA 18: Catania 5, Agrigento 3, Caltanissetta 3, Messina 3, Palermo 1, Enna 1, Ragusa 1, Trapani 1.
PIEMONTE 15: Cuneo 7, Asti 3, Torino 3, Alessandria 1, Vercelli 1.
LAZIO 15: Roma 6, Viterbo 4, Latina 3, Frosinone 2.
PUGLIA 14: Taranto 7, Barletta Andria Trani 2, Foggia 2, Lecce 2, Brindisi 1.
LOMBARDIA 14: Brescia 6, Bergamo 3, Como 2, Pavia 2, Milano 1.
TRENTINO-ALTO ADIGE 7: Trento 4, Bolzano 3.
SARDEGNA 8: Cagliari 4, Sassari 3, Oristano 1.
MARCHE 8: Macerata 4, Ancona 2, Ascoli Piceno 1.
ABRUZZO 9: Chieti 4, Pescara 2, Teramo 2, L'Aquila 1.
CALABRIA 6: Catanzaro 3, Cosenza 1, Reggio Calabria 1, Vibo Valentia 1.
UMBRIA 4: Terni 3, Perugia 1.
MOLISE 4: Campobasso 4.
LIGURIA 3: Genova 2, Imperia 1.
FRIULI VENEZIA GIULIA 2: Pordenone 1, Udine 1.
Consigliamo a tutti quelli che si occupano di queste tragedie di separare chi muore per infortuni sui luoghi di lavoro, da chi muore sulle strade e in itinere con un mezzo di trasporto.
I lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere sono a tutti gli effetti morti per infortunio sul lavoro, ma richiedono interventi completamente diversi dai lavoratori morti sui luoghi di lavoro. E su questo aspetto che si fa una gran confusione. Ci sono categorie come i metalmeccanici che sui luoghi di lavoro hanno pochissime vittime per infortuni, poi, nelle statistiche ufficiali, non separando chiaramente le morti causate dall’itinere, dalle morti sui luoghi di lavoro, risultano morire in tantissimi in questa categoria che è numerosissima e ha una forte mobilità per recarsi o tornare dai luoghi di lavoro.
Anche quest’anno una strage di agricoltori schiacciati dal trattore, sono già 41 dall’inizio dell’anno, Tutti gli anni sui LUOGHI DI LAVORO il 20% di tutte le morti per infortuni sono provocate da questo mezzo. 132 sono i morti schiacciati dal trattore nel 2015 e 152 nel 2014. Contiamo molto della sensibilità dei media e dei cittadini che a centinaia ogni giorno visitano il sito. In questi nove anni di monitoraggio le percentuali delle morti nelle diverse categorie sono sempre le stesse: l’agricoltura sempre la categoria con più vittime, seguono l’edilizia, i servizi, i metalmeccanici e l’autotrasporto.
MORTI SUL LAVORO NEL 2015
Le morti sulle autostrade e all’estero non sono segnalate nelle province
Sono stati 678 i morti per infortuni sui luoghi di lavoro nel 2015
Contro i 661 del 2014 (+2,6%). Erano 637 nel 2008 (+6,1%).
L’INAIL nel 2014 ha riconosciuto complessivamente 662 morti sul lavoro, di questi il 52% sono decessi in itinere e sulle strade ma le denunce per infortuni mortali sono state 1.107. Crediamo che anche per il 2015 ci siano più o meno le stesse percentuali. Nel 2015 tra gli assicurati INAIL c’è stata un'inversione di tendenza, per la prima volta dopo tantissimi anni questo Istituto vede aumentare le denunce per infortuni mortali. Ma le denunce non comportano necessariamente un riconoscimento dell'infortunio mortale. Sta a noi che svolgiamo un lavoro volontario, senza interesse di nessun tipo, far conoscere anche questo aspetto ai cittadini italiani.
Carlo Soricelli
31 maggio 2016

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To:
Sent: Tuesday, May 31, 2016 12:25 PM
Subject: IN NOME DEL POPOLO O DEI MERCATI INTERNAZIONALI?

Campeggia nei corridoi della sezione lavoro del Tribunale di Milano, da alcuni giorni, un singolare manifesto di promozione di un corso dal titolo “Licenziamento collettivo e diritto dell’unione europea”, che attira l’attenzione per il contenuto del testo di presentazione dell’incontro.
Per l’ignota mano che ha vergato la locandina “le riforme del lavoro varate negli ultimi tre anni incidono profondamente sulla regolamentazione del mercato del lavoro italiano. Alla base delle riforme sembra di intravedere un vero e proprio cambio di paradigma. La cultura del novecento concepiva il diritto del lavoro come un ordinamento giuridico volto a soddisfare il bisogno di tutela del lavoratore ed a riequilibrare i rapporti di forza tra capitale e lavoro”.
A questa considerazione preliminare, fa seguito un giudizio tranciante: “Quest’impianto ha mostrato, nel tempo, di non essere in grado di rappresentare la complessità del mondo del lavoro e offrire strumenti di inclusione per quelle fasce, sempre più ampie, di lavoratori privi di diritti. In particolare, l’esigenza di attrarre investimenti stranieri e, al contempo, convincere le aziende a non delocalizzare verso mercati del lavoro più convenienti richiede, certamente, forti dosi di flessibilità”.
Ecco dunque la soluzione del problema: “Le riforme del lavoro in Italia (dalla legge Fornero al cosiddetto Jobs Act), in questo contesto, hanno introdotto un sistema, complesso, introducendo numerosi elementi di flessibilità (sia in entrata che in uscita dal rapporto di lavoro) ed un mix di politiche attive a sostegno di chi ha perso il lavoro. Il contraltare a questo massiccio sistema di flessibilità è (almeno nelle intenzioni del legislatore) l’incentivo al contratto di lavoro a tempo indeterminato accompagnato dall’estensione delle forme di sostegno al reddito”.
Non manca, infine, il riferimento al “ruolo del sindacato (nel mutato contesto normativo)” e “alle nuove frontiere della contrattazione collettiva (soprattutto aziendale)”.
Sono elencati, nel breve spazio di poche righe, tutti i “luoghi comuni” dell’unica “ideologia rimasta dopo la fine delle ideologie” asetticamente applicati al mondo del lavoro (ora diventato “mercato”) in questo vero e proprio manifesto neoliberista: la tutela del lavoro come ferrovecchio novecentesco, “l’esigenza di attrarre investimenti stranieri” come valore primario, la flessicurezza quale obbiettivo della legislazione del lavoro, la Legge Fornero ed il Jobs Act come attuazione di questo nuovo fine legislativo, l’opportunità di un “nuovo ruolo” del sindacato, la centralità della contrattazione aziendale a scapito della contrattazione collettiva.
Nessuna sorpresa se si trattasse del manifesto di presentazione di un incontro organizzato dall’Associazione degli Industriali o dalla Mont Pelerin Society; ciò che sconcerta, in questo caso, è che si tratta di un incontro di formazione dei magistrati, organizzato direttamente dalla “Scuola Superiore della Magistratura”.
Ecco servita l’ultima esemplificazione del modo in cui la dottrina neoliberista, negli ultimi trent’anni e alla “fine della storia”, ha conquistato la completa, gramsciana “egemonia culturale”: la produzione di migliaia di saggi, articoli, convegni che hanno permesso ai rinnovati dogmi del libero mercato e del laissez faire di insinuarsi silenziosamente nelle accademie, nei governi e, da ultimo, in ampi strati della magistratura del lavoro.
E’ l’abile creazione, per riprendere le splendide parole del compianto Luciano Gallino, dell’ “intellettuale collettivo” sortito dalle fondamenta della Mont Pelerin Society; è il ribaltamento dei pilastri repubblicani con la sostituzione, quale fondamento della democrazia, dei mercati in luogo del lavoro, così come auspicato alcuni anni orsono nel noto report della banca d’affari Morgan in cui si censurava, tra i diversi vizi di una costituzione definita “socialista”, proprio la tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori.
Non pare un caso, dunque, se in sempre più numerose pronunce della giurisprudenza viene spesso richiamata la “libertà di iniziativa economica privata” tutelata dall’articolo 41 della Costituzione per giustificare l’insindacabilità giudiziaria nel merito perfino delle operazioni imprenditoriali più improbabili foriere di dubbi licenziamenti economici o che, addirittura, si giustifichi il licenziamento del lavoratore per eccessiva morbilità anche durante il periodo di conservazione del posto di lavoro.
In tale inquietante contesto, l’inopportuna presentazione dell’incontro della Scuola Superiore della Magistratura stimola una domanda più preoccupata che provocatoria: la nuova generazione di magistrati del lavoro giudicherà in nome del popolo italiano o dei mercati internazionali?

19 maggio 2016
di Domenico Tambasco

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, June 02, 2016 2:31 AM
Subject: NE ABBIAMO ABBASTANZA!

da USB
28/05/16

Giovedì  l'assemblea di Confindustria, con l'insediamento del nuovo presidente, Vincenzo Boccia, ha chiarito le linee politiche del nuovo corso, senza sostanziali novità in realtà, ma con una rinnovata attenzione alla politica.
Il neo presidente infatti ha rimarcato il suo appoggio al governo Renzi  a partire dall'incondizionata approvazione  delle riforme istituzionali: l'eliminazione del bicameralismo perfetto con il Senato non più eleggibile, la legge elettorale che consegnerà il governo a un uomo solo al comando, la riforma del Titolo V della Costituzione che darà un colpo al “federalismo all'amatriciana” di rutelliana memoria sottraendo alle Regioni  molte delle competenze, come ad  esempio in materia di politica ambientale ed energetica e finanche sanitaria.
Naturalmente il suo plauso non si è limitato a questo: osanna particolari sono state rivolte alle altre grandi riforme attuate da questo esecutivo, dal Jobs Act alla detassazione e decontribuzione dei salari che, i cui benefici per inciso ricadranno per la stragrande maggioranza sulle imprese, mentre i lavoratori pagheranno due volte vista la scarsa incidenza sulle buste paghe e l'enorme dimagrimento delle casse dell'INPS.
Sarà un caso che in contemporanea con le richieste del padronato di rendere strutturale questi provvedimenti si sia scatenata un'immane campagna mediatica e istituzionale sull'insostenibilità dell'attuale sistema pensionistico pubblico e sull' implosione prossima dell'INPS al fine di promuovere i fondi previdenziali privati.
Sarebbe divertente capire come i precari che nella stragrande maggioranza dei casi arrivano a percepire redditi spesso inferiori alle pensioni minime, possano destinare parte del loro salario alle pensioni integrative!
Questa volta hanno evitato persino di invocare non la guerra all'evasione fiscale e contributiva: un'ipocrisia di meno, considerato che sanno benissimo che il sistema economico italiano è basato per molta parte sull'economia illegale e criminale.
Non poteva mancare l'ennesimo appello alla spending rewiev e cioè ai tagli alla spesa sociale ritenuta "una mission strategica".
Dove non hanno taciuto è stato ovviamente sulla questione del rinnovo dei contratti  e del salario, a loro giudizio strettamente legati all'aumento  della produttività e quindi dello sfruttamento, dell'aumento dei carichi e degli orari di lavoro (Marchionne docet!) e all'effettiva abolizione del Contratto Nazionale in favore della contrattazione aziendale basata sulla meritocrazia e sugli incentivi,  senza tetti di salario e di premi e non per indebolire e frammentare ancora di più l'unità dei lavoratori, per carità! Semplicemente avendo nel cuore il futuro dei giovani e del paese!
Per l'immediato la ripresa dei rapporti con CGIL, CISL, UIL va di pari passo con la stessa ritrovata sintonia dei confederali ai tavoli con il Governo sul tema dell'occupazione e delle pensioni: vistoso passo indietro di Renzi, seriamente preoccupato sia per l'esito delle  elezioni amministrative che del referendum istituzionale che consigliano di ritornare a tenersi buoni questi sindacati offrendo loro la carota delle consultazioni.
In Francia l'adozione della “loi du travail” da parte del governo Hollande sta provocando mobilitazioni scioperi generali e di categoria,  capaci di bloccare un intero paese anche contro lo stato d'emergenza imposto dopo gli attacchi terroristici;  da noi il Jobs Act, ha rappresentato un importante elemento costituente di un modello sociale che,  insieme a  tutte le riforme antidemocratiche e autoritarie attuate da Monti a Renzi, ma ispirate e pretese dall'Unione Europea, stanno spostando vistosamente i rapporti di forza dalla parte dei poteri forti economici e finanziari, mentre fasce sempre più ampie di popolazione conoscono solo precarietà e povertà.
La soddisfazione di Confindustria è palese, la complicità di CGIL, CISL, UIL altrettanto.
E' veramente arrivata l'ora di rafforzare il conflitto, di generalizzarlo per riconquistare diritti sociali libertà sindacali, fuori dalle gabbie delle leggi antisciopero e del 10 Gennaio, costruendo alleanze con tutti coloro che sono costretti a non programmare né presente né futuro.
Ne abbiamo abbastanza!

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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Friday, June 03, 2016 2:49 PM
Subject: ITALIA: 4 GIORNI PER FERMARE IL GLISOFATO

Vi giro la petizione sul glisofato.
Saluti
Gino Carpentiero

C’è un erbicida (il glifosato) che gli scienziati hanno detto essere “probabilmente cancerogeno” e che è talmente diffuso che è stato trovato anche nel sangue umano, senza che nessuno di noi sappia di esservi esposto.
Ora, per la prima volta, il glifosato potrebbe essere messo al bando.
E’ da un anno che la Monsanto pressa l’Europa per il rinnovo della licenza di questo veleno, ma ogni volta siamo riusciti a bloccarli. Ora, tra pochi giorni, ci sarà l’ultimo tentativo di rinnovo e le multinazionali della chimica stanno facendo di tutto per ottenerlo.
Ma la pressione dal basso sta funzionando e, contro ogni previsione, abbiamo un’incredibile possibilità di vincere. 
Il voto è tra 4 giorni! Firma ora, tutti assieme possiamo togliere questo veleno dalle nostre tavole. E ogni firma conta: le mostreremo tutte su degli schermi mentre i rappresentanti dei paesi europei staranno entrando nella sala del voto:
https://secure.avaaz.org/it/stop_glyphosate_loc_eu/?bLYkefb&cl=10084547113&v=77184
Siamo tutti a rischio e non solo per la nostra salute: l’agricoltura su scala industriale che si basa sull’uso massiccio di prodotti chimici produce un terzo delle emissioni di gas serra ed è devastante per gli ecosistemi e la biodiversità. Prima smetteremo di usare il glifosato e meglio sarà. E’ una sfida cruciale per il nostro futuro e questo enorme movimento che è nato contro il glifosato può essere la chiave per vincere. 
Un anno fa il rinnovo era dato per sicuro, con una decisione che sarebbe stata presa in silenzio e a porte chiuse. Ma poi ci sono state la nostra petizione, decine di migliaia di telefonate, email e post sui social network a tutti i politici europei e nazionali, manifestazioni e proteste e un movimento che ormai comprende centinaia di organizzazioni... tutti assieme abbiamo reso possibile quello che sembrava impossibile, e ora manca pochissimo.
La Monsanto però è una delle aziende più potenti del mondo, e il glifosato sta alla base del suo impero perché porta miliardi di introiti ogni anno. Per questo dobbiamo far capire a chi prenderà questa decisione che un numero senza precedenti di cittadini chiede di dare priorità al principio di precauzione invece che ai profitti di una multinazionale.
Vincere contro Monsanto in Europa significa fare un primo fondamentale passo verso un Pianeta senza glifosato. E significa anche sfidare il modo assurdo in cui queste sostanze vengono usate e approvate, e cominciare a riprenderci le nostre democrazie dal controllo delle grandi multinazionali. È davvero la nostra occasione per cambiare il futuro del nostro cibo, facciamo di tutto affinché accada!
Con determinazione e speranza,
Bert, Pascal, Alice, Lisa, Camille, Luca, Antonia e tutto il team di Avaaz
MAGGIORI INFORMAZIONI  
Pesticidi, sul glifosato la Commissione europea prende tempo (Stampa):
Glifosato e sicurezza, l’Europa ancora non decide (Wired):
Pagina ufficiale della coalizione italiana StopGlifosato:

Tracce glifosato in birra tedesca, pane britannico e acque Italia (Aska News):
Così il glifosato dai campi finisce nella pipì (Vita):
Monsanto, il suo fiore all’occhiello è il Roundup (glifosato) sotto i riflettori della Ue (Il Sole 24 ore):

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Friday, June 03, 2016 4:02 PM
Subject: 8 GIUGNO: ASSEMBLEA NAZIONALE DEI FERROVIERI

Basta contratti a perdere!
Mercoledì 8 giugno ore 10:30
Sala del Consiglio Metropolitano
via Giolitti, 231 Roma
ASSEMBLEA NAZIONALE DEI FERROVIERI
Ridurre l'orario di lavoro
Pensioni
Sicurezza
NO alla privatizzazione delle FS e all'autoritarismo aziendale
Stato della vertenza e sintesi delle piattaforme
Verso lo sciopero

CAT - Coordinamento Autorganizzato Trasportio
Trasporti CUB
SGB - Sindacato Generale di Base
USB - Unione Sindacale di Base

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