lunedì 20 giugno 2016

20 giugno - Sull'Ilva di Taranto: dal blog tarantocontro



ILVA - AFO 5 SPENTO PER SEMPRE FORNIVA IL 40% della produzione, tagli occupazionali ormai inevitabili
L'Altoforno 5 spento per sempre
Mittal e Erdemir concordano: no alla riparazione
L’altoforno 5 dell’Ilva, il più grande d’Europa, che garantisce il 40% della produzione del Siderurgico di Taranto, oggi fermo, non ripartirà. Mai.
Su questo sarebbero d’accordo i due papabili acquirenti della grande fabbrica, vale a dire ArcelorMittal - che corre con Marcegaglia, relegata in netta posizione minoritaria - ed i turchi di Erdemir, veri leader della cordata che coinvolge anche Arvedi e che dovrebbe attrarre l’asse Cassa Depositi e Prestiti, finanziatore di fatto pubblico dell’operazione, e Del Vecchio (Luxottica).
L’indiscrezione è raccolta dall’agenzia Ansa: entrambi i piani industriali delle due cordate prevedono livelli di produzione ampiamente al di sotto delle potenzialità produttive di Taranto e anche ampiamente al di sotto del tetto fissato dal Piano Ambientale del 2014 poco sopra gli 8 milioni di tonnellate di produzione. Ci sarà quindi un ridimensionamento dell’Ilva almeno nel breve e medio periodo.
Infatti, sia il piano ArcelorMittal/Marcegaglia sia il piano Arvedi prevede di lasciare fermo l’Altoforno 5. Secondo il piano di Arcelor, colosso mondiale dell’acciaio, la produzione dell’Ilva sarà portata al massimo a 6 milioni di tonnellate. Un livello che consentirebbe comunque di raggiungere il break even in tre anni anche grazie all’inserimento nelle linee produttive di prodotti ad alto valore aggiunto.
L’ipotesi di rimettere in funzione l’Afo 5 (per il quale l’amministrazione straordinaria avrebbe già speso in materiali per l’ammodernamento 100 milioni di euro) sembrerebbe - secondo il gruppo con sede in Lussemburgo - alquanto lontana e incerta, demandata genericamente all’andamento del mercato. Anche il piano Arverdi, dice l’Ansa non prevede il rifacimento dell’Afo 5. E questa è una novità. Il progetto del gruppo italiano, che nei giorni scorsi avrebbe raggiunto un accordo con Erdemir, prevede di aggiungere due forni elettrici agli attuali tre altiforni in funzione, ma anche qui la produzione totale non dovrebbe superare i 6 milioni di tonnellate.
Con questi livelli di produzione i tagli occupazionali rischiano di essere draconiani. Mercoledì Arvedi e Erdemir saranno ascoltati in commissione Industria del Senato, dove hanno già esposto il loro ‘piano Ilva’ gli uomini di ArcelorMittal; il giorno prima, martedì, il ministro per lo Sviluppo Economico Calenda ed il vice, la pugliese Bellanova, incontreranno i sindacati, che non nascondono preoccupazione.
«Sull’Ilva si continua a perdere tempo e il tempo non è un fattore secondario, ora perdiamo 20 milioni al mese», dice il segretario generale della Uilm Rocco Palombella che insieme a Maurizio Landini, della Fiom, e Marco Bentivogli, Fim Cisl, ha chiesto il vertice con il Mise. «Da quello che sappiamo c’è il concreto rischio di un pesante ridimensionamento dei livelli occupazionali. Una vera catastrofe per le famiglie di Taranto e per la città», continua Palombella. Secondo quanto riferisce Mf, l’allenza Arvedi-Erdemir porterà alla formazione di una newco capitalizzata per una cifra che oscilla fra 900mila e 1 miliardo di euro. A Erdemir andrebbe il 30-35% del capitale e ad Arvedi fra il 9 e 10%. Ai due gruppi si assocerebbero Cassa Depositi prestiti e Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio. Netto il rapporto di forza nell’altra cordata, con Marcegaglia non oltre il 15% e ArcelorMittal all’85%.

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