venerdì 17 giugno 2016

17 giugno - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 258 DEL 17/06/16



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

REQUISITI DEI LUOGHI DI LAVORI E ORGANIZZAZIONE DELLA SALUTE E SICUREZZA
1
I RITARDI SULLE BONIFICHE DELL’AMIANTO NON HANNO SCUSE MA HANNO SICURAMENTE DEI COLPEVOLI
6
OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO DERIVANTI DALL’ARTICOLO 2087 DEL CODICE CIVILE
8
PREPARAZIONE E GESTIONE DELLE EMERGENZE SECONDO IL NUOVO CODICE
10
IMPARARE DAGLI ERRORI: PIATTAFORME, LINEE ELETTRICHE E STABILIZZATORI
13
STORIE DI INFORTUNIO: LA MIA STORIA TRA LE DITA
15


REQUISITI DEI LUOGHI DI LAVORI E ORGANIZZAZIONE DELLA SALUTE E SICUREZZA
LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.76

Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti dei lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.
Marco Spezia


QUESITO

Ciao,
l’azienda dove lavoro non ha mai adeguato i sistemi di sorveglianza e tutela della salute a quanto dettato dal D.Lgs. 81/08.
Nella sostanza ci troviamo in presenza di specifiche violazioni inerenti:
-         microclima: assenza di regolazione climatica e relativa umidità dall’interno delle cabine dove operano i lavoratori, cabine dotate di ampia metratura, ma schermata da tendine non atte allo scopo;
-         immissione di aria forzata o pressurizzata all’interno delle cabine: l’impianto immette aria ventilata all’interno della cabina non tenendo conto dei vari periodi di presenza di inquinanti e delle condizioni climatiche; inoltre il flusso d’aria è perpendicolare al sedile dell’operatore con conseguenze negative sull’apparato muscolo scheletrico;
-         ergonomicità: presenza di spigoli vivi nell’area di lavoro dell’addetto ove è presente videoterminale;
-         sicurezza zona uffici: assenza di porte antipanico e presenza di grate in ferro alle finestre;
-         inadeguatezza dell’illuminazione: scarsissima illuminazione delle aree di transito veicolare che sottopongono l’operatore a elevato rischio di investimento;
-         agenti atmosferici: assenza di qualsiasi copertura nelle aree di passaggio pedonale: l’operatore è costretto ad operare sotto le intemperie;
-         salute: assenza di scheda di valutazione dei rischi, assenza di fascicoli sanitari del lavoratore, visite mediche non specifiche per la peculiarità della mansione svolta;
-         assenza di Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza.
Puoi darmi qualche indicazione a proposito di quanto segnalato.

RISPOSTA
Ciao,
in merito ai problemi da te lamentati ti riporto a seguire cosa prevede la normativa in materia, relativamente ai requisiti che devono avere i luoghi di lavoro e in merito alla organizzazione del lavoro per ridurre gli altri rischi da te lamentati (sorveglianza sanitaria, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ecc.).

MICROCLIMA E IMMISSIONE ARIA FORZATA O PRESSURIZZAZIONE
I luoghi di lavoro devono possedere caratteristiche microclimatiche adeguate al lavoro da svolgere.
Ciò discende da precisi obblighi legislativi, che trovano origine dall’articolo articolo 64, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08 (“Testo unico sulla sicurezza”, nel seguito Decreto):
Il datore di lavoro provvede affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, commi 1 [...]”.
A sua volta l’articolo 63, comma 1 impone che:
I luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’allegato IV”.
Il mancato rispetto da parte del datore di lavoro dei requisiti di cui all’allegato IV e di conseguenza dell’articolo 64, comma 1, lettera a) del Decreto, è reato penale, punito, ai sensi dell’articolo 68, comma 1, lettera b) del Decreto stesso con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.000 a 4.800 euro
L’allegato IV del Decreto, in merito al microclima prevede un intero capitolo, al punto 1.9 “Microclima”, i cui contenuti ti riporto a seguire, per i soli requisiti attinenti a quanto da te segnalato.
1.9.1.1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far si che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di areazione.
1.9.1.2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò è necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori.
1.9.1.3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell’aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d’aria fastidiosa.
1.9.1.4. Gli stessi impianti devono essere periodicamente sottoposti a controlli, manutenzione, pulizia e sanificazione per la tutela della salute dei lavoratori.
1.9.1.5. Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all’inquinamento dell’aria respirata deve essere eliminato rapidamente.
1.9.2.1. La temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori.
1.9.2.2. Nel giudizio sulla temperatura adeguata per i lavoratori si deve tener conto della influenza che possono esercitare sopra di essa il grado di umidità ed il movimento dell’aria concomitanti.
1.9.2.4. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono essere tali da evitare un soleggiamento eccessivo dei luoghi di lavoro, tenendo conto del tipo di attività e della natura del luogo di lavoro”.
In merito alla presenza di sostanza nocive all’interno delle cabine, lo stesso allegato IV riporta al capitolo 2.1 “Difesa da agenti nocivi” quanto segue (ho riportato solo i punti strettamente attinenti a quanto da te segnalato):
2.1.4-bis. Nei lavori in cui si svolgano gas o vapori irrespirabili o tossici od infiammabili ed in quelli nei quali si sviluppano normalmente odori o fumi di qualunque specie il datore di lavoro deve adottare provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione.
2.1.8.1. Nei locali o luoghi di lavoro o di passaggio deve essere per quanto tecnicamente possibile impedito o ridotto al minimo il formarsi di concentrazioni pericolose o nocive di gas, vapori o polveri esplodenti, infiammabili, asfissianti o tossici; in quanto necessario, deve essere provveduto ad una adeguata ventilazione al fine di evitare dette concentrazioni.
Parimenti il successivo capitolo 2.2 “Difesa contro le polveri” riporta quanto segue:
2.2.1. Nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro.
2.2.2. Le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione nella atmosfera.
2.2.3. Ove non sia possibile sostituire il materiale di lavoro polveroso, si devono adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi ovvero muniti di sistemi di aspirazione e di raccolta delle polveri, atti ad impedirne la dispersione. L’aspirazione deve essere effettuata, per quanto è possibile, immediatamente vicino al luogo di produzione delle polveri.
2.2.5. Qualunque sia il sistema adottato per la raccolta e l’eliminazione delle polveri, il datore di lavoro è tenuto ad impedire che esse possano rientrare nell’ambiente di lavoro”.

INADEGUATA ILLUMINAZIONE E MANCATA DI COPERTURA DEI LUOGHI DI LAVORO ESTERNI
Anche in questo caso fa fede l’obbligo di cui all’articolo 64, comma 1, lettera a) del Decreto, che rimanda sempre all’allegato IV.
Per quanto riguarda i requisiti relativi all’illuminazione dei luoghi di lavoro, a livello generale tutto il capitolo 1.10 “Illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro” dell’allegato IV è dedicato a questo aspetto.
Ti riporto i requisiti pertinenti a quanto da te lamentato:
1.10.1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un’illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere di lavoratori.
1.10.5. Gli ambienti, i posti di lavoro ed i passaggi devono essere illuminati con luce naturale o artificiale in modo da assicurare una sufficiente visibilità”.
Per quanto attiene poi ai luoghi di lavoro all’aperto, vale quanto contenuto nel capitolo 1.8 “Posti di lavoro e di passaggio e luoghi di lavoro esterni” dell’allegato IV, cui punti attinenti alle problematiche segnalate sono i seguenti:
1.8.3. I posti di lavoro, le vie di circolazione e altri luoghi o impianti all’aperto utilizzati od occupati dai lavoratori durante le loro attività devono essere concepiti in modo tale che la circolazione dei pedoni e dei veicoli può avvenire in modo sicuro.
1.8.6. I luoghi di lavoro all’aperto devono essere opportunamente illuminati con luce artificiale quando la luce del giorno non è sufficiente.
1.8.7. Quando i lavoratori occupano posti di lavoro all’aperto, questi devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che i lavoratori:
1.8.7.1 sono protetti contro gli agenti atmosferici e, se necessario, contro la caduta di oggetti;
1.8.7.2 non sono esposti a livelli sonori nocivi o ad agenti esterni nocivi, quali gas, vapori, polveri;
1.8.7.3 possono abbandonare rapidamente il posto di lavoro in caso di pericolo o possono essere soccorsi rapidamente;
1.8.7.4 non possono scivolare o cadere”.

ERGONOMIA E SICUREZZA DELLE POSTAZIONI DI LAVORO
Per quanto riguarda l’ergonomia e la sicurezza delle postazioni di lavoro, in funzione delle attrezzature di lavoro presenti, gli obblighi a carico del datore di lavoro derivano in generale dall’articolo 71, comma 6 del Decreto, relativo appunto alle attrezzature di lavoro:
Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché il posto di lavoro e la posizione dei lavoratori durante l’uso delle attrezzature presentino requisiti di sicurezza e rispondano ai principi dell’ergonomia”.
Inoltre, poiché la postazione di lavoro in cabina è dotata di videoterminale essa deve possedere i requisiti specifici per tali postazioni di lavoro.
Ciò deriva da quanto disposto dall’articolo 174, comma 3 del Decreto che impone:
Il datore di lavoro organizza e predispone i posti di lavoro di cui all’articolo 173 [postazioni con videoterminali], in conformità ai requisiti minimi di cui all’allegato XXXIV”.
Il mancato rispetto da parte del datore di lavoro dei requisiti di cui all’allegato XXXIV e di conseguenza dell’articolo 174, comma 3 del Decreto, è reato penale, punito, ai sensi dell’articolo 178, comma 1, lettera a) del Decreto stesso con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Il punto 1, lettera a) dell’allegato XXXIV specifica che:
L’utilizzazione in sé dell’attrezzatura non deve essere fonte di rischio per i lavoratori”.

SICUREZZA ZONA UFFICI
Come già detto i luoghi di lavoro devono possedere specifiche caratteristiche per la tutela della sicurezza dei lavoratori.
In merito alla necessità che i luoghi di lavoro siano dotati di uscite di sicurezza e che le porte che chiudono tali uscite siano dotate di maniglioni antipanico o simili per aprirle facilmente e immediatamente, l’allegato IV riporta al capitolo 1.5 “Vie e uscite di emergenza” le seguenti prescrizioni:
1.5.3. In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter essere evacuati rapidamente e in piena sicurezza da parte dei lavoratori.
1.5.4. Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni dei luoghi di lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione d’uso, alle attrezzature in essi installate, nonché al numero massimo di persone che possono essere presenti in detti luoghi.
1.5.5. Le vie e le uscite di emergenza devono avere altezza minima di m 2,0 e larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio.
1.5.6. Qualora le uscite di emergenza siano dotate di porte, queste devono essere apribili nel verso dell’esodo e, qualora siano chiuse, devono poter essere aperte facilmente ed immediatamente da parte di qualsiasi persona che abbia bisogno di utilizzarle in caso di emergenza. L’apertura delle porte delle uscite di emergenza nel verso dell’esodo non è richiesta quando possa determinare pericoli per passaggio di mezzi o per altre cause, fatta salva l’adozione di altri accorgimenti adeguati specificamente autorizzati dal Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio.
1.5.7. Le porte delle uscite di emergenza non devono essere chiuse a quando sono presenti lavoratori in azienda, se non nei casi specificamente autorizzati dagli organi di vigilanza.
1.5.8. Nei locali di lavoro e in quelli destinati a deposito è vietato adibire, quali porte delle uscite di emergenza, le saracinesche a rullo, le porte scorrevoli verticalmente e quelle girevoli su asse centrale.
1.5.9. Le vie e le uscite di emergenza, nonchè le vie di circolazione e le porte che vi danno accesso non devono essere ostruite da oggetti in modo da poter essere utilizzate in ogni momento senza impedimenti.
1.5.10. Le vie e le uscite di emergenza devono essere evidenziate da apposita segnaletica, conforme alle disposizioni vigenti, durevole e collocata in luoghi appropriati.
1.5.11. Le vie e le uscite di emergenza che richiedono un’illuminazione devono essere dotate di un’illuminazione di sicurezza di intensità sufficiente, che entri in funzione in caso di guasto dell’impianto elettrico”.
Relativamente alla presenza di grate metalliche alle finestre, il Decreto non specifica niente in merito.
Queste potrebbero essere giustificate da necessità di sicurezza degli uffici rispetto a intrusioni e furti.
Le grate non diminuiscono o impediscono l’evacuazione in emergenza della palazzina, perché le vie di esodo e le uscite di emergenza possono essere costituite solo da percorsi percorribili a piedi.
Occorre verificare che le vie di esodo e le uscite di emergenza siano comunque adeguate a una evacuazione di emergenza, in funzione degli ingombri di personale nella palazzina, della lunghezza complessiva delle vie di esodo, della larghezza delle porte delle uscite di emergenza, del livello di rischio incendio dei luoghi di lavoro.

SORVEGLIANZA SANITARIA
L’obbligo di predisporre la sorveglianza sanitaria mediante la nomina del medico competente e l’invio dei lavoratori alle viste è a carico del datore di lavoro e dei dirigenti.
A tale proposito vige quanto disposto dall’articolo 18, comma 1, lettere a) e g) del Decreto:
Il datore di lavoro [...] e i dirigenti [...] devono:
a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo;
[...]
g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto;
[...]”.
Il mancato adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a) (nomina del medico competente) è punito dall’articolo 55, comma 5, lettera d) del Decreto con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro.
Il mancato adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di cui all’articolo 18, comma 1, lettera g) (invio dei lavoratori alle visite mediche) è punito dall’articolo 55, comma 5, lettera e) del Decreto con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro.
L’esecuzione della sorveglianza sanitaria, secondo i criteri stabiliti dal Decreto è invece un obbligo a carico del medico competente.
In particolare il medico competente è obbligato a definire il contenuto della sorveglianza sanitaria (tipologia e periodicità delle visite mediche e degli accertamenti diagnostici) in funzione degli effettivi rischi per la salute a cui sono sottoposti i lavoratori, come specificati all’interno del documento di valutazione dei rischi. I contenuti della sorveglianza sanitaria devono essere allineati ai criteri scientifici più avanzati.
Infatti l’articolo 25, comma 1, lettera b) del Decreto impone che:
Il medico competente programma ed effettua la sorveglianza sanitaria [...] attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati”.
A seguito e in esito alle visite mediche e agli accertamenti diagnostici definiti all’interno della sorveglianza sanitaria, il medico competente deve poi redigere una specifica cartella clinica (cartella sanitaria e di rischio) in cui riportare l’anamnesi del lavoratore e tutti gli esiti della sorveglianza sanitaria. La cartella deve essere ovviamente coperta da segreto professionale.
Infatti l’articolo 25, comma 1, lettera c) del Decreto impone che:
Il medico competente istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente”.
Il mancato adempimento da parte del medico competente degli obblighi di cui all’articolo 25, comma 1, lettere b) (definizione della sorveglianza sanitaria in funzione dei rischi specifici) e c) (tenuta della cartella sanitaria e di rischio) è punito dall’articolo 58, comma 1, lettera b) del Decreto con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda da 300 a 1.200 euro.
Sull’effettivo adempimento degli obblighi sopra elencati a carico del medico competente, in ogni caso il datore e di dirigenti, sono tenuti a effettuare adeguata vigilanza (nelle modalità che ritengono più opportune, ma che devono avere caratteristiche di piena efficacia).
Tale vigilanza costituisce un obbligo in virtù dell’articolo 18, comma 3-bis del Decreto:
Il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli [...] 25 [obblighi a carico del medico competente], ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.
Il datore di lavoro e i dirigenti devono in pratica verificare che il medico competente provveda ad eseguire le viste mediche e a tenere e aggiornare la cartella sanitaria e di rischio, ovviamente senza entrare nel merito delle scelte professionali effettuate dal medico.

RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA
Sotto tale aspetto l’azienda non ha alcun obbligo, essendo l’elezione o la designazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) una facoltà e un diritto per i lavoratori, ma non certo un obbligo per l’azienda.
A tale proposito fa riferimento l’articolo 47, comma 2 del Decreto che stabilisce che:
In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
Tale dettato normativo non è, come detto, uno degli obblighi a carico del datore di lavoro o dei dirigenti (riportati invece all’articolo 18 del Decreto).
Tieni conto che, nelle aziende nelle quali i lavoratori decidano di non eleggere o designare il RLS, tutte le sue attribuzioni (sopralluogo dei luoghi di lavoro, consultazione del documento di valutazione dei rischi, partecipazione alla riunione periodica, segnalazione di criticità rilevate nella sua attività, ricorso agli organi di vigilanza) possono essere svolte dal RLS Territoriale, ai sensi dell’articolo 47, comma 8 del Decreto:
Qualora non si proceda alle elezioni previste dai commi 3 e 4 [elezione del RLS], le funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono esercitate dai rappresentanti di cui agli articoli 48 [RLS Territoriale] e 49 [RLS di Sito Produttivo], salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Pertanto per qualunque problema relativo alla mancata tutela della salute e della sicurezza nella tua azienda, nel caso in cui i lavoratori non abbiano eletto o designato il RLS aziendale, ti puoi rivolgere al RLS Territoriale, chiedendone il nominativo alle Organizzazioni Sindacali a livello provinciale.



I RITARDI SULLE BONIFICHE DELL’AMIANTO NON HANNO SCUSE MA HANNO SICURAMENTE DEI COLPEVOLI

Da Medicina Democratica
7 giugno 2016

Il Ministero dell’Ambiente ha siglato un accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri per la mappatura con droni delle coperture in cemento-amianto, strombazzando una innovazione nel metodo che nasconde solo i ritardi “bipartisan” accumulati negli anni dai governi che si sono succeduti.

L’obbligo di censimento e autodenuncia delle coperture in cemento amianto risale al 1994 (!!!) ed è stato ribadito dai diversi Piani Regionali Amianto (PRA). Tutti i proprietari e gli utilizzatori, pubblici e privati, di edifici contenenti amianto dovevano procedere all’autodenuncia della presenza di amianto (ovvia premessa per predisporre la rimozione o, almeno, il controllo nel tempo) alle USL/ASL.
Ancora precedente è l’obbligo di denuncia dell’amianto friabile nei luoghi di lavoro.

Da anni si dovrebbe sapere (e in molte ASL si sa) dove è l’amianto in particolare negli edifici pubblici (la Regione Lombardia, per esempio, organizzò il censimento a metà degli anni ‘80) di tempo ce ne è stato affinché venisse eliminato o almeno la bonifica fosse a buon punto e invece siamo ancora a chiederci dov’è.

Inoltre uno degli obblighi dei PRA è quello di individuare le priorità di intervento a partire dai luoghi pubblici o a uso pubblico (ospedali, scuole, cinema, palestre ecc.) e adesso si prevede che si penserà a stanziare dei fondi per le priorità che verranno individuate (quando: dopo aver rifatto un censimento che dovrebbe esistere da oltre 20 anni ??!!).

Che il Ministero si occupi di monitorare e svegliare le Regioni che non hanno nemmeno una approfondita conoscenza del proprio territorio e non hanno programmato le modalità e i tempi per risolvere il problema (incluse le modalità di gestione dei rifiuti).

Nel frattempo, infine, sembra sparito dall’orizzonte il Decreto con cui si intendeva porre una “dead line” per “asbestos free” nei luoghi pubblici, in primis le scuole.

Ma chi vogliono prendere in giro?

Riportiamo sotto il testo del comunicato stampa del Ministero:

PROGETTO PILOTA CON UTILIZZO DRONI DOTATI DI TELECAMERE AD ALTA RISOLUZIONE. “OBIETTIVO MAPPATURA NAZIONALE, POI FONDI PER INTERVENTI DI MAGGIORE URGENZA”

Roma 31 maggio 2016

Un programma per la mappatura dell’amianto nelle scuole, per un’efficace progettazione e realizzazione di interventi di bonifica. E’ quanto prevede un protocollo d’intesa firmato oggi dalla Struttura di missione per la riqualificazione dell’edilizia scolastica della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. L’assoluta novità contenuta nel documento è il ricorso alle più moderne tecnologie di telerilevamento, mediante l’utilizzo di droni dotati di telecamere ad alta risoluzione, e il consolidamento di un progetto pilota che dia per la prima volta una dimensione omogenea del fenomeno a livello nazionale.

“Con il lavoro che avviamo oggi con il Ministero dell’Ambiente” – dichiara Laura Galimberti, coordinatrice della Struttura di Missione di Palazzo Chigi – “affrontiamo in modo sistematico un problema estremamente complesso, creando per la prima volta una mappatura scientifica su scala nazionale, essenziale per delineare azioni efficaci nella bonifica dell’amianto nelle scuole. Ricordo che è compito delle Regioni predisporre piani di protezione dell’ambiente, di decontaminazione, smaltimento e bonifica e che, dal 1994, è stata istituita la figura del Responsabile amianto con compiti di controllo e coordinamento per ogni Ente locale”.

“La conoscenza completa e aggiornata della presenza di amianto nelle scuole italiane” – spiega Gaia Checcucci, Direttore generale per la Salvaguardia del territorio e delle Acque del ministero – “è il presupposto per velocizzare la progettazione e la realizzazione delle opere di bonifica. Questo importante protocollo ci permette di farlo attraverso le più moderne tecniche di analisi e monitoraggio della consistenza e della struttura delle superfici, anche seguendo un metodo di lavoro che potrà definire in tempi brevi una mappatura analitica su scala nazionale. Il passo successivo e conseguente, che verrà disciplinato dal decreto ministeriale in attuazione della norma del Collegato Ambientale già predisposto dalla direzione, servirà a destinare in maniera più efficace i fondi per la progettazione disponibili, in particolare privilegiando gli edifici scolastici per i quali gli interventi di bonifica rivestono carattere di maggiore urgenza”.

I fondi del Governo per la sicurezza delle scuole comprendono anche le attività di rimozione dell’amianto: 400 milioni sono stati stanziati a giugno 2014, in continuità con i 150 milioni del “Decreto del Fare”. Molte Regioni, nelle proprie graduatorie, hanno dato la priorità agli interventi di bonifica dell’amianto nelle scuole, riducendo di molto il numero di istituti ancora interessati. Anche i 905 milioni previsti dall’operazione #MutuiBei possono finanziare interventi di questo tipo. I primi 1.215 cantieri sono stati già avviati.

Per ulteriori informazioni:



OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO DERIVANTI DALL’ARTICOLO 2087 DEL CODICE CIVILE

Da: PuntoSicuro
06 giugno 2016
di Gerardo Porreca

E’ dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza tecnologicamente esigibili che, se pure non in grado di impedire eventi criminosi a danno dei lavoratori, possano svolgere un’azione dissuasiva.

La Sentenza in esame si occupa di un caso più volte dibattuto e già oggetto di precedenti espressioni della suprema Corte e cioè della mancanza in un ufficio postale di qualsivoglia misura specifica atta a impedire, a prevenire o comunque a rendere più difficoltoso il realizzarsi di una rapina ai danni dell’ufficio stesso, non essendovi installato alcun sistema di allarme rivolto all’esterno ma solo una protezione del banco cassa con vetro antisfondamento.
E’ dovere del datore di lavoro, ha sostenuto in questa Sentenza la suprema Corte, apprestare tutte le misure di sicurezza tecnologicamente esigibili per impedire eventi criminosi a danno dei lavoratori che, se pure non in grado di impedire il loro verificarsi, possano comunque svolgere un’azione dissuasiva e quindi preventiva e protettiva.
L’articolo 2087 del Codice civile, infatti, rende necessaria l’installazione di adeguati mezzi necessari a tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti di eventi criminosi nei casi in cui siano prevedibili episodi di aggressione a scopo di lucro perché insiti nel tipo di attività nelle quali è prevista la movimentazione di somme di denaro specie se, come nel caso in esame, si è già registrato il verificarsi di tali episodi.

Il direttore di un ufficio postale, che aveva subito due rapine restando in entrambe le occasioni in balia dei rapinatori armati di pistola, avendo dedotto che da tali eventi gli era derivata una malattia psichica, ha ricorso al Tribunale denunciando la responsabilità del datore di lavoro per la violazione dell’articolo 2087 del Codice Civile per avere omesso di dotare l’ufficio presso il quale prestava la sua attività di appropriate difese in grado di proteggere i dipendenti durante lo svolgimento del servizio e ha quindi chiesto al Tribunale stesso la condanna della società al risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute. Instaurato il contraddittorio, il giudice monocratico ha condannato la società che gestiva l’ufficio al risarcimento del danno subito dal direttore, danno determinato, a seguito di Consulenza Tecnica di Ufficio, nella misura complessiva di euro 17.500 oltre accessori e spese.

La Corte di Appello ha successivamente respinto l’appello della società, confermando la responsabilità datoriale per violazione dell’articolo 2087 del Codice Civile non avendo la stessa provveduto a dotare l’ufficio postale di qualsivoglia dispositivo di sicurezza funzionale alla protezione del personale addetto durante l’orario di servizio, neanche dopo la prima rapina a mano armata e ha condiviso altresì la liquidazione del danno non patrimoniale effettuata dal primo giudice sulla scorta di una Consulenza Tecnica di Ufficio e applicando le tabelle in uso nell’ufficio giudiziario.

La società ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo fra le altre motivazioni di avere assolto a tutti gli obblighi di legge su di essa incombenti, in quanto le ridotte dimensioni dell’ufficio in argomento e la scarsa dotazione di denaro escludevano che l’evento rapina avesse un grado di probabilità apprezzabile ai fini della configurabilità di un obbligo da parte della datrice di lavoro di apprestare particolari misure di sicurezza, ulteriori rispetto a quelle già apprestate.
Il ricorrente ha sostenuto, inoltre, che la Corte di Appello avrebbe condiviso l’elaborato peritale, nonostante la Consulenza Tecnica di Ufficio non avesse compiuto alcun esame specifico circa la derivazione causale della patologia del direttore dagli eventi delittuosi.

Il ricorso non è stato accolto dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa ha fatto presente che di recente ha avuto modo di statuire proprio in riferimento a rapine presso uffici postali (si veda ad esempio le Sentenze di Cassazione n. 23793 del 2015 e n. 7405 del 2015), che l’articolo 2087 del Codice Civile rende necessario l’apprestamento di adeguati mezzi di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti dell’attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata, in ragione della movimentazione, anche contenuta, di somme di denaro, nonché delle plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco temporale.

In particolare la Corte ha cassato in passato una sentenza della Corte di Appello che aveva negato il nesso causale tra la verificazione degli eventi criminosi e la mancata adozione di qualsivoglia misura specificamente diretta a impedire, prevenire o comunque rendere più difficoltoso il realizzarsi di rapine ai danni di un ufficio postale di ridotte dimensioni, presso il quale non vi era alcun sistema di allarme rivolto all’esterno, ma solo una protezione del banco cassa con vetro antisfondamento, come pure ha respinto il ricorso della società di gestione dell’ufficio postale in un caso in cui gli unici accorgimenti contro il rischio di rapine erano costituiti da sbarre alle finestre, pareti esterne a spessore rinforzato e istruzioni affinché il personale dell’ufficio non opponesse resistenza alcuna.

E’ analoga, secondo la Sezione Lavoro, la situazione che è stata accertata dai giudici di merito nel caso in esame, secondo cui la società non ha provveduto a dotare l’ufficio postale di qualsivoglia dispositivo di sicurezza funzionale alla protezione del personale addetto durante l’orario di servizio, neanche dopo la prima rapina a mano armata, tali non essendo, di certo, le inferriate alle finestre ed il maggiore spessore dei muri esterni, volti ad evitare intrusioni durante la chiusura al pubblico dell’ufficio. 

Ciò posto, la Corte di Cassazione ha ribadito che è dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa di riferimento o comunque esigibili secondo la tecnologia del momento, il che non significa che tali mezzi debbano essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi siano idonei, secondo criteri di comune esperienza, a svolgere una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva e protettiva.

Inoltre, ha concluso la suprema Corte, se è vero che dall’articolo 2087 del Codice Civile non può evincersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni qual volta si verifichi un danno, nondimeno nel caso di specie i giudici di merito hanno in concreto individuato svariati accorgimenti suggeriti dalla tecnica al giorno d’oggi disponibile al fine di prevenire il rischio di rapine, evidenziando che nessuno di essi era stato adottato presso l’ufficio postale in argomento.
Pertanto in definitiva, coerente con i principi innanzi espressi, la sentenza della Corte di Appello si sottrae alle censure che le sono state mosse.

La Sentenza n. 3424 del 22 febbraio 2016 della Corte di Cassazione Civile Sezione Lavoro è consultabile all’indirizzo:



PREPARAZIONE E GESTIONE DELLE EMERGENZE SECONDO IL NUOVO CODICE

Da: PuntoSicuro
07 giugno 2016

Il nuovo codice di prevenzione incendi riporta precise indicazioni sulla preparazione all’emergenza e sulla gestione della sicurezza in emergenza. Le misure antincendio per la preparazione all’emergenza.

Il nuovo “Codice di prevenzione Incendi” contenuto nel Decreto del Ministero dell’Interno del 3 agosto 2015, definisce la Gestione della Sicurezza Antincendio (GSA) come una misura finalizzata alla gestione di un’attività in condizioni di sicurezza, sia in fase di esercizio che in fase di emergenza, attraverso l’adozione di una struttura organizzativa che prevede ruoli, compiti, responsabilità e procedure.

E con riferimento al capitolo S.5 (Gestione della sicurezza antincendio) del Codice, entrato in vigore il 18 novembre 2015, il Codice stesso si sofferma sul tema delle emergenze.

A questo proposito ricordiamo che la preparazione all’emergenza, nell’ambito della gestione della sicurezza antincendio, si esplica tramite:
-         pianificazione delle procedure da eseguire in caso d’emergenza, in risposta agli scenari incidentali ipotizzati;
-         nelle attività lavorative con la formazione e addestramento periodico del personale all’attuazione del piano d’emergenza, prove di evacuazione: la frequenza delle prove di attuazione del piano di emergenza deve tenere conto della complessità dell’attività e dell’eventuale sostituzione del personale impiegato.

Inoltre la pianificazione d’emergenza deve includere planimetrie e documenti nei quali siano riportate tutte le informazioni necessarie alla gestione dell’emergenza (ad esempio: indicazione dei compiti e funzioni in emergenza mediante predisposizione di una catena di comando e controllo, destinazioni delle varie aree dell’attività, compartimentazioni antincendio, sistema d’esodo, aree a rischio specifico, dispositivi di disattivazione degli impianti e di attivazione di sistemi di sicurezza, ecc.).
In prossimità degli accessi di ciascun piano dell’attività, devono poi essere esposte:
-         planimetrie esplicative del sistema d’esodo e dell’ubicazione delle attrezzature antincendio;
-         istruzioni sul comportamento degli occupanti in caso di emergenza.
E il piano di emergenza deve essere aggiornato in caso di modifica significativa, ai fini della sicurezza antincendio, dell’attività.

Una tabella del Codice riporta le misure antincendio per la preparazione all’emergenza secondo il livello di prestazione.
La GSA può infatti essere svolta secondo tre diversi livelli di prestazione:
-         livello base,
-         livello avanzato;
-         livello avanzato per attività complesse.

Riguardo al primo livello di prestazione la pianificazione dell’emergenza può essere limitata all’informazione al personale ed agli occupanti sui comportamenti da tenere, informazione che deve riguardare:
-         istruzioni per la chiamata del soccorso pubblico e le informazioni da fornire per consentire un efficace soccorso;
-         istruzioni di primo intervento antincendio, attraverso: azioni del responsabile dell’attività in rapporto alle squadre di soccorso; azioni degli eventuali addetti antincendio in riferimento alla lotta antincendio e all’esodo, ivi compreso l’impiego di dispositivi di protezione ed attrezzature; azioni per la messa in sicurezza di apparecchiature ed impianti;
-         istruzioni per l’esodo degli occupanti, anche per mezzo di idonea segnaletica.

Riguardo invece al secondo e terzo livello di prestazione il piano di emergenza deve contenere le procedure per la gestione dell’emergenza e in particolare:
-         procedure di allarme: modalità di allarme, informazione agli occupanti, modalità di diffusione dell’ordine di evacuazione;
-         procedure di attivazione del centro di gestione delle emergenze;
-         procedure di comunicazione interna e verso gli enti di soccorso pubblico: devono essere chiaramente definite le modalità e strumenti di comunicazione tra gli addetti antincendio e il centro di gestione dell’emergenza, individuate le modalità di chiamata del soccorso pubblico e le informazioni da fornire alle squadre di soccorso;
-         procedure di primo intervento antincendio, che devono prevedere le azioni della squadra antincendio per lo spegnimento di un principio di incendio, per l’assistenza degli occupanti nella evacuazione, per la messa in sicurezza delle apparecchiature o impianti;
-         procedure per l’esodo degli occupanti e le azioni di facilitazione dell’esodo;
-         procedure di messa in sicurezza di apparecchiature e impianti: in funzione della tipologia di impianto e della natura dell’attività, occorre definire apposite sequenze e operazioni per la messa in sicurezza delle apparecchiature o impianti;
-         procedure di rientro nell’edificio al termine dell’emergenza: in funzione della complessità della struttura devono essere definite le modalità con le quali garantirne il rientro in condizioni di sicurezza.

Il Codice si occupa anche della preparazione all’emergenza in attività caratterizzate da promiscuità strutturale, impiantistica, dei sistemi di vie d’esodo.
Infatti qualora attività caratterizzate da promiscuità strutturale, impiantistica, dei sistemi di vie d’esodo siano esercite da responsabili dell’attività diversi, le pianificazioni d’emergenza delle singole attività devono tenere conto di eventuali interferenze o relazioni con le attività limitrofe. Inoltre deve essere prevista una pianificazione d’emergenza di sito in cui siano descritte le procedure di risposta all’emergenza per le parti comuni e per le eventuali interferenze tra le attività ai fini della sicurezza antincendio.

Si indica poi che, dove previsto dalla soluzione progettuale individuata, deve essere predisposto apposito centro di gestione delle emergenze ai fini del coordinamento delle operazioni d’emergenza, commisurato alla complessità dell’attività.
E tale centro di gestione delle emergenze, che deve essere individuato da apposita segnaletica di sicurezza, deve essere fornito almeno di:
-         informazioni necessarie alla gestione dell’emergenza (ad esempio pianificazioni, planimetrie, schemi funzionali di impianti, numeri telefonici, ecc.);
-         strumenti di comunicazione con le squadre di soccorso, il personale e gli occupanti;
-         centrali di controllo degli impianti di protezione attiva o ripetizione dei segnali d’allarme.

Ricordando che il Codice sottolinea l’importanza della revisione periodica dell’adeguatezza delle procedure di sicurezza antincendio in uso e della pianificazione d’emergenza, concludiamo l’articolo segnalando che il documento “Norme tecniche di prevenzione incendi” (l’allegato al Decreto contenente il nuovo Codice) affronta anche il tema della gestione della sicurezza in emergenza.

In particolare la gestione della sicurezza antincendio durante l’emergenza nell’attività deve prevedere almeno:
-         se si tratta di attività lavorativa: attivazione e attuazione del piano di emergenza (di cui al paragrafo S.5.6.5 del Codice);
-         se non si tratta di attività lavorativa: attivazione dei servizi di soccorso pubblico, esodo degli occupanti, messa in sicurezza di apparecchiature ed impianti;
-         qualora previsto, attivazione del centro di gestione delle emergenze (secondo le indicazioni del paragrafo 5.5.6.7 del Codice).

E, infine, alla rivelazione manuale o automatica dell’incendio segue generalmente:
-         l’immediata attivazione delle procedure d’emergenza;
-         nelle attività più complesse, la verifica dell’effettiva presenza di un incendio e la successiva attivazione delle procedure d’emergenza.

Il Decreto del Ministero dell’Interno del 3 agosto 2015 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del Decreto Legislativo 8 marzo 2006, n. 139” è consultabile all’indirizzo:



IMPARARE DAGLI ERRORI: PIATTAFORME, LINEE ELETTRICHE E STABILIZZATORI

Da: PuntoSicuro
09 giugno 2016
di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni correlati all’utilizzo di piattaforme di lavoro elevabili (PLE). I problemi correlati alla vicinanza delle piattaforme alle linee elettriche e all’uso errato degli stabilizzatori. La dinamica degli infortuni e la prevenzione.

Per quanto riguarda gli incidenti e i rischi correlati all’uso delle piattaforme di lavoro, la rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, si è già soffermata in passato sulla vicinanza delle piattaforme alle linee elettriche e sull’uso degli stabilizzatori.

Tuttavia gli infortuni, anche mortali, correlati a questi due aspetti, continuano ad avvenire. E dunque torniamo a parlarne nella serie di puntate della rubrica, iniziate a marzo con un infortunio in attività di potatura, dedicate al racconto delle dinamiche degli incidenti e alla presentazione di suggerimenti per migliorare la prevenzione nell’uso delle piattaforme mobili elevabili.

Le dinamiche infortunistiche che presentiamo sono tratte dall’archivio di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda il ribaltamento di una piattaforma aerea.
Mentre opera a circa 12/15 metri di altezza sopra una piattaforma aerea, in lavoratore si infortuna a seguito del ribaltamento della macchina.
Il lavoratore era dotato, e ne faceva uso, di cintura di sicurezza all’interno del cestello della piattaforma. Nel caso in esame la macchina è stata posizionata in un’area ristretta, su un piano inclinato e con configurazione pericolosa (base di appoggio limitata, baricentro alto).
In particolare in cantiere c’era un’altra piattaforma più piccola che poteva essere usata in sicurezza.
Questo il fattore causale rilevato: il lavoratore posizionava la macchina in difformità a quanto previsto nel manuale di uso e manutenzione (innalzamento baricentro e scorretta posizione stabilizzatori) e su un tratto in pendenza.

Il secondo caso riguarda invece il contatto con la linea elettrica.
Il titolare di un’impresa e un suo dipendente apprendista muratore devono sostituire qualche lastra di copertura sul tetto di un fabbricato ad uso agricolo.
Come da contratto di subappalto, un’altra ditta noleggia una piattaforma elevabile mettendola a disposizione del titolare della prima impresa per effettuare il lavoro.
Il titolare e il dipendente, dopo aver stabilizzato la piattaforma, salgono nel cestello con due lastre di copertura e si portano in quota, azionando i comandi posti nello stesso cestello, in prossimità del tetto.
Verosimilmente durante questa operazione un’estremità della/e lastra/e urta/no uno dei cavi della linea aerea (media tensione a 15.000 V).
Il dipendente che si trova più vicino ai cavi afferra un martello con manico in legno e, per spostare il cavo e liberare la lastra, urta, con tutta probabilità, con la spalla lo stesso cavo che mette in tensione il cestello provocando la morte di entrambi i lavoratori.
Questo il fattore causale rilevato dalla scheda: è stato svolto il lavoro senza tenere conto della vicinanza di cavi elettrici in tensione e toccandoli con un attrezzo.

Innanzitutto ricordiamo genericamente, con riferimento al primo incidente, quanto richiesto dalla normativa di tutela della salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08) in riferimento agli obblighi del datore di lavoro (articolo 71): il datore di lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte, adotta adeguate misure tecniche ed organizzative, tra le quali quelle dell’Allegato VI del D.Lgs. 81/2008.

Rimandando ad altre puntate di “Imparare dagli errori” gli approfondimenti relativi alle problematiche degli stabilizzatori e al rischio ribaltamento, riprendiamo alcune indicazioni sui divieti per l’installazione e l’uso di PLE come riportati nella scheda contenuta nel manuale “Le macchine in edilizia. Caratteristiche e uso in sicurezza”, un documento nato dal rapporto di collaborazione tra l’INAIL Piemonte e il CPT Torino. Nella scheda sono presenti anche le istruzioni prima, durante e dopo l’uso che fanno riferimento anche alla verifica della vicinanza a linee elettriche aeree.

Questi i divieti per l’installazione e l’uso delle PLE contenuti nella “Scheda 3: Piattaforme di lavoro mobili elevabili”, fermo restando le indicazioni contenute nelle istruzioni d’uso di ogni macchina:
-         non rimuovere, disattivare o modificare in alcun modo i dispositivi di sicurezza;
-         non applicare sulla PLE cartelli, striscioni o altri elementi che possano aumentare la superficie esposta al vento;
-         non aggiungere sovrastrutture, come scale, sgabelli o altri mezzi per incrementare lo sbraccio e/o l’altezza;
-         non installare apparecchi di sollevamento sul cestello;
-         non operare con velocità del vento superiore a quella indicata dal fabbricante (vedere targhe di istruzioni);
-         non operare in condizioni meteorologiche difficili (ad esempio temporali);
-         non operare in condizioni di scarsa visibilità e senza segnalazioni;
-         non spostare la PLE con operatore a bordo della piattaforma se non previsto dal fabbricante;
-         non sovraccaricare la PLE: la portata indicata sulla targa non deve mai essere superata e comprende sia le persone che gli attrezzi/materiale utilizzati per l’attività;
-         non salire e scendere dalla piattaforma quando essa è in quota; in particolare, per le PLE a pantografo, non usare la struttura estensibile per tali scopi;
-         non eseguire sulla piattaforma lavori che possano compromettere la stabilità del ponte;
-         non appoggiare la piattaforma su altre strutture, fisse o mobili;
-         non utilizzare la PLE come apparecchio di sollevamento materiali;
-         non caricare o scaricare materiale dalla piattaforma quando è in quota;
-         non poggiare gli stabilizzatori su chiusini o altre superfici cedevoli;
-         non stazionare sul pianale dell’autocarro durante la manovra della piattaforma (per PLE autocarrate);
-         con la PLE su autocarro stabilizzata, non disinserire il freno di stazionamento ed eseguire lo spostamento (questa errata manovra se attuata, in genere, è segnalata da un avvisatore acustico);
-         non stazionare sul basamento dell’automezzo durante la manovra della piattaforma.

Riguardo infine al tema della vicinanza delle linee elettriche, riportiamo la tabella contenuta nell’allegato IX del D.Lgs. 81/08 riferita alle distanze di sicurezza da parti attive di linee elettriche e di impianti elettrici non protette o non sufficientemente protette da osservarsi, nell’esecuzione di lavori non elettrici, al netto degli ingombri derivanti dal tipo di lavoro, delle attrezzature utilizzate e dei materiali movimentati, nonché degli sbandamenti laterali dei conduttori dovuti all’azione del vento e degli abbassamenti di quota dovuti alle condizioni termiche.
“Un” indica la tensione nominale espressa in volt, mentre “D” la distanza minima consentita espressa in metri:
-         Un < 1.000 => D = 3
-         1.000 < Un < 30.000 => D = 3,5
-         30.000 < Un <132.000 => D = 5
-         Un > 132.000 => D = 7

Il link del sito web di INFOR.MO è:


STORIE DI INFORTUNIO: LA MIA STORIA TRA LE DITA

Da: PuntoSicuro
14 giugno 2016

La storia di un infortunio avvenuto durante l’uso di una piccola pressa meccanica: come è avvenuto l’incidente, le cause, i risultati delle inchieste e le indicazioni per la prevenzione.

Il Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte (Dors) raccoglie storie d’infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione.

Questa storia, dal titolo “La mia storia tra le dita” (a cura di Fabrizio Macagno, Corrado Testa, Servizio PreSAL della ASL CN1), presenta un infortunio avvenuto durante l’uso di una piccola pressa meccanica.

In una ditta del cuneese che si occupa di serigrafia, durante la stampa di alcune targhette metalliche con l’uso di una piccola pressa meccanica, Adrian rimase con le mani schiacciate sotto il punzone della macchina subendo l’amputazione del pollice, indice e medio della mano sinistra e dell’indice della mano destra.

Adrian è un operaio specializzato di 42 anni, di nazionalità albanese, che lavorava con contratto a tempo pieno e la qualifica di “stampatore”.

L’infortunio è avvenuto in Piemonte, in provincia di Cuneo, nel mese di novembre del 2005, nel reparto produttivo di un’azienda che svolge attività di serigrafia, produzione ed incisione di coppe, targhe, trofei.

Ha raccontato Adrian:
“Il giorno dell’infortunio stavo lavorando sulla pressa ed ero intento alla stampa delle targhette, quando mi accorsi che la stampa non andava bene. Quindi, decisi di mettere un pezzo di nastro biadesivo sulla parte superiore dello stampo, per fare in modo che dopo la chiusura della pressa tale stampo rimanesse attaccato al pressore e non si spostasse durante la fase di stampa delle targhette. Fatto questo, incastrai perfettamente lo stampo nella parte posizionata sul piano di battuta del pressore, quando improvvisamente mi trovai con le mani schiacciate sotto la pressa...”.

La pressa, di vecchia costruzione, era di tipo meccanico con innesto a frizione. Per attivare la discesa del punzone era necessario premere contemporaneamente i due “attuatori” (grossi pulsanti) di colore rosso posti sulla parte bassa e frontale della macchina e mantenerli premuti.

Lavorando seduto, Adrian si trovava con le ginocchia proprio all’altezza dei due comandi che non erano posizionati correttamente e non erano protetti contro l’azionamento accidentale.
Mentre armeggiava con le mani nella zona dello stampo, anch’essa non protetta da ripari o da fotocellule, accidentalmente premette i pulsanti con le ginocchia provocando la discesa del punzone.

Dalle indagini è emerso che, a monte dell’evento, nell’ambito della “valutazione dei rischi” la pressa non era stata analizzata. In particolare, nel documento di valutazione dei rischi prodotto dall’azienda la macchina non veniva citata e non era stato neanche preso in considerazione il “rischio di schiacciamento” in generale.

Nell’ambito di qualsiasi attività lavorativa la corretta valutazione di tutti i rischi è fondamentale al fine di mettere a disposizione dei lavoratori macchine, attrezzature, impianti e locali di lavoro idonei ai fini della salute e della sicurezza.

Le presse e macchine simili devono possedere ripari o dispositivi atti ad evitare che le mani o altre parti del corpo dei lavoratori siano offese dal punzone o da altri organi mobili.

E’ quindi necessario che l’area di lavoro sia protetta mediante schermi o dispositivi (ad esempio fotocellule) che impediscano la discesa del punzone quando l’area di lavoro non sia libera.
In alcuni casi, come dispositivo di sicurezza, è ritenuto sufficiente un doppio comando di tipologia idonea, anche se è vivamente consigliabile l’abbinamento contemporaneo di più sistemi.

Il documento “La mia storia tra le dita” è scaricabile all’indirizzo:


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