giovedì 17 settembre 2015

17 settembre - La Contro/INFORMAZIONE su Sicurezza sul Lavoro



SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 16/09/15

Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere dal fronte”, cioè una raccolta di mail o messaggi in rete che, tra i tanti che ricevo, hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”

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INDICE

Posta Resistenza posta@resistenze.org
LA CRIMINALIZZAZIONE CHE NON SI ARRESTA MAI

Posta Resistenza posta@resistenze.org
BRACCIANTI E SFRUTTAMENTO. TUTTA COLPA DEI CAPORALI?

Claudio Grassi blog@claudiograssi.org
LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI

Franco Mugliari fmuglia@tin.it
“SENZA PAROLE” IN POWER POINT

Gian Luca Garetti glucagaretti@gmail.com
L’INCENERITORE DI MONTALE, DIFFONDE BENEFICHE DIOSSINE E FURANI

COORDINAMENTO AUTORGANIZZATO TRASPORTI: COMUNICATO STAMPA SCIOPERO

19 SETTEMBRE 2015: PARIGI CHIAMA LA SPEZIA: SALVARE IL CLIMA, CHIUDERE CON IL CARBONE, APRIRE A NUOVE OPPORTUNITA’

Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
IL 17 SETTEMBRE A MONTECITORIO: NO ALLA PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!

MEDICINA DEMOCRATICA - CONGRESSO NAZIONALE FIRENZE 19-21 NOVEMBRE 2015

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From: Posta Resistenza posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, September 10, 2015 2:46 AM
Subject: LA CRIMINALIZZAZIONE CHE NON SI ARRESTA MAI

La notizia degli arresti agli otto manifestanti No TAV è stata come d’abitudine data su scala nazionale nei principali mezzi di comunicazione “mainstream”: TG Rai Nazionali, Reti Mediaset, La 7, oltre ad una serie di “militanti” telegiornali locali, primo fra tutti il TG3 Regione Piemonte, da sempre oggettivamente vicino alle posizioni Pro TAV e agli interessi della Società LTF (Lyon Turin Ferroviaire) che gestisce la costruzione dell’opera.
Il tono e le parole utilizzate hanno descritto un “attacco al cantiere” che ha messo in crisi la sicurezza delle strutture ed ha visto l’utilizzo di “bombe carta”, “pietre” anche contro le forze dell’ordine.
In realtà le condotte asseritamente poste in essere si sono limitate come al solito alla “rappresentazione” di una lotta, dimostrando la contrarietà a uno stupro ambientale ed economico, in barba ad ogni regola democratica.
Gli agricoltori a Bruxelles hanno inscenato in questi giorni un falò davanti alle truppe antisommossa schierate, hanno bloccato l’intera capitale belga, provocato 200 km di code nel paese. In passato avevano bloccato autostrade, bombardato con lo sterco, acceso fuochi di protesta.
Se fossero stati No TAV si sarebbe chiesto il carcere per attentato terroristico.
Ma non lo sono, pertanto nessuno si è sognato di portare in cella in catene i manifestanti dei trattori.
Anche nel caso degli otto arresti, non solo in sede di propaganda mediatica, si è continuato ad avere mano pesante chiedendo la carcerazione preventiva, venendo, ancora una volta, smentiti dalle decisioni del GIP, il quale, pur dando alla Procura il contentino di una misura coercitiva, non se l’è sentita di assecondare l’overcharging consueto nei confronti dei No TAV, disponendone la scarcerazione e la sola misura dell’obbligo di dimora.
La Stampa di Torino, altro noto quotidiano vicino agli interessi del TAV, anche dopo le scarcerazioni, non si rassegna e indispettita commenta in questo modo “Escono dal carcere gli otto No TAV arrestati dopo l’attacco al cantiere di Chiomonte di sabato scorso. I Pubblici Ministeri Antonio Rinaudo e Marco Gianoglio avevano chiesto la carcerazione, ma il GIP Ambra Cerabona ha convalidato gli otto fermi, ma ha disposto per uno di loro (?il minorenne) gli arresti domiciliari e per gli altri sette la misura dell’obbligo di dimora”.
Al di là della non felice sintassi, (ben due “ma” all’inizio della frase, freudianamente sintomo della disapprovazione) e del marchiano errore di attribuire al GIP del Tribunale ordinario anche la decisione sull’indagato minorenne, di competenza invece del Giudice minorile, la domanda rimane sempre la medesima: come mai le azioni del movimento No TAV beneficiano sempre di una speciale misura di criminalizzazione?
“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” è una frase attribuita a Joseph Goebbels. Al di là di questo concetto a effetto, chi scrive ha sempre ritenuto preferibile spiegare la generazione di quella che viene impropriamente chiamata “pubblica opinione” attraverso le più adeguate riflessioni di Gramsci intorno al concetto di “egemonia culturale”.
Per Gramsci, egemonia culturale significava la capacità di un gruppo sociale o di una determinata classe sociale di esercitare sui propri componenti e su quelli di altri gruppi o classi sociali una “direzione intellettuale e morale” attraverso pratiche sociali quotidiane e condivise attraverso le quali si impongono i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione.
Fin dagli inizi, il ceto economicamente dominante che ha interessi nella grande opera ha riservato al movimento No TAV un’etichetta di violenza e illegalità. Ciò è potuto avvenire attraverso il richiamo alla santificazione del concetto di “legalità”, finendo coll’equipararlo erroneamente col concetto di “giustizia”, passaggio che è potuto avvenire solo attraverso l’esercizio di un’egemonia culturale in grado di deformare percezioni, concetti ed idee.
Secondo questo schema concettuale, tutto ciò che si oppone a determinazioni legislative viene dipinto come sintomo criminale, al di là del concreto contenuto di quella legalità che si vuole santificare, anche quando la medesima promana da procedimenti decisionali tutt’altro che democratici, oppure da interessi economici tutt’altro che conformi all’interesse comune che l’istituzione dovrebbe perseguire.
Proprio questo aspetto si dimentica sempre nella vicenda del TAV valsusino e forse dell’intera vicenda Alta Velocità in Italia.
Le decisioni sono state prese tutt’altro che in modo democratico, tutt’altro che conformemente all’interesse comune.
Per le varie illegittimità compiute all’interno del progetto Alta Velocità in Italia, è utile la lettura del volume di Ivan Cicconi dal titolo emblematico: “Il libro nero dell’alta velocità” nel quale vengono raccontate “le scelte tecniche e finanziarie note e occulte, le bugie consapevoli e inconsapevoli, la truffa ai danni dello Stato e dell’Unione europea, la clamorosa bugia del finanziamento privato di una delle opere più controverse degli ultimi decenni”.
Roba che col concetto di giustizia e interesse collettivo non ha nulla a che fare.
Roba che poco a che fare con lo stesso concetto di legalità.
Per la storia del TAV valsusino, parlando di decisioni prese democraticamente, è sufficiente ricordare cosa avvenne dopo le manifestazioni di Venaus.
Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005 le forze dell’ordine riservarono un trattamento violento ai manifestanti del presidio di Venaus. Per porre fine all’occupazione dei terreni su cui doveva essere allestito il cantiere, fecero irruzione nella notte ferendo una ventina di manifestanti lì accampati.
L’orgogliosa reazione popolare portò ad una manifestazione di oltre 30.000 persone che si riappropriarono nuovamente dei prati. Il progetto insano naufragò e venne sostituito da un altro.
A seguito di questi fatti i vari governi succedutisi vararono una serie di iniziative volte a dipingere il coinvolgimento della popolazione nel progetto. Ma in tutti questi scenari sono sempre stati accuratamente tenuti fuori i rappresentanti dei comuni contrari all’opera, accettando di parlare solo con quelli che erano comunque favorevoli alla realizzazione.
Addirittura, all’interno del celebrato e celeberrimo “Osservatorio”, alla fine del 2009 una norma governativa decise di escludere dall’Osservatorio le amministrazioni comunali che non dichiarassero a priori di accettare l’opera. A tal proposito riportiamo a seguire la lunga lettera al Presidente Monti del professor Angelo Tartaglia esperto del Politecnico di Torino.
Il concetto di democrazia, nei confronti dei No TAV ha avuto una singolare applicazione: si discute solo con chi è favorevole. Gli altri vanno bollati come eversivi nel tritacarne mediatico.
Queste considerazioni, sapute e risapute da chi da anni milita nel movimento, servono per spiegare quanto efficace sia l’azione di egemonia culturale, quando gli interessi vicini ai TAV sono in grado di condizionare le leve di direzione dell’intera società.
Di fronte a ciò, non si può non rilevare come la solidificazione di questo status quo politico-sociale e l’incrostazione degli interessi del cantiere TAV parta da lontano. La subordinazione della sinistra e della destra italiana ai monopoli finanziari e industriali europei è parte importante di esso e si è formato con la complicità, l’indecisione, la miopia e l’opportunismo di numerosi attori politici. L’analisi storica va però esercitata non solo sui fenomeni lontani nel tempo, ma anche su quelli vicini: essa ci potrebbe dire perché la saldatura istituzionale è oggi totalmente nemica del popolo resistente che si batte contro un’operazione economica palesemente gestita sulla pelle delle persone, lasciando libera la stampa di regime di dipingere una fiera e umana resistenza, non dissimile da quella di Gaza, del Chapas, di Rojawa, come attacco terroristico.
La storia passata e recente potrebbe anche aiutarci a chiarire perché ogni elemento di opposizione che pianta radici nelle istituzioni si rivela o completamente inutile e ininfluente, oppure addirittura dannoso nei confronti dei resistenti. Della mera solidarietà o di inutili interrogazioni parlamentari son spesso piene le celle. C’è bisogno invece di un’azione che scardini una diversa solidarietà, quella degli oppressori. Per un’azione di tal genere occorrerebbe mettere in gioco ciò che gli opportunisti o gli specialisti dell’opposizione istituzionale non sono mai disposti a lanciare, perché li separerebbe dal gioco e dal giogo cui sono sempre abituati: l’accettazione della legalità e del suo snaturato concetto come un intoccabile moloch, indipendentemente dalla natura criminale della legalità stessa. La salvaguardia del consenso elettorale costringe spesso a nuotare nella corrente egemonica con quelli che oggi sono vergognosi oppressori.
Se è ancora permesso ricordare che vi è stata una legalità e una giustizia diversa e opposta, nata dalla lotta Resistenziale e cristallizzatasi nei valori Costituzionali della carta del 1948, non sembra azzardato ventilare un’evidenza storica: chi, anche in minima parte, conservi dentro di sé un minimo di valori trasmessi dall’esperienza della Resistenza, sia che appartenga all’area liberale, a quella cattolica, a quella socialista, a quella comunista o a quella anarchica (per questi ultimi immagino più del solito), non può che provare una profonda riprovazione nei confronti dell’attuale regime di condotta delle istituzioni, nessuna esclusa, con poche individuali eccezioni, tutte al di fuori della politica.
Ritrovare il coraggio di dichiarare criminale questa legalità oppressiva è compito difficile, ma va ogni giorno condotto in solidarietà con tutti coloro che la contestano.
Il popolo valsusino non è meno di quello di Derry, Belfast, Gaza, Rojava, Baltimora, Città del Messico, del Chapas, del Kurdistan, del Donbass.

Enzo Pellegrin
09/09/2015

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LETTERA AL PRESIDENTE MONTI DAL PROFESSOR ANGELO TARTAGLIA
Illustrissimo Presidente del Consiglio,
ho ascoltato e poi letto le sue dichiarazioni riguardo al problema TAV tra Torino e Lione e vorrei provare a scriverle pubblicamente, come pubbliche sono state le sue parole. Io sono stato membro dell’Osservatorio Tecnico sulla Torino-Lione fino alla fine del 2009.
Dopo tale data il governo decise di escludere dall’Osservatorio le amministrazioni comunali che non dichiarassero a priori di accettare l’opera. Fino ad allora l’Osservatorio aveva raccolto una considerevole mole di documentazione, valsa tra l’altro a sfatare la leggenda dell’imminente saturazione della linea storica, ma non aveva mai discusso l’utilità e la rilevanza economica della nuova ferrovia. La motivazione addotta allora dal presidente dell’Osservatorio per questa mancata discussione era che l’analisi costi-benefici sarebbe stata fatta in seguito, in presenza di una progetto esecutivo.
Dall’inizio del 2010 il compito del nuovo Osservatorio, depurato delle voci critiche, è stato esclusivamente quello di occuparsi del come fare la nuova linea e non dell’accertarne l’utilità.
Peraltro il Commissario di Governo e Presidente dell’Osservatorio ha anche affermato in televisione qualche giorno fa che i comuni interessati dalla nuova opera sono solo due, omettendo di dire che nel nuovo Osservatorio ce ne sono molti di più e anche del tutto estranei a qualsiasi versione della costruenda linea. La sua affermazione, inoltre, si riferisce esclusivamente allo sbocco del tunnel internazionale.
Ora è chiaro che se l’intervento dovesse limitarsi al solo tunnel di base la capacità complessiva della linea resterebbe esattamente quella di oggi in quanto la portata di un condotto è determinata dalla sua sezione più stretta, non dalla più ampia.
Torno al problema dei vantaggi e degli svantaggi. Nel luglio del 2009, in occasione di un incontro con i sindaci della valle, svoltosi presso la prefettura di Torino, l’allora Ministro Matteoli affermò che sulla base di studi in suo possesso la linea storica si sarebbe prestissimo saturata. Non essendo in quella sede consentito ai tecnici di prendere la parola gli scrissi subito dopo pregandolo di far pervenire all’Osservatorio gli studi su cui si basavano le sue affermazioni, visto che l’Osservatorio stesso non ne era a conoscenza e anzi era arrivato a conclusioni opposte. Dopo alcune settimane mi arrivò una risposta burocratica di poche righe, ma nessuno studio o documento.
Il 4 novembre 2011 si svolse, al Politecnico di Torino, un seminario pubblico sull’utilità o meno del TAV Torino-Lione. In quella sede due esponenti dell’Osservatorio (di cui ormai non facevo più parte) fecero affermazioni in merito all’economicità dell’opera che sarebbe stata comprovata dall’analisi costi-benefici effettuata da quell’organo tecnico. Sollecitati o a rendere esplicite le loro argomentazioni o a produrre lo studio cui si riferivano, dissero che non lo facevano per correttezza in quanto l’analisi costi-benefici aveva avuto qualche ritardo tecnico, ma stava per essere resa pubblica.
Quattro mesi dopo (venerdì scorso) lei ha dichiarato che l’analisi costi-benefici mostra l’utilità dell’opera e che sarà presto pubblicata.
Capirà che un osservatore neutrale potrebbe trovare singolare che per un’opera proposta ormai più di vent’anni fa, e con tutto quello che sta succedendo, una analisi costi-benefici non sia ancora stata resa pubblica.
Molti trovano anche curioso che per un’opera di tale rilevanza l’analisi tecnico-scientifica circa vantaggi e svantaggi venga fatta dopo aver assunto la decisione e non prima di assumerla.
Io vorrei vivissimamente pregarla di utilizzare tutta l’autorità di cui dispone per far sì che effettivamente l’analisi costi-benefici venga pubblicata in tempi brevissimi e naturalmente anche che possa essere sottoposta ad esame critico tra pari, come è uso che avvenga negli ambienti scientifici. Lei ha il vantaggio di non aver bisogno di ricorrere a fiumi di parole roboanti e vaghe, come è vizio della politica corrente, e ha le competenze per cogliere la rilevanza e fondatezza delle argomentazioni che le vengono prospettate.
D’altra parte credo che si renda perfettamente conto che, data la storia e le premesse di questo problema, non è possibile venirne a capo in termini di ordine pubblico.
La prego, consenta a tutti di riportare questa vicenda sui binari della razionalità, senza sconti e senza presupposti.
Grazie
Distinti saluti
Torino, 04/03/2012
professor Angelo Tartaglia
Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia
Politecnico di Torino

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From: Posta Resistenza posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, September 10, 2015 2:46 AM
Subject: BRACCIANTI E SFRUTTAMENTO. TUTTA COLPA DEI CAPORALI?

Come spesso accade, c’è bisogno che ci scappi il morto affinché di un problema se ne cominci a parlare, e ovviamente se ne parla e basta, giusto quei due tre giorni a ridosso del fatto. Poi tutto rifluisce, tutto ritorna esattamente al proprio posto, come se nulla fosse mai accaduto, come se quel problema non fosse mai esistito, come se nessuno ci avesse mai davvero rimesso la pelle.
Di morti questa volta ce ne sono voluti ben quattro, di quelli assurti all’onore delle cronache, Mohamed, Paola, il tunisino di Polignano e il ragazzo trentenne del Mali. Poi c’è quella dozzina di invisibili, che pure si spegne sotto il sole cocente, o nella cappa soffocante delle serre, ma di cui nessuno dice nulla e di cui a volte nessuno sa molto, sepolti in fretta in mezzo a qualche campo per disfarsi di corpi ormai ‘inutili’. Un bollettino da brividi che si ripete ormai ogni stagione di raccolta che si rispetti.
Se ne fa un gran parlare in questi giorni, di loro, di caporalato, di Mafia. Ne parlano personaggi di rilievo come Saviano, che si sente ovviamente chiamato in causa, questo sembrerebbe il suo campo. E infatti non si fa sfuggire l’occasione e ci rifila la sua lezioncina sulla criminalità organizzata, sui legami storici tra caporalato e mafia, oltre a dirci che per risolvere il problema bisognerebbe introdurre nuove condizioni di lavoro e di contratto, assicurando “flessibilità” per esempio, proprio come accade nel modello californiano per la produzione di pomodoro, quello sì che è un modello “vincente”...peccato che proprio in quella parte di mondo sia stato collaudato ed esportato un po’ ovunque, giungendo già sino a noi, uno dei più sofisticati e atroci sistemi di sfruttamento, principalmente di forza lavoro migrante, proveniente dalle zone più povere del Messico, e che negli ultimi tempi ha dato vita a una delle più grandi mobilitazioni di braccianti contro lo sfruttamento che la storia recente abbia mai conosciuto, la lotta de “Los Jornaleros” che abbiamo provato a documentare.
Poi ci sono le parti sociali. C’è la CGIL ad esempio, che è già al suo secondo rapporto su Agromafie e Caporalato, “uno studio sull’illegalità e sull’infiltrazione mafiosa nell’intera filiera agroalimentare”, come si legge dall’introduzione. Secondo la CGIL bisognerebbe invece potenziare le filiere capaci di puntare su qualità e legalità, come leve per la valorizzazione del nostro Made in Italy agroalimentare.
E poi le istituzioni, il Ministro Martina ad esempio, che intervenendo in questi giorni sui drammatici fatti avvenuti recentemente, ci dice che “esiste una profonda contiguità con la criminalità organizzata” per cui “il caporalato va combattuto come la Mafia”.
Ecco, noi vorremmo fare una piccola riflessione su tutto questo gran dire su caporalato e mafia, una piccola riflessione stimolata da alcune chiacchierate avute con alcuni lavoratori agricoli, per la maggior parte immigrati provenienti dall’India e dall’Africa. E’ di certo un bene che di questo problema di intermediazione “illecita” di manodopera, qui da noi rinominato “caporalato”, se ne parli, soprattutto perché, come abbiamo imparato a conoscere, a volta sa essere davvero molto feroce. Ma non è solo questo. E sopratutto, non è solo Mafia. Questo tentativo di circoscrivere il problema del caporalato alla sfera dell’illegalità, il cercare di incapsularlo in questo discorso che ha a che fare con e solo con la Mafia o altre forme di criminalità organizzata ci sembra essere una bella furbata, oltre che poco, davvero poco in grado di descrivere la realtà.
Cosa intendiamo? Non stiamo di certo negando l’esistenza della Mafia, né la sua capacità di infiltrarsi nella cosiddetta economia “legale” e fare loschi profitti sulla pelle delle persone. Ma il caporalato è in primo luogo una forma di organizzazione e gestione della forza lavoro, figlia proprio di quella economia “legale” che il Ministro Martina e “compagni” stanno tentando di salvaguardare dalla pessima fama.
Ce lo dicono i lavoratori stessi, che parlano di una sistema esteso oltre misura, presente nella quasi totalità delle aziende agricole, da Nord a Sud del nostro paese. Un sistema a volte atroce, come accennavamo prima. Il caporale può essere davvero una figura odiosa che esercita un controllo totale sulla tua vita. Ma non è solo questo. E’ anche una figura di riferimento per gli stessi lavoratori, in termini di opportunità di lavoro, un lavoro avvilente, certo, ma pur sempre qualcosa rispetto al desolante deserto lasciato da politiche scellerate adottate sinora dalla nostra classe dirigente. Non solo. A volte sono gli stessi lavoratori a ritrovarsi ad indossare per qualche tempo i panni di caporale, magari senza mangiarci su, senza fare soldi sugli altri lavoratori, ma pur sempre organizzando parenti e amici e assolvendo al bisogno delle aziende di avere una manodopera pronta all’uso oltre che super flessibile.
Ce lo dicono studi e ricerche sulla produzione agricola in altre parti del mondo, di cui vi forniamo sotto alcuni link. Un sistema di gestione della manodopera presente nella produzione di mele in Sud Africa, in quella di pomodori e patate negli Stati Uniti, nella produzione orticola in Inghilterra. Stiamo quindi parlando di una pratica che va ben oltre i confini del nostro paese.
Non è un’anomalia all’italiana. E’ un sistema perfettamente integrato nell’attuale modello di produzione agricola, un modello che guarda alla produzione in filiere, produzione principalmente orientata all’esportazione, come l’ultima avanguardia nell’organizzazione produttiva, governata dalla Grande Distribuzione che fa della flessibilità il suo aspetto cardine...e se nei grandi discorsoni non si è ancora ben capito di quale flessibilità si parli, noi lo abbiamo imparato a capire sulla nostra pelle!
Tutto questo è esattamente lo stesso modello tanto spinto e pubblicizzato all’EXPO, con il caro Made in Italy dell’agro-alimentare.
Perché parliamo allora di una bella furbata? Perché confinare il problema del caporalato esclusivamente a un discorso su Mafia e criminalità organizzata vuol dire non riconoscere alcuna connessione tra questa pratica e l’attuale sistema di produzione, vuol dire non mettere in discussione le politiche adottate sin ora, vuol dire non interrogarsi sul modello promosso all’EXPO.
Qualche giorno fa c’è stato il vertice nazionale sul caporalato. Martina e Poletti promettono un piano di azione strategico entro 15 giorni...eppure anche qui le parole che girano intorno a questi ragionamenti ci rivelano molto. Si parla di confisca dei beni “come avviene per i mafiosi”, di una “risposta culturale al fenomeno, tenendo conto non solo del danno alle persone ma anche del danno al sistema imprenditoriale” dice Poletti. E ribadisce Martina “Non bisogna generalizzare la situazione e dipingere tutto in negativo. La stragrande maggioranza delle imprese opera nelle regole”. Ecco, è proprio questo ciò che intendevamo. Si continua ad insistere sul fatto che si tratti di un problema circoscritto, lo si incapsula in ragionamenti di comodo per fare le scarpe a questo o quel caporale, ma intanto poi l’intero sistema, imprenditori, commercianti, Grande Distribuzione Organizzata, continueranno con il loro infame “business...as usual”!

Clash City Workers
02/09/15

Link utili:
Encyclopedia Britannica - Migrant labour
‘Labour chains’: analysing the role of labour contractors in global production networks


INTERNATIONAL LABOUR ORGANIZATION BUREAU FOR WORKERS’ ACTIVITIES - Decent work in agriculture

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From: Claudio Grassi blog@claudiograssi.org
To:
Sent: Thursday, September 10, 2015 10:55 AM
Subject: LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI

9 settembre, 2015
di Giulio Di Donato e Giacomo Gabbuti

C’è un tema troppo trascurato nell’ambito del dibattito pubblico e presente solo marginalmente all’interno delle varie piattaforme rivendicative, ma che assume una centralità da cui non si sfugge. Si tratta del grande tema della riduzione dell’orario di lavoro.
Per contrastare la drammatica caduta delle possibilità di lavoro, c’è bisogno di promuovere innanzitutto la redistribuzione del lavoro che c’è. Redistribuzione quindi del reddito (quanto mai necessaria in un paese dove il 10 % della popolazione detiene la metà della ricchezza nazionale), ma anche dei tempi di lavoro (l’Italia è il paese in Europa dove si lavora di più e più a lungo).
Oggi i progressi nel campo della robotica e dell’intelligenza artificiale provocano una contrazione irreversibile e permanente dell’occupazione, tanto fra i lavoratori che svolgono mansioni esecutive, quanto fra i cosiddetti lavoratori della conoscenza. Un progresso tecnologico concentrato in larga parte sulle tecnologie informatiche che non riesce ad aprire la strada a nuove produzioni e a nuovi mestieri con la stessa velocità con cui espelle la manodopera resa superflua dai processi di automazione.
La rivoluzione industriale degli ultimi due secoli ha camminato sulla base di innovazioni radicali (che hanno letteralmente generato nuovi settori industriali) e sulla capacità di soddisfare nuovi bisogni. La rivoluzione delle tecnologie digitali sta forse cambiando le nostre vite in modo altrettanto radicale, ma i nuovi lavori che nascono dal mondo delle applicazioni sono meno di quanto sarebbe necessario.
La produttività e lo sviluppo tecnologico ci consentirebbero, tuttavia, di lavorare molte meno ore al giorno, così assecondando l’antico motto “lavorare meno, lavorare tutti”.
Ma tutto questo entra in contrasto con le logiche proprie del capitalismo che in questa fase di crisi reagisce aumentando lo sfruttamento della forza lavoro residua e aggredendo salari e tutele. Come ci insegna Marx, le crisi sono un mezzo attraverso il quale vengono ripristinate le condizioni di accumulazione del capitale: “le crisi sono sempre soluzioni violente soltanto temporanee delle contraddizioni esistenti ed eruzioni violente che servono a ristabilire l’equilibrio turbato”. Momenti nei quali profitto e accumulazione vengono ristabiliti per mezzo della distruzione di capitale e di forze produttive: aumento della disoccupazione e quindi abbassamento dei salari, fallimenti e quindi concentrazioni di imprese, ecc.
Ecco, dunque, che rivendicare la riduzione dell’orario di lavoro diventa un meccanismo in grado di inceppare i meccanismi di valorizzazione del capitale, che porta con sé la necessità di pensare alla cosiddetta alternativa di sistema.
Tra l’altro, se da un lato la tecnologia risparmia forza lavoro, dall’altro, i problemi della sostenibilità ambientale e di un capitalismo stagnante incapace di produrre nuove e grandi innovazioni, rendono sempre più difficile raggiungere la piena occupazione attraverso la sola espansione della domanda.
Il problema diventa, allora, come conciliare i progressi della tecnologia che garantiscono un’offerta quasi infinita (limitata solo dalla finitezza delle risorse), con la continua espulsione di lavoratori dalle produzioni esistenti e la conseguente diminuzione della domanda aggregata. Domanda che potrebbe essere alimentata solo tramite la creazione di nuovi lavori (soggetti anch’essi ai vincoli di riproducibilità delle risorse) o da una seria politica redistributiva e incentivando forme cooperative e partecipative.
Utile a questo punto fare un breve cenno ad un noto scritto di Keynes, mai abbastanza considerato per l’importanza delle sue implicazioni. Si tratta delle “Prospettive economiche per i nostri nipoti”, un testo che in molti non hanno esitato a definire “visionario”, in cui l’economista, guardando allo sviluppo straordinario e incessante del progresso tecnologico, afferma: “Noi siamo colpiti da una nuova malattia di cui alcuni lettori possono non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi anni: vale a dire la disoccupazione tecnologica. Il che significa che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera”.
Le tecnologie, in quest’epoca, dovrebbero servire a risparmiare lavoro (sempre Keynes: “turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi”), anziché forza lavoro. Si torna così a Marx, alle questioni dell’uso capitalistico delle “macchine” e del cosiddetto esercito industriale di riserva, di quanto si potrebbe fare usando al meglio quanto le forze produttive hanno saputo produrre.
Da qui la necessità di tornare seriamente a riflettere sulla prospettiva di un modello più giusto e razionale, quello socialista.
Un diverso modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico, che rimodelli le nostre vite, il modo in cui ci relazioniamo con gli altri e con l’ambiente che ci circonda. Che ripensi una crescita che non potrà che essere qualitativa, provando a innovare con l’attenzione alla qualità di ciò che si produce, alla riproducibilità delle risorse e all’ambiente: tutti fattori che costituiscono, altrimenti, i limiti di uno sviluppo solo quantitativo.
Per tutto questo serve un governo democratico dell’economia che fornisca un chiaro e nuovo quadro di riferimento, assicuri cioè che “si lavora e si produce non più secondo la logica capitalista (la logica dell’accumulazione per l’accumulazione, della produzione fine a se stessa), ma si produce e si lavora per soddisfare i grandi bisogni dell’uomo, i grandi bisogni della collettività.”

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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Friday, September 11, 2015 1:23 PM
Subject: “SENZA PAROLE” IN POWER POINT

Proprio così, visto l’altissimo gradimento riscontrato dalle vignette “Senza parole” ho deciso di renderle disponibili in formato Power Point grazie alla collaborazione della “iCLhub”.
Le slide sono direttamente utilizzabili, soprattutto quando i lavoratori siano stranieri o comunque con scarsa conoscenza della lingua italiana, proprio per l’immediata comprensione del messaggio che vogliono trasmettere.
Le slide sono scaricabili all’indirizzo:
Ricordo inoltre “L’infortunio in itinere questo sconosciuto”, titolo del post dedicato al problema degli infortuni in itinere e, in particolare a quelli accaduti con l’uso della bicicletta, al link:
E infine, le solite raccomandazioni. Diventate lettori assidui del blog iscrivendovi attraverso il sito.
A ogni destinatario è assicurato il diritto di “opposizione” (articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 196/03 relativo alla privacy) e di essere pertanto cancellato dalla mailing list. In tal caso basta segnalare tale volontà con un semplice “no newsletter” dall’indirizzo da rimuovere.
I dati sono trattati nel rispetto delle vigenti norme sulla riservatezza. Tutti i destinatari delle mail sono in copia nascosta.

Grazie
Muglia La Furia

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From: Gian Luca Garetti glucagaretti@gmail.com
To:
Sent: Friday, September 11, 2015 3:20 PM
Subject: L’INCENERITORE DI MONTALE, DIFFONDE BENEFICHE DIOSSINE E FURANI

IL PARADIGMA DELL’INCENERIMENTO: L’INCENERITORE DI MONTALE
La retorica/propaganda dei sostenitori degli inceneritori, dice che gli inceneritori, ufficialmente denominati impianti insalubri di prima classe, non inquinano l’ambiente e non danneggiano la salute.
Quelli nuovi, quelli con le BAT (Best Available Technology), sono addirittura dis-inquinanti, dicono. In realtà dall’inceneritore di Montale, che ha le BAT, e che quindi è molto simile a quello che vorrebbero impiantare a Firenze, a Case Passerini, da anni fuoriescono diossine e furani oltre i limiti: nel 2007, nel 2011 e questa estate, dal 15 luglio al 14 agosto, questo almeno ufficialmente.
Li chiamano malfunzionamenti. Non a caso Il Dipartimento di Prevenzione ASL 3 di Pistoia in una indagine relativa allo stato di salute della popolazione residente (nel Convegno nazionale Impianti di incenerimento Pistoia 2-3 dicembre 2011) ammise che “gli eccessi di mortalità statisticamente significativi, l’elevata mortalità proporzionale neoplastica, la consistente mortalità oncologica negli uomini di Agliana” e un profilo di salute delle popolazioni residenti intorno all’inceneritore di Montale, soprattutto da un punto di vista oncologico, richiede necessari sorveglianze e ulteriori approfondimenti.
Di fronte a questi dati epidemiologici, di cui è molto ben fornita la letteratura scientifica, si dà la colpa al traffico o a non ancora ben identificate fonti di inquinamento o al Direttore degli studi, come è successo recentemente all’ARPA Piemonte per lo studio sull’inceneritore di Vercelli e lo si licenzia.
Nel documento di ARPAT “Indagine ambientale e sanitaria nelle aree poste in prossimità dell’impianto di incenerimento RSU di Montale 2008-2010”, nelle pagine conclusive (71-72), infatti si legge: “La condizione ambientale riscontrata non appare quindi correlabile in via esclusiva con la possibile deposizione di emissioni provenienti dall’impianto di incenerimento di Montale il quale determina sicuramente un impatto ambientale nel territorio a esso circostante, ma sullo stesso territorio, e in più ampia scala territoriale, insistono altri fattori di pressione che concorrono a determinarne le condizioni complessive. Alcune fra queste sorgenti emissive possono essere quanto meno ipotizzate e fra queste la stessa autostrada A11 e, più in generale, il traffico veicolare, ma certamente altre fonti che, ad oggi, non è stato possibile individuare, meriterebbero un’attenta valutazione”.
Quindi si rimanda a “ulteriori approfondimenti” dice la ASL e ad “attenta valutazione” dice l’ARPAT e così passa il tempo, le diossine e i furani lentamente si bio-accumulano nelle matrici umane ed essendo cancerogeni certi, è intuitivo che tanto bene non devono fare.
E poi c’è il grosso tema degli interferenti endocrini, cioè di sostanze come le diossine, i furani che a dosi infinitesimali, cioè in quelle quantità che dovrebbero fuoriuscire quando non ci sono “anomalie”, mimano l’azione degli ormoni sregolando il sistema endocrino e metabolico, con una lunga serie di patologie, che peraltro non vengono mai considerate da chi fa gli studi.
La colpa almeno a Montale è quasi sempre nella qualità del carbone attivo, impianti che costano centinaia di milioni, prodigi della scienza e della tecnica, smettono di funzionare per così poco! La linea 1 di Montale è quella più disgraziata, in questo agosto viene accesa e spenta più volte. Queste operazioni on/off, sono quelle in cui si emettono enormi quantitativi di inquinanti.
“Fare chiarezza sulle anomalie dell’impianto” dice, in un Comunicato Stampa del 04/09/15, Cristina Volpi responsabile servizi pubblici locali di quel Partito Democratico, che vuol riempire la Toscana e l’Italia di inceneritori.
Altro che chiarezza, quell’impianto di Montale doveva essere già spento da tanto tempo e se davvero si avesse a cuore “la tutela dell’ambiente e la salvaguardia della salute dei cittadini” la gestione dei rifiuti passerebbe solo per la Strategia Rifiuti Zero.

Gian Luca Garetti
Medicina Democratica
Sezione Pietro Mirabelli Firenze

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Saturday, September 12, 2015 12:19 PM
Subject: COORDINAMENTO AUTORGANIZZATO TRASPORTI: COMUNICATO STAMPA SCIOPERO

Stiamo assistendo all’abolizione del diritto di sciopero. Uno dei capisaldi di qualsiasi democrazia viene ora a mancare nel silenzio più assoluto. A fronte di dichiarazioni di sciopero datate fine luglio prima la “commissione di garanzia antisciopero” e subito dopo le istituzioni (anche queste “super partes”...) come la Prefettura di Milano intervengono per limitare e impedire ai lavoratori di esercitare uno dei pochi (ancora oggi esistenti)) diritti rimasti.
Qualsiasi voce al di fuori di quelle consentite dal regime viene zittita.
E’ successo con l’accordo per le rappresentanze sindacali che tentano di fatto di tagliare fuori tutti coloro che vogliono dissentire dal sistema e ammettono solo quelle conniventi con il sistema stesso, quelle che di fatto stanno dalla parte del potere e che purtroppo hanno smesso di rappresentare i lavoratori.
Il panorama che abbiamo di fronte come uomini, cittadini e lavoratori si tinge sempre più a tinte fosche. Il mondo del lavoro è isolato, i lavoratori sono isolati. Il sindacato confederale sono anni che non esercita più la funzione di tutela, la politica ha dimenticato che dietro al successo di un paese c’è il lavoro e soprattutto i lavoratori, non esistono più rappresentanti a ogni livello in grado di rappresentare le serie istanze di un mondo sempre più precario, flessibile e senza certezze.
Ci ritroviamo quindi alle porte di uno sciopero con motivazioni forti, condivise da tutti i lavoratori che viene ridotto dalla Commissione di Garanzia tre giorni prima dello stesso e che addirittura viene precettato dal prefetto di Milano per i treni che vanno o vengono dall’area milanese.
Giochi di forza continui oggi in nome dell’Expo, domani forse del Giubileo e dopodomani forse per il carnevale chissà...
Mai come oggi il bisogno di compattezza risulta importante, mai come oggi il bisogno di gridare il nostro disagio è indispensabile, mai come oggi bisogna sottolineare che questi giochi di forza mirati a disintegrare un diritto inalienabile per i lavoratori come quello di sciopero non troveranno terreno fertile.
L’importanza di aderire a questo sciopero è massima, sia per le motivazioni, sia per sancire di fatto che anche se fortemente minato il diritto a dissentire rimane per noi di vitale importanza, sia per ritrovare la compattezza come lavoratori.
Perche’ SOLO la formazione di una massa di individui che combatte compatta per i propri diritti può salvarci da questo default.
Non limitiamoci a lamentarci in saletta davanti a un pacchetto di schiacciatine.
Scioperiamo compatti.
Buon sciopero a tutti, nonostante tutto...

Roma, 11/09/15
Lavoratori a Difesa dei Lavoratori
Coordinamento Autorganizzato Trasporti
via dei Campani, 43 00185 Roma
cellulare: 329 45 55 203
fax 010 89 33 794

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From: SpeziaPolis info@speziapolis.org
To:
Sent: Saturday, September 12, 2015 12:36 PM
Subject: 19 SETTEMBRE 2015: PARIGI CHIAMA LA SPEZIA: SALVARE IL CLIMA, CHIUDERE CON IL CARBONE, APRIRE A NUOVE OPPORTUNITA’

Gentilissime/i,
a nome del Comitato SpeziaViaDalCarbone vi invito a partecipare al Convegno in oggetto.
Insieme al WWF Italia abbiamo predisposto la comunicazione e inoltrato gli inviti alla stampa; animato l’evento Facebook e avviato la campagna sui social network.
L’evento è già molto presente online e la settimana prossima uscirà su carta stampata e in TV (speriamo anche oltre la sfera locale).
Speriamo in una partecipazione numerosa, per un evento che nei contenuti va ben al di là della sfera locale ma che ci serve per capire meglio ciò che succede nella sfera locale.
A questo proposito segnalo una interessante ricerca condotta da CAN Europe sulle 280 centrali a carbone attive in Europa: l’impatto ambientale, sanitario, le emissioni, il convogliamento dei governi, le situazione delle rinnovabili e dei conflitti.
La trovate al link:
Tra gli altri sono stati mappati i conflitti di Vado Ligure e di Spezia, che trovate ai link:
Una sintesi della ricerca è reperibile al link:
Siete invitati a estendere l’invito a chi eventualmente interessato e a divulgare quanto più possibile.
La locandina dell’evento è scaricabile al link:
Il programma in veste grafica è invece scaricabile al link:
Cordiali saluti.

Daniela Patrucco
Portavoce Comitato SpeziaViaDalCarbone
Vice Presidente di Retenergie
cellulare 348 44 01 645
Twitter: @SpeziaPolis
Skype: d.patrucco

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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Sunday, September 13, 2015 9:30 AM
Subject: IL 17 SETTEMBRE A MONTECITORIO: NO ALLA PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!

PER IL 17 SETTEMBRE A MONTECITORIO
SOLIDARIETA’ E PARTECIPAZIONE
NO ALLA PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!
E disumano che questo Stato non voglia la verità; è inaccettabile che siano prescritti reati del processo per il disastro ferroviario del 29 giugno 2009, trasformatosi in una strage con 32 vittime e feriti gravissimi. Ma dove la devono cercare la giustizia e la verità, i familiari delle vittime, se non in un processo?
Sotto accusa per la strage finiscono 9 società e 33 persone, tra cui i manager del gruppo FS e i dirigenti e dipendenti di tre aziende: la proprietaria del carro, Gatx Rail Austria e Germania; l’officina tedesca Jungenthal che lo revisionò; e la Cima riparazioni che lo montò.
Alcuni reati come violazione delle norme per la sicurezza sul lavoro non sono entrati neppure nel processo poiché prescritti prima di cominciare.
Altri come l’incendio colposo e lesioni colpose sono a rischio.
Come si può pensare che il 29 giugno non sia successo nulla, di cosa sono morti 32 innocenti?
Per questo l’Associazione dei familiari “Il mondo che vorrei” e Assemblea 29 giugno (nata in seguito alla strage) hanno deciso di essere giovedì 17 settembre di fronte a Montecitorio per una protesta forte e chiara (da Viareggio partirà almeno un pullman), per dire che non si può scherzare, che non si può giocare, su questa immane tragedia.
I familiari, per tre anni, hanno chiesto un incontro al precedente capo dello Stato, Napolitano, che si è sempre rifiutato; hanno nuovamente chiesto un incontro al nuovo capo dello Stato, Mattarella, che ha risposto di non poterli incontrare perché c’è un processo in corso. Lo stesso Mattarella, che in questi mesi ha incontrato più volte il cavalier Moretti, principale imputato nel processo, si rifiuta di guardare negli occhi i familiari delle 32 Vittime.
Coerenti, Napolitano e Mattarella, con il fatto che lo Stato non si è costituito parte civile nel processo, che i governi Berlusconi e Letta hanno rinnovato la nomina a Moretti di Amministratore Delegato delle Ferrovie e che il governo Renzi lo ha addirittura promosso Amministratore Delegato in Finmeccanica con una retribuzione milionaria (si parla di euro, naturalmente).
E per questo che il 17 andremo noi al Quirinale per (tentare di) essere ricevuti da Mattarella.
La strage ferroviaria, ovviamente, riguarda la mancanza di sicurezza o, meglio, una politica di abbandono sulla sicurezza. Il cavalier Moretti ha sempre dichiarato che non vi è un problema sicurezza e che “Viareggio” è stato uno “spiacevolissimo episodio”. Non ha avuto neppure il coraggio di definirlo incidente.
Invece, proprio sulla sicurezza, accadono incidenti gravi e gravissimi:
-         20 luglio, una porta di salita del treno regionale Firenze-Arezzo si è staccata ed è volata via;
-         4 agosto, a La Spezia, durante le manovre di un convoglio merci, Antonio Brino, 28 anni, dipendente della società SerFer, è rimasto schiacciato tra il convoglio e respingenti del binario (dal 2006, sui binari delle ferrovie hanno perso la vita 56 lavoratori: una statistica drammatica ed impressionante!);
-         25 agosto, a Napoli, un treno di pendolari e viaggiatori va in fiamme;
-         29 agosto, l’ultimo vagone di un treno con 150 passeggeri svia dai binari alla stazione di Piombino Marittima (LI).
Solo per citare gli ultimi fatti di cui siamo a conoscenza.
Giovedì 17 settembre a Roma per dire NO alla prescrizione del reato di “incendio colposo” e di lesioni gravi e gravissime al processo per la strage ferroviaria del 29 giugno 2009 (processo iniziato il 13 novembre 2013). Da Viareggio partirà un pullman (è in preparazione un secondo pullman) per far sentire una voce forte e chiara di protesta.
La partenza è alle ore 04:30 dal piazzale della PAM di Viareggio, il rientro intorno alle ore 20.00.
L’appuntamento a Montecitorio è intorno alle ore 09:30.
Chi è interessato e disponibile a partecipare si metta in contatto via mail all’indirizzo assemblea29giugno@gmail.com oppure telefonicamente con il numero 333 62 95 227.

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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Sunday, September 13, 2015 5:01 PM
Subject: MEDICINA DEMOCRATICA: CONGRESSO NAZIONALE FIRENZE 19-21 NOVEMBRE 2015

MEDICINA DEMOCRATICA - CONGRESSO NAZIONALE FIRENZE 19-21 NOVEMBRE 2015
PRE-CONGRESSI DI MEDICINA DEMOCRATICA APERTI ALLE ASSOCIAZIONI DEI TERRITORI
Dal 19 al 21 novembre si terrà a Firenze il Congresso Nazionale triennale di Medicina Democratica movimento di lotta per la salute.
Medicina Democratica, ha tenuto il suo Congresso di fondazione a Bologna il 15–16 maggio 1976, ed è attiva da quasi 40 anni sui temi della difesa della salute negli ambienti di lavoro e di vita con iniziative di documentazione e di lotta per la prevenzione primaria attraverso la eliminazione dei fattori di rischio riconosciuti, nonché con l’attività giudiziaria per ottenere la condanna di coloro che hanno lucrato sulla salute dei lavoratori e dei cittadini, esponendoli per ragioni di profitto a fattori di nocività già da tempo noti nel mondo della ricerca epidemiologica e scientifica, e il risarcimento dei danni ai singoli danneggiati e alle comunità (si rimanda alla pagina Internet ufficiale www.medicinademocratica.org e delle sezioni territoriali per ulteriori approfondimenti).
Il tema del Congresso sarà: “Rischio statistico e rischio zero” per sottolineare le due prospettive, quelle della ricerca (scienza, accademia) e quella delle popolazioni (cittadini, lavoratori, malati) che dalla sua nascita Medicina Democratica ha inteso unificare riunendo intorno allo stesso progetto di rinnovamento della scienza e della ricerca, per la promozione della salute dell’uomo e dell’ambiente, lavoratori e scienziati, medici, operatori sanitari, ricercatori e cittadini.
Essendo la non-delega e la partecipazione il principio ispiratore di Medicina Democratica, discuteremo anche nell’ambito del Congresso modi e strumenti per realizzare una ricerca epidemiologica partecipata, una ricerca non sulla popolazione “oggetto di studio e di manipolazione” ma “con la popolazione soggetto di ricerca e di iniziativa per la prevenzione”.
Il Congresso si articolerà anche in lavori di gruppo che dovranno portare alla definizione del programma di lavoro da sviluppare nel triennio 2016–2018. A questi lavori, che guarderanno con particolare attenzione alla difesa del sistema sanitario nazionale pubblico, universalistico, equo e solidale, finanziato dalla fiscalità progressiva, auspichiamo vogliano partecipare tutte le associazioni che, interessate a promuovere la salute, si contrappongono al pensiero unico dominante iper-liberista sostenendo la scelta di civiltà che pone alla base della convivenza non il mercato ma i principi e le norme costituzionali che identificano nel lavoro e nella salute gli obiettivi da promuovere e realizzare attraverso la partecipazione e con appropriate e trasparenti iniziative di un governo democratico.
Stiamo attualmente vivendo un momento alquanto difficile in cui il diritto alla salute, in ogni sua forma, è direttamente attaccato e compromesso. La risposta del movimento, pur non mancando, è però frazionata e dispersa.
Il Congresso di Medicina Democratica vuole essere un momento collettivo utile di riflessione, di definizione dei problemi sul tappeto e, soprattutto, di proposta di relazione permanente fra movimenti e associazioni.
Sono nate alcune “Reti” in proposito. Queste, collegate fra loro, potrebbero essere la modalità più adeguata per rispondere a tale esigenza.
PRE-CONGRESSO PER LE ASSOCIAZIONI CHE FANNO RIFERIMENTO GEOGRAFICAMENTE AL NORD ITALIA.
Per i movimenti, le Associazioni, gli interessati vi proponiamo un incontro (geograficamente per il Nord Italia) per il 19 settembre 2015, alle ore 10, presso la Sala Sindacale delle Ferrovie dello Stato alla Stazione Centrale di Milano, binario 21, scala e, quarto piano.
Per coloro che entreranno dall’esterno dei binari (senza biglietto) sarà sufficiente dichiarare che si partecipa alla riunione presso la Sala Sindacale.
Gli argomenti individuati, da discutere anche con i rappresentanti delle Associazioni che vorranno partecipare, sono quelli dell’Ambiente (inquinamento, alimentazione, agricoltura), Lavoro (le diverse forme di nocività e le lotte per la promozione della salute), Sistema Sanitario (difesa dei diritti con particolare attenzione alla salute della donna, sostenibilità e lotte contro i tentativi di privatizzazione), Emarginazione.
La proposta di Medicina Democratica ai Gruppi alle Associazioni o ai Movimenti che vorranno partecipare e contribuire è quella di mettere a disposizione una specifica competenza di conoscenza, di lotta e di presenza storica sui temi critici della partecipazione e della prevenzione, impegnandosi a potenziare:
-         come strumento di dibattito, divulgazione, proposta e organizzazione la Rivista anche in sinergia ove e come possibile con “Epidemiologia & Prevenzione”;
-         come presenza nel movimento di lotta il numero e le attività delle sezioni territoriali, da meglio coordinare in modo permanente pur nella varietà dei temi e dei modi organizzativi (Sportelli Salute e disagio lavorativo, Supporto all’azione legale locale, Iniziative giudiziarie o legislative a livello nazionale);
-         l’attività di formazione e sensibilizzazione sul territorio attraverso Corsi organizzati in tema di nocività del lavoro, identificazione e documentazione dei fattori di rischio sul territorio anche con la promozione di circa epidemiologica di base e la promozione di iniziative locali di lotta o di contrasto su specifici temi;
-         l’iniziativa di coordinamento nel sociale attraverso la costituzione di reti di relazioni stabili con Associazioni, Gruppi e Movimenti presenti sul territorio e attivi in ambito socio-sanitario e politico;
-         l’iniziativa di promozione di convegni su emarginazione, salute della donna, difesa dei diritti, difesa dei beni comuni, per il lancio di iniziative anche legislative per contrastare fonti di inquinamento fisico, chimico ma anche culturale (pensiero unico);
-         l’istituzione di un Comitato Scientifico permanente di Consulenti/Garanti a cui chiedere un impegno non continuativo di partecipazione, ma contributi mirati ad iniziative di ampia risonanza nazionale e internazionale.
ALTRI INCONTRI SARANNO CALENDARIZZATI PER IL CENTRO E PER IL SUD ITALIA.
Vi saremmo grati se ci fate conoscere il vostro pensiero e la eventuale vostra partecipazione all’ indirizzo mail: segreteria@medicinademocratica.org

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