giovedì 25 giugno 2015

24 giugno - La Controinformazione su Salute e Sicurezza. Konw Your Rights il nouvo numero



SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!

NEWSLETTER N. 215 DEL 23/06/15


NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE


LA PROTEZIONE DA AGENTI CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE - SECONDA PARTE
1
LE SCALE PORTATILI: REQUISITI E CARATTERISTICHE PROPRIE DA DETERMINARE MEDIANTE PROVE SPERIMENTALI
6
L’INDIVIDUAZIONE DEL LUOGO DI LAVORO AI FINI DELLA PREVENZIONE INFORTUNI
7
RISCHIO STRESS: I RITARDI E LE CARENZE DELLE VALUTAZIONI DEI RISCHI
10
JOBS ACT: PRIMI PASSI PER L’ABOLIZIONE DEL REGISTRO INFORTUNI E PER LA COSTITUZIONE DELL’AGENZIA UNICA PER LA TUTELA DEI LAVORATORI
14
RLS:  IL NUMERO, I DIRITTI, LA RESPONSABILITA’ E ALTRE FAQ
16


LA PROTEZIONE DA AGENTI CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE - SECONDA PARTE
LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.67


Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti del lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.
In questo caso, vista la lunghezza e la complessità dell’argomento, ho diviso il documento in due parti.
La prima (pubblicata nella precedente newsletter) era relativa a:
-         premessa;
-         definizioni;
-         etichettatura e schede di sicurezza degli agenti chimici;
-         valutazione del rischio da agenti chimici.
La seconda (questa) è relativa a:
-         misure di prevenzione e protezione: la sostituzione degli agenti chimici pericolosi;
-         altre misure di prevenzione e protezione;
-         conclusioni.
Marco Spezia


QUESITO

Ciao Marco,
sono il responsabile manutenzione di un azienda metalmeccanica.
Ti pongo il mio problema.
Sono anni che i dirigenti fanno usare, per i lavori di riverniciatura delle macchine, una vernice con diluente alla nitro. Non so bene quali danni possa fare, ma annusare questo diluente una sola volta, può già dare un’idea.
Quando sono entrato in azienda sono subito passato (dopo una breve consultazione con la ditta che produceva e vendeva la vernice, che mi parlò di equivalenza di risultati) alla vernice con diluizione all’acqua, invece che alla nitro, senza avere nessuna perdita di resa o durata nel tempo.
Le argomentazioni che i dirigenti della mia ditta mi hanno opposto quando ho cercato di sensibilizzarli su questo problema furono che la vernice ad acqua costava di più di quella alla nitro...
A un corso sulla sicurezza fatto di recente, mi è stato detto che tra due vernici equivalenti come resa, ecc., la dirigenza ha l’obbligo di scegliere quella non inquinante o meno inquinante.
Tu sai qualcosa in merito? E’ possibile costringere la dirigenza a cambiare questa scelta?
Attendo tue notizie e ti saluto cordialmente.


RISPOSTA

Ciao,
a seguire la mia relazione sugli obblighi a carico del datore di lavoro di ogni azienda relativamente agli agenti chimici pericolosi e alle misure di prevenzione e protezione da adottare per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Come vedrai la sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri che non lo sono o lo sono di meno è obbligo prioritario.
Un caro saluto.
Marco

LA PROTEZIONE DA AGENTI CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE


MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE: LA SOSTITUZIONE DEGLI AGENTI CHIMICI PERICOLOSI

In generale, indipendentemente dall’esito della valutazione del rischio, ogni qual volta vengono utilizzati o vengono prodotti agenti chimici pericolosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare misure generali per la prevenzione e la protezione della salute dei lavoratori coinvolti.

Tali misure sono enunciate dall’articolo 224, comma 1 del Decreto:
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 15, i rischi derivanti da agenti chimici pericolosi devono essere eliminati o ridotti al minimo mediante le seguenti misure:
a) progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro;
b) fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico e relative procedure di manutenzione adeguate;
c) riduzione al minimo del numero di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti;
d) riduzione al minimo della durata e dell’intensità dell’esposizione;
e) misure igieniche adeguate;
f) riduzione al minimo della quantità di agenti presenti sul luogo di lavoro in funzione delle necessità della lavorazione;
g) metodi di lavoro appropriati comprese le disposizioni che garantiscono la sicurezza nella manipolazione, nell’immagazzinamento e nel trasporto sul luogo di lavoro di agenti chimici pericolosi nonché dei rifiuti che contengono detti agenti chimici”.
Come specificato in precedenza tali misure devono essere adottate prima dell’inizio dell’attività lavorativa che comporti l’utilizzo di agenti chimici pericolosi.

L’inciso “fermo restando quanto previsto dall’articolo 15, significa che, oltre alle misure indicate dall’articolo 224, comma 1, il datore di lavoro deve comunque adottare anche quelle indicate nell’articolo 15 del Decreto (“Misure generali di tutela”), tra le quali quelle applicabili per il rischio da agenti chimici sono le seguenti:
-         l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
-         la riduzione dei rischi alla fonte;
-         la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
-         la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
-         l’utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
-         la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale.
Pertanto, già a livello generale, il Decreto prevede come misura prioritaria la sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri che non lo siano o lo siano di meno.

Inoltre, se in esito alla valutazione del rischio, si dimostra che il rischio da agenti chimici è significativo per la salute [“rischio rilevante”] e la per sicurezza [“rischio alto”] dei lavoratori, il datore di lavoro deve adottare (prima dell’inizio dell’utilizzo degli agenti, come sopra detto), oltre a quelle generali descritte dall’articolo 224, comma 1 del Decreto, anche specifiche misure di prevenzione e protezione.

Ciò deriva dall’articolo 224, comma 2 del Decreto:
Se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi é solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 [misure generali di tutela] sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230.

L’articolo 225, comma 1 del Decreto riporta tra queste misure quelle di carattere tecnico e gestionale:
Il datore di lavoro, sulla base dell’attività e della valutazione dei rischi di cui all’articolo 223, provvede affinché il rischio sia eliminato o ridotto mediante la sostituzione, qualora la natura dell’attività lo consenta, con altri agenti o processi che, nelle condizioni di uso, non sono o sono meno pericolosi per la salute dei lavoratori. Quando la natura dell’attività non consente di eliminare il rischio attraverso la sostituzione il datore di lavoro garantisce che il rischio sia ridotto mediante l’applicazione delle seguenti misure da adottarsi nel seguente ordine di priorità:
a) progettazione di appropriati processi lavorativi e controlli tecnici, nonché uso di attrezzature e materiali adeguati;
b) appropriate misure organizzative e di protezione collettive alla fonte del rischio;
c) misure di protezione individuali, compresi i dispositivi di protezione individuali, qualora non si riesca a prevenire con altri mezzi l’esposizione;
d) sorveglianza sanitaria dei lavoratori a norma degli articoli 229 e 230.

Il mancato adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di adottare queste misure è reato penale sanzionato dall’articolo 262, comma 2, lettera a) del Decreto con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 2.000 a 4.000.

Pertanto si evince dal testo normativo l’obbligo prioritario (in questo caso sanzionabile penalmente) di sostituire gli agenti chimici pericolosi con altri che non lo siano o lo siano di meno (“Il datore di lavoro, sulla base dell’attività e della valutazione dei rischi [...] provvede affinché il rischio sia eliminato o ridotto mediante la sostituzione”).
Soltanto nel caso in cui “la natura dell’attività non consente di eliminare il rischio attraverso la sostituzione” il datore di lavoro o i dirigenti devono adottare le altre misure contenute nell’articolo 225, comma 1 del Decreto.

E’ superfluo mettere in evidenza come il legislatore tenga in considerazione ai fini della sostituzione degli agenti chimici pericolosi solo considerazioni di tipo tecnico legate alla “natura dell’attività” e non certo a considerazioni di tipo economico.
In tale ambito la omessa sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri non pericolosi o meni pericolosi, non può trovare alcuna scusante relativamente al costo degli agenti chimici alternativi.
Tale considerazione nasce, oltre che da quanto disposto dall’articolo 225, comma 1 del Decreto anche dal dettato generale di cui all’articolo 2087 del Codice Civile che stabilisce che:
L’imprenditore e tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Anche in tal caso il legislatore fa riferimento a “l’esperienza e la tecnica” con l’obiettivo, prioritario rispetto a qualunque altra considerazione, di “tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro”.


ALTRE MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Fermo restando l’obbligo sanzionabile di sostituire gli agenti chimici pericolosi con altri che non lo siano o che lo siano di meno, se questa misura prettamente preventiva non è possibile (e si rimarca: da un punto di vista tecnico e non economico), il datore di lavoro è obbligato (pena la sanzione) ad attuare altre misure di prevenzione e protezione per ridurre il più possibile il rischio derivante dagli agenti chimici pericolosi.

Alcune di queste misure sono indicate alle lettere da a) a c) dell’articolo 225, comma 1 del Decreto sopra menzionato e sono misure di carattere prettamente tecnico e produttivo per ridurre i rischi alla fonte o predisporre una separazione fisica (protezione collettiva o individuale) tra gli agenti chimici pericolosi e i lavoratori. Altre disposizioni sono contenute all’interno dell’articolo 226 del Decreto, specificatamente in caso di incidenti o di emergenze.

Tra tali misure rientrano a titolo indicativo, ma non esaustivo le seguenti:
-         stoccaggio e movimentazione degli agenti chimici per quanto possibile in recipienti o condotti chiusi e sigillati contro la dispersione dei solidi e dei liquidi, ma anche dei vapori;
-         etichettatura o colorazione appropriata di recipienti e/o condotti atte a contenere gli agenti, in modo da rendere edotti i lavoratori dei pericoli;
-         utilizzo della minore quantità tecnologicamente possibile di agenti chimici;
-         separazione delle aree destinate allo stoccaggio, trasporto, utilizzo degli agenti chimici dagli altri reparti;
-         separazione tra di loro, nello stoccaggio e nell’utilizzo, degli agenti chimici mutuamente incompatibili;
-         riduzione al minimo della presenza di concentrazioni pericolose di sostanze infiammabili o quantità pericolose di sostanze chimicamente instabili;
-         riduzione al minimo del numero dei lavoratori a contatto degli agenti chimici, anche mediante misure di automazione dei processi produttivi;
-         riduzione al minimo del tempo di permanenza a contatto con gli agenti chimici;
-         messa a disposizione dei lavoratori di attrezzature tali da ridurre al minimo il contatto con agenti chimici;
-         pronta raccolta di qualunque tipo di sversamento degli agenti chimici a terreno o in atmosfera con mezzi adeguati e realizzati in maniera tale da contenere il più possibile l’agente sversato;
-         installazione di prese di aspirazione dell’aria in prossimità a tutti i punti in cui si possano determinare la dispersione nell’atmosfera di vapori o aerosol pericolosi;
-         realizzazione degli ambienti di lavoro e installazione di apparecchiature al fine di pulire il più prontamente ed efficacemente possibile ogni residuo degli agenti chimici;
-         consegna e richiesta di utilizzo di DPI specifici per i rischi introdotti dagli agenti chimici (facciali filtranti, maschere, guanti, tuta, grembiuli, ecc.);
-         disposizione del divieto di fumare, usare fiamme libere, mangiare nei luoghi di lavoro ove sono presenti agenti chimici;
-         redazione di specifiche misure di emergenza per eliminare o ridurre i rischi legati a situazioni di emergenza (incendio, terremoto, rottura di contenitori o tubazioni di agenti chimici, ecc.);
-         adozione di sistemi automatici di allarme e di comunicazione da utilizzare in caso di emergenza;
-         messa a disposizione dei lavoratori di docce e lavaocchi di emergenza da usare a seguito di contatto con un agente chimico pericoloso;
-         realizzazione di servizi igienici per permettere un’accurata igiene personale al termine del lavoro;
-         realizzazione di spogliatoi con armadietti dove riporre separatamente gli abiti da lavoro da quelli civili.

L’articolo 225, comma 2 del Decreto impone poi al datore di lavoro di eseguire campionamenti ambientali o personali della concentrazione di agenti chimici nell’aria e di confrontarli con i limiti di esposizione per i lavoratori definiti dalla legislazione o dalla letteratura specifica (a meno che non sia in grado di dimostrare in altro modo un adeguato livello di salute e sicurezza).
Se a seguito di tali campionamenti si rilevasse il superamento del valore limite di esposizione, il datore di lavoro è tenuto a intraprendere immediate misure per la riduzione della concentrazione di agenti chimici, compreso, se necessario, la fermata della attività lavorative.

Si ricorda che il mancato adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di adottare queste misure di prevenzione e protezione, anche relativamente alle situazioni di emergenza, è reato penale sanzionato dall’articolo 262, comma 2, lettera a) del Decreto con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 2.000 a 4.000.

Oltre a tali misure tecniche e organizzative, il Decreto prevede, all’interno dell’articolo 227, l’obbligo per il datore di lavoro o per i dirigenti di erogare una informazione e una formazione specifica ai lavoratori, da adottare mediante:
-         messa a disposizione dei lavoratori delle schede di sicurezza di ogni agente chimico utilizzato;
-         spiegazione del significato dei simboli di pericolo, delle frasi di rischio, dei consigli di sicurezza riportati sui contenitori degli agenti chimici;
-         tutti i dati relativi alla valutazione del rischio, compreso i risultati dei campionamenti ambientali eseguiti;
-         messa a disposizione di specifiche procedure di salute e sicurezza contenenti le precauzioni e le azioni adeguate da intraprendere per eliminare o ridurre il rischio;
-         necessità dell’uso dei DPI e corretto utilizzo degli stessi.

Il mancato adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di informazione e formazione dei lavoratori è reato penale sanzionato dall’articolo 262, comma 2, lettera b) del Decreto con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro.

Infine (articolo 229 del Decreto) il datore di lavoro, in collaborazione con il medico competente, organizza la sorveglianza sanitaria dei lavoratori, eseguita dal medico competente stesso mediante visite mediche specifiche, comprensive, se necessario di esami clinici e diagnostici.
La sorveglianza sanitaria è finalizzata a verificare che i lavoratori siano fisicamente idonei al lavoro che comporta l’utilizzo di agenti chimici e a monitorarne lo stato di salute in funzione dell’esposizione agli agenti.
I risultati della sorveglianza sanitaria devono essere riportati dal medico competente all’interno della cartella sanitaria e di rischio di cui all’articolo 25, comma 1, lettera c) del Decreto.

Il mancato adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di organizzare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori è reato penale sanzionato dall’articolo 262, comma 2, lettera b) del Decreto con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro.

Nel caso che tra gli agenti chimici utilizzati o generati nelle attività lavorative ve ne fossero di cancerogeni o mutageni, ai sensi della etichettatura degli agenti o comunque in quanto inseriti nella classificazione stilata dalla IARC (International Agency for Research on Cancer), e periodicamente aggiornata il datore di lavoro dovrà adottare gli obblighi definiti dal Titolo IX Capo II “Protezione da agenti cancerogeni e mutageni”, simili a quelli da adottare per gli agenti chimici pericolosi, ma con prescrizioni molto più restrittive in funzione della maggiore pericolosità degli agenti.


CONCLUSIONI

In caso di utilizzo di agenti chimici, si applica quanto disposto come obbligo a carico del datore di lavoro o dei dirigenti dal Titolo IX Capo I del Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni.

In presenza di agenti chimici pericolosi, il datore di lavoro deve eseguire una specifica valutazione del rischio per individuare e classificare tutti i possibili rischi per la salute e la sicurezza per i lavoratori.

La valutazione del rischio deve essere eseguita prima dell’inizio di una nuova attività lavorativa o prima dell’inizio dell’utilizzo di un nuovo prodotto chimico.

Se la valutazione evidenzia che il rischio è rilevante per la salute e alto per la sicurezza, il datore di lavoro deve adottare, oltre a quelle generiche relative all’utilizzo di agenti chimici, specifiche misure di prevenzione e protezione per eliminare o ridurre a livelli trascurabili i rischi per i lavoratori.

Misura prioritaria stabilita dal Decreto è, se la natura dell’attività lavorativa lo consente, la sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri che non lo siano o lo siano di meno. Nella scelta degli agenti chimici e quindi nella loro sostituzione non devono essere valutati dal datore di lavoro gli aspetti economici, ma solo quelli tecnici.

Nel caso che la sostituzione degli agenti chimici pericolosi non sia possibile e comunque se permangono a seguito della sostituzione, rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore, il datore di lavoro deve adottare specifiche misure di prevenzione e protezione tecniche, organizzative procedurali per ridurre i rischi a livelli trascurabili.

In caso di presenza di rischio chimico rilevante, i lavoratori devono essere adeguatamente informati e formati sugli agenti chimici, anche per mezzo delle schede di sicurezza e dell’etichettatura degli agenti stessi.

In caso di presenza di rischio chimico rilevante per la salute, i lavoratori devono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria per verificare la loro idoneità fisica all’utilizzo degli agenti chimici e per monitorare nel tempo il loro stato di salute.

LE SCALE PORTATILI: REQUISITI E CARATTERISTICHE PROPRIE DA DETERMINARE MEDIANTE PROVE SPERIMENTALI

Da Portale Consulenti
27 maggio 2015
di Secondo Martino

Le scale portatili sono attrezzature largamente diffuse e usate in ambiente di lavoro e in ambiente di vita.
Vengono impiegate da milioni di persone e comportano rischi elevati di incidenti, come riportato da numerosi Osservatori.
Le tipologie di incidenti riguardano principalmente la stabilità nell’uso e la resistenza strutturale nei riguardi del comportamento alle sollecitazioni cicliche.
Tali caratteristiche non sono verificate con idonee prove dalla normativa di prodotto europea vigente, in quanto parzialmente e indirettamente valutate con considerazioni geometriche per quanto concerne la stabilità, e con prove di carattere esclusivamente statico per la resistenza strutturale.

L’attuale norma di prodotto (la EN 131, parte seconda, del giugno 2010) elaborata in 12 anni circa, non ha condotto alla introduzione di prove specifiche per la valutazione di tali caratteristiche, sebbene da parte di alcuni stati membri ne sia stata sentita l’esigenza, anche attraverso la presentazione di esperienze sperimentali nazionali (Italia, Regno Unito, Olanda, Belgio).
Il mancato accordo tecnico è dovuto, oltre che alle resistenze di carattere commerciale, anche alla mancata introduzione di idonei requisiti condivisi tra le parti e da tipologie di prove spesso non confrontabili fra loro.

Il Comitato Tecnico TC 93, tenutosi a Berlino il 23 e 24 aprile 2009, ha impostato nuove strategie condivise per la revisione della norma che tengono conto della stabilità e della durabilità della scala e ha costituito un nuovo gruppo di lavoro, il WG10.
Il compito è di stabilire un programma di lavoro per esaminare i requisiti di stabilità e di durabilità nonché una possibile classificazione delle scale portatili che tenga conto di quest’ultimo requisito.
Il WG1O ha istituito due gruppi di lavoro ad hoc, composti ognuno da cinque esperti, per procedere con ulteriori approfondimenti riguardo la stabilità e le prestazioni in relazione alla durabilità valutata con test ciclici.

Al fine di ridurre al minimo il rischio di incidente, in virtù della evoluzione dei requisiti prestazionali del prodotto, in relazione al progresso tecnologico e al livello di sicurezza che i consumatori possono ragionevolmente aspettarsi, è fondamentale che le scale portatili vengano fabbricate con un livello intrinseco di sicurezza maggiore.

L’individuazione delle misure progettuali e di sperimentazione per ridurre al minimo i rischi connessi con le attività effettuate con le scale portatili coinvolge quindi direttamente l’attività di ricerca sulle caratteristiche di resistenza e di stabilità delle stesse.

Il documento “Le scale portatili” redatto da INAIL Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici è scaricabile all’indirizzo:



L’INDIVIDUAZIONE DEL LUOGO DI LAVORO AI FINI DELLA PREVENZIONE INFORTUNI

Da: PuntoSicuro
08 giugno 2015
di Gerardo Porreca

In tema di norme antinfortunistiche per ambiente di lavoro deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui si svolge l’attività lavorativa, in cui si può accedere anche solo per sostare in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.

Due gli importanti insegnamenti che discendono dalla lettura di questa lunga e articolata sentenza della Corte di Cassazione e che riguardano l’uno la individuazione di quello che è da intendersi come ambiente di lavoro e l’altro la corretta applicazione dell’articolo 26 del D.Lgs. 81/08 contenente le disposizioni di sicurezza in caso di appalti e subappalti interni.
In tema di norme antinfortunistiche, ha sostenuto la Suprema Corte, per ambiente di lavoro deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l’attività lavorativa si sviluppa e in cui, indipendentemente dall’attualità dell’attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nella zona ove sono posti i macchinari e coloro che vi accedano per ragioni connesse all’attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.
Secondo la Corte di Cassazione, inoltre, il concetto di interferenza tra impresa appaltante e impresa appaltatrice, in relazione agli obblighi previsti dal comma 2 dell’articolo 26 del D.Lgs. 81/08 non può ridursi, ai fini dell’individuazione delle responsabilità colpose penalmente rilevanti, ai soli contatti rischiosi tra il personale delle due imprese, committente e appaltatrice, ma deve fare necessario riferimento anche a tutte le attività dirette a prevenirli.

Il Tribunale ha dichiarato in prima istanza l’Amministratore Delegato di una società e il Direttore dello Stabilimento della società stessa colpevoli, nelle rispettive qualità, del reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e dall’avere agito nonostante la previsione dell’evento (articolo 61, comma 3 del Codice Penale), in relazione alla morte di un dipendente di una società appaltatrice dei servizi di raccolta e accatastamento dei filati di lamierino realizzati all’interno dello stabilimento, il quale una sera, durante la pausa per la cena, è stato trovato privo di vita nel reparto tranceria, accartocciato su se stesso, sul nastro trasportatore posto sotto delle presse.

Gli imputati sono stati accusati, tra l’altro, di non aver adottato le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica del lavoratore, non disponendo l’arresto del nastro mobile durante la pausa dal lavoro per il pasto e non approntando un apposito sportello controllato da dispositivo elettromeccanico di blocco del motore del convogliatore delle palette, e di non aver provveduto alla chiusura dell’imboccatura posteriore delle presse nonostante tale esigenza fosse prevista nel documento di valutazione dei rischi.
E’ stata contestata agli stessi, inoltre, la violazione degli articoli 18, comma 1, lettera h), 26, comma 3 e 37, comma 4 del D.Lgs. 81/08 per aver omesso di promuovere la cooperazione e il coordinamento tra la società committente e la società appaltatrice per la redazione di un unico documento di valutazione dei rischi e per l’assunzione dei provvedimenti necessari a eliminare o ridurre i rischi da interferenze nonché per non aver adempiuto agli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti della ditta appaltatrice sui rischi specifici legati alle attività svolte e all’ambiente di lavoro.

Esclusa l’aggravante di cui all’articolo 61, comma 3 del Codice Penale e concesse le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle residue aggravanti, il Tribunale ha condannato l’Amministratore Delegato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e il Direttore dello Stabilimento a quella di un anno e quattro mesi di reclusione e ha dichiarato inoltre la società committente responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’articolo 25-septies del D.Lgs. 231/01 e, conseguentemente, riconosciuta la riduzione di cui all’articolo 12 el medesimo Decreto, ha applicata alla stessa la sanzione amministrativa di 180.000 euro.

La Corte d’Appello ha successivamente riformata parzialmente la decisione del Tribunale in punto di trattamento sanzionatorio rideterminando le pene, rispettivamente, in un anno e due mesi di reclusione per l’Amministratore Delegato e in un anno di reclusione per il Direttore dello Stabilimento e riducendo, altresì, la sanzione amministrativa pecuniaria applicata alla società a 130.000 euro.
La stessa ha ritenuto che l’ipotesi della caduta accidentale della vittima, avvalorata dalla ricostruzione del perito, fosse l’unica verosimile, non avendo trovato riscontro alcuno l’alternativa spiegazione causale proposta dalle difese di un incidente esterno ascrivibile all’atto volontario di terzi o dello stesso lavoratore e, esaminando le contestazioni mosse alla ritenuta mancanza di coordinamento e di adeguata formazione in nesso causale con l’infortunio, ha rilevato in sintesi che:
-         secondo costante indirizzo giurisprudenziale, in tema di norme antinfortunistiche, per ambiente di lavoro deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l’attività lavorativa si sviluppa e in cui, indipendentemente dall’attualità dell’attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nella zona ove sono posti i macchinari e coloro che vi accedano per ragioni connesse all’attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro; nel caso in esame era risultato che la vittima e gli altri soci della cooperativa potessero accedere senza limitazioni di sorta al reparto tranceria, non solo durante le loro mansioni, ma anche in tempi diversi e ciò, anzi, era un’abitudine consolidata;
-         il concetto di interferenza tra impresa appaltante e impresa appaltatrice, in relazione agli obblighi previsti dall’articolo 26, comma 2 del D.Lgs. 81/08, non può ridursi, ai fini dell’individuazione di responsabilità colpose penalmente rilevanti, ai soli contatti rischiosi tra il personale delle due imprese, ma deve fare necessario riferimento anche a tutte le attività dirette a prevenirli;
-         che, in punto di fatto, l’impianto presentasse degli accessi pericolosi, che non escludevano la caduta accidentale nel nastro trasportatore sottostante le presse era stato peraltro già segnalato nel documento di valutazione dei rischi, nel quale era stato rilevato che l’imbocco verso il dispositivo di macinazione aveva protezioni insufficienti e che l’imbocco aveva dei portelli che non erano collegati a nessun dispositivo elettromeccanico di blocco dei motori oltre a essere parecchio grande per cui in caso di perdita di equilibrio o inciampo di un lavoratore in direzione dell’apertura questi poteva essere trascinato dai nastri trasportatori verso i meccanismi in moto.

Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso entrambi gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori.
Gli stessi hanno contestata la dinamica dell’accaduto individuata in uno scivolamento del lavoratore in quanto dalle foto acquisite e dalle testimonianze rese dai dipendenti della società era emerso che era del tutto impossibile finire con le gambe sotto le trance e soprattutto che, pure finiti sotto la trancia, era impossibile un contatto del corpo con le palette del nastro per cui avevano dedotto che nella Sentenza di secondo grado non era stata data una spiegazione di come il lavoratore della ditta appaltatrice fosse potuto finire all’interno del nastro trasportatore.
Secondo i ricorrenti inoltre la causa dell’evento non poteva essere individuata in un difetto di coordinamento, non essendo stato l’incidente occasionato dalla compresenza di soggetti appartenenti a organizzazioni differenti e considerato, conseguentemente, che nessun documento unico di valutazione dei rischi interferenziali avrebbe mai potuto prevedere quanto accaduto.

Gli stessi hanno contestata, inoltre, l’affermazione secondo cui il lavoratore infortunato e gli altri soci della ditta appaltatrice potevano accedere senza limiti di sorta alle zone pericolose, posto che, nel corso dell’ordinaria lavorazione e durante le pause, il retro di tutte le trance era reso inaccessibile da una serie di ripari oltre che dalla presenza di una vera e propria cabina chiusa che inglobava la macchina e quanto poi al difetto di formazione contestato hanno fatto presente che nulla ha lasciato immaginare che la vittima non fosse stato avvertito e, comunque, non fosse in grado di rendersi autonomamente conto dello specifico potenziale pericolo per chiunque tentasse di accedere al nastro trasportatore in movimento.

Le motivazioni dei ricorsi sono state ritenute infondate dalla Corte di Cassazione che li ha pertanto rigettati. La stessa Corte, in premessa, ha posto in evidenza che le doglianze svolte dai ricorrenti sono risultate legate a una serie di censure in punto di fatto e come tali inammissibili in sede di Cassazione.
La ricostruzione alternativa proposta dei ricorrenti (azione volontaria della stessa vittima o di ignoti terzi ai suoi danni), ha fatto notare la Suprema Corte, non si fonda su elementi di univoco e cogente significato indiziario, tale da imporsi in termini di oggettiva evidenza e scardinare il ragionamento probatorio illustrato in sentenza.
La Sezione IV ha rammentato che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato è, per espressa disposizione legislativa, rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, ed esenti da vistose ed insormontabili incongruenze tra di loro.
Al giudice di legittimità è infatti preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
In caso contrario, infatti, queste operazioni trasformerebbero la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Con riferimento al difetto di coordinamento e di formazione da parte del committente la Suprema Corte ha fatto presente che la Corte di Appello ha correttamente richiamato l’indirizzo in base al quale “in tema di violazione di normativa antinfortunistica in un cantiere edile, per ambiente di lavoro deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l’attività lavorativa si sviluppa e in cui, indipendentemente dall’attualità dell’attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedano per ragioni connesse all’attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro” né ha ritenuto che avesse un plausibile fondamento logico la censura secondo cui il difetto di coordinamento addebitato agli imputati non avrebbe avuto, nel caso di specie, efficacia causale, non essendo l’incidente correlabile a una fase della lavorazione per la quale si richiedeva la compresenza di lavoratori dipendenti di imprese diverse. Non può dubitarsi, infatti, ha sostenuto ancora la Sezione IV che la presenza dei dipendenti della ditta appaltatrice e la loro comprovata accessibilità al reparto tranceria anche nei momenti di pausa delle lavorazioni valevano ad attivare per il datore di lavoro/committente gli obblighi prevenzionali specificamente previsti dall’articolo 7 del D.Lgs. 626/94 (ora articolo 26 del D.Lgs. 81/08).

Quanto infine alla ritenuta mancata informazione e formazione del lavoratore infortunato sui rischi specifici legati al luogo di lavoro e alla affermazione fatta dai ricorrenti secondo cui lo stesso poteva comunque rendersi conto autonomamente dello specifico potenziale rischio rappresentato dal pericolo di accedere al nastro trasportatore in movimento, la Corte Suprema ha concluso sostenendo che “è appena il caso di rilevare che gli obblighi formativi e informativi dettati dalle norme prevenzionistiche prescindono ovviamente dalla capacità dei destinatari di tale attività di provvedere da sé alle necessità di formazione e, soprattutto, non autorizzano alcuna presunzione al riguardo”.

La Sentenza n. 18073 del 29 aprile 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è visionabile all’indirizzo:



RISCHIO STRESS: I RITARDI E LE CARENZE DELLE VALUTAZIONI DEI RISCHI

Da: PuntoSicuro
09 giugno 2015
di Tiziano Menduto

Un’indagine è stata condotta nel comparto metalmeccanico per conoscere lo stato, le carenze e le criticità delle valutazioni del rischio stress lavoro correlato. Presentiamo i risultati con un’intervista al ricercatore Daniele Di Nunzio.

Malgrado l’attenzione riservata al rischio stress lavoro correlato da parte del D.Lgs. 81/08, malgrado i chiarimenti e le indicazioni della Commissione consultiva e gli innumerevoli convegni, interventi e articoli sul tema, c’è ancora un evidente sfasamento tra quanto dovrebbe essere fatto nelle aziende italiane e quanto si fa effettivamente. Non solo in molte realtà la valutazione del rischio stress lavoro correlato è ancora sconosciuta, ma anche la gestione del rischio spesso non è adeguata e non produce una reale prevenzione.

Per comprendere come è affrontato questo rischio nelle aziende metalmeccaniche, è stata realizzata un’indagine condotta dall’Associazione Bruno Trentin in stretta collaborazione con le organizzazioni sindacali e promossa dalla CGIL Nazionale e dalla FIOM CGIL, con il finanziamento del FAPI (Fondo Formazione Piccole e Medie Imprese).
I risultati dell’indagine, raccolti nel volume “Il rischio stress lavoro correlato nel settore metalmeccanico” sono stati presentati il 31 marzo a Roma durante la giornata di studio e confronto dal titolo “Rischi psicosociali in Italia ed in Europa: quali percorsi per la tutela dei lavoratori?”.

Per conoscere i risultati di questa interessante ricerca e avere un quadro realistico di come si affronta lo stress lavorativo nelle aziende del comparto metalmeccanico, PuntoSicuro ha fatto una breve intervista al ricercatore Daniele Di Nunzio (Associazione Bruno Trentin . Istituto di Ricerche Economiche e Sociali - Osservatorio Salute e Sicurezza).

PARTIAMO DALLA STORIA DI QUESTA RICERCA SUL RISCHIO STRESS LAVORO CORRELATO NEL SETTORE METALMECCANICO. DA QUALI ESIGENZE E PROBLEMATICHE E’ NATA? CHI HA COINVOLTO?
Negli ultimi dieci anni le leggi e gli accordi tra le parti sociali hanno rafforzato gli obblighi per la tutela della salute dei lavoratori dando sempre maggiore importanza all’integrità della salute psico-fisica e, di conseguenza, alla prevenzione dei rischi psicosociali. In particolare, il D.Lgs. 81/08 impone a tutte le imprese l’obbligo di effettuare la valutazione del rischio stress lavoro correlato, secondo quanto previsto dalle indicazioni della Commissione consultiva permanente emanate alla fine del 2010.
L’Associazione Bruno Trentin, in collaborazione con la CGIL nazionale e la FIOM CGIL, con un finanziamento del FAPI Fondo Formazione PMI, ha condotto una ricerca per capire lo stato della valutazione del rischio stress: se è effettuata, come è effettuata, quali sono i risultati.
La ricerca è stata condotta nelle aziende metalmeccaniche, ascoltando il parere dei Rappresentanti dei Lavoratori per Sicurezza, attraverso un questionario.

PERCHE’ HA RIGUARDATO IN PARTICOLARE IL SETTORE METALMECCANICO? QUANTO E’ PRESENTE IN QUESTO SETTORE IL RISCHIO STRESS LAVORO CORRELATO?
Nel settore industriale i rischi per la salute dei lavoratori sono molti. I rischi più noti sono quelli di tipo fisico, come i danni muscolo-scheletrici, o di tipo chimico, così come il rischio di subire un incidente. Però esistono anche dei rischi che sono propri dell’organizzazione del lavoro, molto diffusi, meno visibili, rispetto ai quali l’attenzione è minore. I fattori che mettono una forte pressione sul lavoratore sono tanti, come i ritmi serrati, la catena di montaggio, il lavoro ripetitivo, i turni e la tendenza alla produzione continua. Questi fattori possono comportare dei danni alla salute psicologica e anche un maggiore rischio di incidenti, quindi mettono in pericolo la salute del singolo, ma anche quella di una comunità di lavoratori e lavoratrici.


VENIAMO AI RISULTATI PARTENDO INNANZITUTTO DAI RITARDI DELLE AZIENDE NEL VALUTARE I RISCHI STRESS LAVORO CORRELATI. QUAL E’ LA SITUAZIONE NEL COMPARTO METALMECCANICO? IN QUANTE AZIENDE LA VALUTAZIONE E’ STATA EFFETTIVAMENTE FATTA?
La ricerca mostra l’esistenza di numerose difficoltà per la valutazione del rischio stress lavoro correlato. Le criticità maggiori e più diffuse sono: il fatto che la valutazione non viene effettuata, le mancanze nell’applicazione delle norme, lo scarso coinvolgimento degli Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), la scarsa efficacia nell’individuazione dei rischi, la scarsa capacità di programmare delle adeguate misure di intervento per migliorare le condizioni di lavoro.
Dei 185 casi analizzati, solo in 59 la valutazione è stata conclusa al momento della rilevazione. Dall’analisi di questi 59 casi sappiamo che solo in 8 aziende sono stati evidenziati dei rischi “medi” o “alti” dall’analisi degli eventi sentinella (ossia fattori quali l’indice infortunistico o l’assenza per malattia). In 22 casi i fattori di contesto o contenuto (come l’ambiente di lavoro, l’orario e i turni) hanno indicato un rischio “medio” o “alto”. Solo in 14 casi è stata indicata la necessità di misure di intervento per contrastare il rischio stress lavoro correlato e migliorare le condizioni di lavoro.
Dunque, in un contesto con così tanti pericoli, come quello metalmeccanico, nella maggioranza dei casi la valutazione dei rischi non è riuscita a fare emergere i problemi reali per la salute psicologica dei lavoratori. E’ dunque utile fermarsi a riflettere su qual è il funzionamento del sistema di gestione dei rischi e della valutazione dei rischi, per comprenderne le criticità e migliorarne l’efficacia.
Se vogliamo approfondire l’analisi, i dati della ricerca ci mostrano che a tre anni dall’emanazione delle indicazioni della Commissione Consultiva ancora un’azienda su tre non ha iniziato a valutare il rischio stress lavoro correlato secondo quanto previsto dalla nuova regolamentazione. Se consideriamo un periodo di tempo più lungo, un’azienda su cinque non ha mai svolto la valutazione del rischio stress lavoro correlato a partire almeno dal 2008, per cui numerosi lavoratori sono stati esclusi dalla prevenzione obbligatoria su questo rischio.

CHE DIFFERENZA C’E’ NEI DATI IN RELAZIONE ALLA GRANDEZZA DELLE AZIENDE?
Nelle piccole aziende sono molte le difficoltà per la tutela della salute dei lavoratori, tra cui: le difficoltà economiche che ostacolano la messa in atto di interventi preventivi e migliorativi delle condizioni di lavoro, la minore presenza di figure specializzate sui temi della salute e sicurezza, il fatto che le aziende più piccole lavorano più spesso in appalto o comunque sono più facilmente in balia del mercato e delle commesse esterne, una minore opportunità di programmazione a lungo termine del lavoro.
Però dalla ricerca emerge un dato interessante: per quanto riguarda la valutazione specifica del rischio stress lavoro correlato, il coinvolgimento degli RLS è avvenuto in misura maggiore nelle aziende più piccole (con meno di 50 addetti). In ipotesi, nei contesti più piccoli gli RLS hanno un rapporto più diretto con la dirigenza e possono assumere un ruolo più operativo mentre nei contesti più grandi si impone uno stile più tecnocratico e formale che ostacola la partecipazione.

LA RICERCA HA COINVOLTO IN PARTICOLARE I RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA DELLE VARIE AZIENDE. QUAL E’ IL LIVELLO DI COINVOLGIMENTO RISCONTRATO, LADDOVE LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO E’ STATA FATTA? IN CHE PERCENTUALE SONO STATI FORMATI SUL RISCHIO STRESS?
Il sindacato ha un ruolo fondamentale nel sistema di gestione dei rischi. La ricerca mostra che quando gli RLS sono coinvolti nella gestione del rischio stress emergono meglio i problemi e le soluzioni. E’ scarsa anche l’attenzione verso la percezione “soggettiva” dei lavoratori e questo dimostra come ci sia ancora troppa confusione rispetto ai temi della salute psicologica. I lavoratori dovrebbero essere i primi a essere coinvolti nei percorsi di tutela delle loro condizioni di salute, visto che l’analisi dei rischi legati allo stress non può certo prescindere dall’ascolto del loro punto di vista. Certamente i fattori oggettivi sono importanti, ma non possono riuscire a individuare tutti i problemi presenti per la salute psicologica, perché questa non può essere ridotta a un calcolo matematico, perché l’articolazione dei fattori di rischio è complessa e perché, di certo, il primo fattore di benessere è quello di sentirsi partecipi della vita aziendale.
Riguardo al ruolo degli RLS, la ricerca mostra che il rispetto formale della normativa ha portato le aziende a osservare alcuni obblighi minimi, come la visione del Documento di Valutazione dei Rischi per gli RLS e la loro formazione, ma nella sostanza non ha favorito un ruolo attivo e partecipativo degli RLS.
L’analisi evidenzia alcuni problemi: un RLS su quattro non è stato consultato su come impostare la valutazione preliminare; nella metà dei casi gli RLS non sono stati coinvolti o lo sono stati in maniera marginale; si afferma il ricorso a consulenze esterne private, mentre il coinvolgimento di esperti delle istituzioni pubbliche e di quelli delle organizzazioni sindacali e datoriali è scarsissimo se non nullo.

DA COSA NASCE LA CARENZA DI COINVOLGIMENTO DEGLI RLS NELLE VALUTAZIONI DEI RISCHI? PERCHE’ IN ITALIA E’ ANCORA CARENTE L’IDEA CHE LA PARTECIPAZIONE DI TUTTI ALLA CULTURA DELLA SICUREZZA POSSA ESSERE UN ELEMENTO VINCENTE PER L’EFFICACIA DELLE ATTIVITA’ DI PREVENZIONE?
Negli ultimi anni in Italia, non solo nel settore metalmeccanico, la competizione delle aziende è stata fondata soprattutto sull’abbassamento del costo del lavoro, con una scarsa attenzione ai fattori propri dell’innovazione e della valorizzazione del personale. Così, si è affermata una spirale di dequalificazione dei processi produttivi che si traduce in una minore competitività sui mercati globali e, anche, in peggiori condizioni per i lavoratori.
In molte imprese italiane manca la capacità di puntare davvero sulla qualità della produzione, di valorizzare ogni singolo aspetto del ciclo produttivo, a partire dall’innovazione dei processi, dal lavoro quotidiano delle persone, dalla facoltà di creare un clima cooperativo. Ad esempio, la ricerca mostra che il coinvolgimento degli RLS è avvenuto nella maggior parte dei casi nei contesti aziendali con uno stile di gestione del rischio più collaborativo, mentre laddove lo stile è più conflittuale ci sono degli ostacoli al coinvolgimento degli RLS. La cultura della sicurezza è indissolubilmente legata al valore che si da alle persone e al loro lavoro, così come è in stretto rapporto alla democrazia interna di un contesto aziendale.

QUAL E’ IL GIUDIZIO GENERALE CHE E’ STATO RISCONTRATO SULLA PRESENZA E SULLA GESTIONE DEL RISCHIO STRESS NELLE AZIENDE METALMECCANICHE?
Solo il 30,8% degli RLS ritiene che la valutazione abbia fatto emergere i problemi principali legati al rischio stress in azienda e addirittura solo il 9% di loro ritiene che siano state affrontate delle problematiche ritenute importanti per la valutazione dello stress.
Non stupisce dunque che la maggioranza degli RLS (il 61,2%) non sia soddisfatta di come è stata condotta la valutazione nelle aziende e la valutazione del rischio sarebbe stata più efficace nell’individuare le problematiche realmente presenti nei luoghi di lavoro se il coinvolgimento degli RLS e dei lavoratori fosse stato maggiore, al contrario di quanto è accaduto.

QUALI SONO LE POSSIBILI SOLUZIONI PER ARRIVARE AD UN’ADEGUATA VALUTAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO?
La soluzione migliore è certamente quella di rispettare le leggi e, anche, lo spirito che è alla base delle normative, partendo da quanto previsto dagli orientamenti europei in materia che prevedono la creazioni di sistemi di gestione del rischio fondati sulla cooperazione tra tutti gli attori.
Per questo, è molto utile la creazioni di gruppi specifici di lavoro su questi temi a livello aziendale, capaci di favorire il coinvolgimento e la partecipazione degli RLS, dei lavoratori e anche dei medici, delle ASL, di esperti. In particolare, dalla ricerca emerge che le aziende in cui i fattori di contenuto e di contesto hanno portato all’individuazione di un rischio “medio” o “alto” sono quelle in cui c’è stato il coinvolgimento maggiore dell’RLS. Allo stesso modo la necessità del ricorso a misure correttive o interventi migliorativi emerge con maggiore frequenza nelle aziende in cui è stata indagata la percezione dei lavoratori e l’RLS è stato coinvolto nel processo di valutazione.

AL DI LA’ DELLE SCELTE AZIENDALI, TRA GLI RLS C’E’ SUFFICIENTE ATTENZIONE AL TEMA DELLO STRESS E DEI RISCHIO PSICOSOCIALI?
Negli ultimi anni l’attenzione a questi temi è andata crescendo. Lo stress lavoro correlato è un problema che permea ogni aspetto della vita aziendale, di conseguenza per gli RLS occuparsi di questi temi significa occuparsi dell’organizzazione complessiva e delle condizioni generali del lavoro. Sicuramente i problemi per la salute psicologica nelle aziende sono meno considerati rispetto ad altri, però questo non significa che non siano importanti per i lavoratori che, ogni giorno, si confrontano con i problemi dovuti ai ritmi, agli orari, al carico di lavoro e di responsabilità che possono avere. E gli RLS dunque si confrontano necessariamente con questi problemi che riguardano la vita quotidiana dei lavoratori e lo fanno con una consapevolezza sempre crescente che deve essere alimentata con una formazione continua.
Certamente sono problemi complessi e per questo gli RLS necessitano di avere degli strumenti adeguati, in termini di formazione, ma anche di supporto da parte dell’azienda e, anche, delle organizzazioni sindacali, che devono riuscire a valorizzare il loro ruolo e a coordinare il loro lavoro in maniera sempre più efficace.

QUALI SONO IN DEFINITIVA LE PRINCIPALI CONCLUSIONI A CUI ARRIVA LA RICERCA?
Secondo i risultati della nostra ricerca, successivamente all’entrata in vigore delle indicazioni della Commissione Consultiva permanente è aumentato il numero di aziende che hanno svolto la valutazione del rischio stress lavoro correlato, per cui le indicazioni potrebbero avere contribuito ad aumentare l’attenzione a questi rischi. Quindi qualche passo in avanti è stato fatto ma la strada è ancora lunga.
E’ necessario migliorare dal punto di vista normativo gli obblighi per la valutazione del rischio, ma, soprattutto, bisogna superare qualsiasi approccio formale e non sostanziale a questi problemi, evitando anche il rischio di una burocratizzazione della valutazione che si ferma alla sola misurazione del dato oggettivo. In generale, è necessario favorire l’affermazione di una cultura della sicurezza fondata sulla cooperazione, sul dialogo, sulla democrazia aziendale, valorizzando il ruolo degli RLS e la partecipazione dei lavoratori, che sono i veri protagonisti di questi processi e devono avere un ruolo attivo e propositivo.



JOBS ACT: PRIMI PASSI PER L’ABOLIZIONE DEL REGISTRO INFORTUNI E PER LA COSTITUZIONE DELL’AGENZIA UNICA PER LA TUTELA DEI LAVORATORI

Da Portale Consulenti
16 giugno 2015

Il Consiglio dei Ministri si è riunito giovedì 11 giugno 2015 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi con i seguenti argomenti all’ordine del giorno:
-         razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale;
-         riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro;
-         riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;
-         razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità.

Il Consiglio dei Ministri del 11 giugno 2015 ha approvato in via preliminare il Decreto Legislativo attuativo del “Jobs Act” (Legge 10 dicembre 2014, n. 183 recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali)
Al suo fianco, in esame preliminare, è stato promulgato il Decreto per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione.

La Legge 183/14, infatti, ha previsto che le otto deleghe venissero esercitate entro sei mesi dall’entrata in vigore. Dopo i due Decreti entrati in vigore a marzo scorso sul contratto tutele crescenti e sulle tutele in caso di disoccupazione involontaria sono stati approvati definitivamente altri due Decreti Legislativi relativi, rispettivamente, al riordino delle tipologie contrattuali e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Sono stati poi esaminati in via preliminare gli ultimi quattro schemi di Decreti Legislativi in attuazione della Legge 283/14, recanti disposizioni in materia di:
-         razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale;
-         riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro;
-         riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;
-         razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità.
Tali ultimi provvedimenti, una volta ricevuto il parere parlamentare, previsto entro trenta giorni e non vincolante, dovranno essere definitivamente approvati da un successivo Consiglio dei Ministri prima della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e quindi poter entrare in vigore.

Relativamente alla razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le principali modifiche riguardano:
-         la revisione della composizione del Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, al fine di semplificare e snellire le procedure di designazione dei membri;
-         la riduzione dei componenti della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, l’introduzione di una nuova procedura di ricostituzione della Commissione e un aggiornamento delle funzioni ad essa istituzionalmente attribuite;
-         la messa a disposizione del datore di lavoro, da parte dell’INAIL, anche in collaborazione con le Aziende Sanitarie Locali per il tramite del Coordinamento Tecnico delle Regioni, di strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei livelli di rischio;
-         lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione, anche nelle imprese o unità produttive che superano i cinque lavoratori;
-         il miglioramento del processo di acquisizione delle informazioni necessarie per il calcolo del premio assicurativo attraverso la realizzazione di un apposito servizio sul portale dell’INAIL;
-         la trasmissione all’INAIL del certificato di infortunio e di malattia professionale esclusivamente per via telematica, con conseguente esonero per il datore di lavoro;
-         la trasmissione all’autorità di Pubblica Sicurezza delle informazioni relative alle denuncie di infortunio mortali o con prognosi superiore a trenta giorni a carico dell’INAIL, esonerando il datore di lavoro;
-         l’abolizione dell’obbligo di tenuta del Registro Infortuni, anticipando la soppressione dell’obbligo, connessa, nelle intenzioni del legislatore, alla emanazione del Decreto interministeriale istitutivo del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP).

Il verbale del Consiglio dei Ministri n.67 del 11 giugno 2015 è scaricabile all’indirizzo:



RLS:  IL NUMERO, I DIRITTI, LA RESPONSABILITA’ E ALTRE FAQ

Da Portale Consulenti
17 giugno 2015
di A. Ruggiero

Il numero di RLS, i diritti, la responsabilità, comunicazione, FAQ.

Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) nel diritto del lavoro italiano è la figura, eletta o designata, che ha il compito in un’azienda di rappresentare i lavoratori per quanto concerne la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
La figura venne creata dal D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 e reso obbligatorio col D.Lgs 81/08 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro).

Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il RLS viene eletto direttamente dai lavoratori (o altrimenti può essere scelto un rappresentante territoriale che svolga il compito esternamente per più aziende sul territorio). In caso di aziende o unità produttive che occupano più di 15 lavoratori il RLS viene eletto dai lavoratori in base alle rappresentanze sindacali in azienda. Nel caso di assenza di queste ultime in azienda, il Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza viene eletto direttamente dai lavoratori.

Il D.Lgs. 81/08 non ha previsto alcuna specifica sanzione a carico dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza. Il motivo risiede nel fatto che gli RLS, in considerazione dei compiti consultivi loro assegnati, non hanno alcun potere decisionale in merito alle scelte in materia di prevenzione infortuni effettuate dal datore di lavoro.

Il datore di lavoro o il dirigente hanno l’obbligo di comunicare in via telematica all’INAIL in caso di nuova nomina o designazione, i nominativi dei RLS (articolo 18, comma 1, lettera aa) del D.Lgs. 81/08, così come modificato dall’articolo 13, lettera f) del D.Lgs. 106/09).

Quali sono gli obblighi di formazione per il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza?
L’obbligo di aggiornamento periodico della formazione del RLS vige anche per le aziende che occupano fino a 15 dipendenti?
Quali sono le modalità e il contenuto di tali aggiornamenti?
Quali sono i soggetti competenti a stabilire tali contenuti e modalità?

A queste e ad altre domande relative agli RLS è dedicato l’opuscolo “Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza” a cura di Portale Consulenti, scaricabile all’indirizzo:

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