martedì 23 giugno 2015

22 giugno - Konw Your Rights, la Controinforfamzione su Salute e Sicurezza



SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS “LETTERE DAL FRONTE” DEL 22/06/15

Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere dal fronte”, cioè una raccolta di quelle mail che, tra le tante che ricevo, hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”

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INDICE

SENTENZA STORICA A CAGLIARI: PENSIONE ANTICIPATA PER MALATO D’AMIANTO

Franco Mugliari fmuglia@tin.it
I 7 PECCATI CAPITALI DEL MOBBER

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DELL’ONOREVOLE ALFONSO BONAFEDE SULLE MORTI SUL LAVORO

DA SPEZIAVIADALCARBONE

AMIANTO NELL’ACQUA CHE BEVIAMO DAL RUBINETTO: ORA SERVONO LE BONIFICHE

Posta Resistenze posta@resistenze.org
JOBS ACT: IL DISCOUNT DEL LAVORO E’ SERVITO

SENTENZA DI APPELLO DEL PROCESSO EURECO

Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
VIAREGGIO: LUNEDI’ 29 GIUGNO: GIORNATA DELLA MEMORIA E DELLA SOLIDARIETA’

Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
UN NUOVO, INFAME “COLPO DI MANO” DI RENZI E DEL SUO GOVERNO!

LA TROIKA E I DIRITTI UMANI

Franco Mugliari fmuglia@tin.it
TANTA LA CARNE AL FUOCO, MA...TANTO FUMO E POCO ARROSTO

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To:
Sent: Friday, June 12, 2015 12:38 PM
Subject: SENTENZA STORICA A CAGLIARI: PENSIONE ANTICIPATA PER MALATO D’AMIANTO

Associazione Italiana Esposti Amianto Onlus
Ban Asbestos Network

COMUNICATO STAMPA
Quasi dieci anni di battaglie per il riconoscimento di malattia professionale per i lavoratori esposti all’amianto: con le prime sentenze favorevoli è stato ottenuto un importante passo avanti nella lunga battaglia di AIEA Sardegna a sostegno dei diritti dei lavoratori.
Ci sono voluti quasi dieci anni estenuanti di domande, richieste, esami medici, analisi, controlli e visite di ogni genere, fino al ricorso in giudizio per ottenere il riconoscimento di malattia professionale da esposizione al temibile amianto e i relativi, ma tardivi, benefici di legge: questa la vicenda di Enrico Porcedda, lavoratore dipendente della ex Rumianca, oggi Syndial, di Assemini. Una vicenda dolorosa, che si è conclusa soltanto con la sentenza del Tribunale di Cagliari, che gli ha dato ragione e ha riconosciuto il diritto al trattamento pensionistico anticipato, così come previsto dalla Legge 27 marzo n. 257 del 1992. Un beneficio che si è tradotto, in realtà, in una pensione anticipata di soli 3 anni, rispetto ai 15 spettanti di diritto: nonostante la malattia già in corso e oggi acclarata, il signor Porcedda ha dovuto continuare a lavorare, in un ambiente contaminato, per un totale di 37 anni e 7 mesi.
“La storia del signor Porcedda” - ha dichiarato Sabina Contu, presidente dell’Associazione Italiana Esposti Amianto AIEA Sardegna – “è indicativa delle traversie che i nostri lavoratori sono costretti ad affrontare per vedere riconosciuti i diritti a tutela della salute, che spetterebbero loro per legge. La posta in gioco è proprio questa: coloro che sono stati esposti alle fibre e alle polveri di amianto rischiano gravi patologie, in particolare all’apparato respiratorio, quali l’asbestosi, il carcinoma polmonare e il mesotelioma pleurico, che quando si manifesta, rappresenta purtroppo, una condanna senza appello! Stiamo seguendo una cinquantina di casi provenienti da tutte le aree industriali dell’isola, di cui una decina, pressoché definiti: 7 si sono risolti in modo positivo, alcuni dopo ricorso in giudizio, altri in via amministrativa. Su altri 3 sono tutt’ora in corso azioni giudiziarie, e siamo in attesa di sentenza. Ma sono migliaia i casi di lavoratori che hanno perso la speranza e hanno rinunciato a rivendicare i propri diritti di fronte ai troppi ostacoli e dinieghi, e questo è profondamente ingiusto”.
Le malattie causate dalla esposizione all’amianto sono purtroppo a lunghissima latenza, oltre i venti anni, e di difficile e complessa diagnosi, si tratta di un rischio reale che incombe, secondo AIEA Sardegna, su un bacino potenziale di 50.000 (cinquantamila) lavoratori ed ex lavoratori delle aree industriali dismesse o ancora attive in Sardegna: una drammatica emergenza su cui da troppo tempo incombe un preoccupante silenzio e su cui AIEA Sardegna, in sintonia con AIEA Nazionale, ha avviato negli ultimi anni una azione sistematica di denuncia e supporto diretto ai lavoratori, attraverso l’azione degli Uffici Legali in convenzione, di cui cominciano a vedersi i primi risultati.
“La situazione della Sardegna” - ha detto Mario Murgia, vicepresidente nazionale dell’Associazione Italiana Esposti Amianto - “rappresenta un caso emblematico e di rilevanza nazionale rispetto a tutte le aree industriali ed ex industriali del nostro Paese: in base ai riscontri che abbiamo potuto raccogliere, nessuna delle domande presentate dai lavoratori sardi all’INAIL, alla scadenza del 15 giugno 2005 prevista dalla Legge 257/92 è stata accolta, contrariamente a quanto accaduto ad esempio ai loro colleghi dello stabilimento di Pisticci Scalo, Basilicata, gemello di quello dell’ANIC/EniChem Fibre di Ottana, che hanno ottenuto il riconoscimento dei loro diritti in via amministrativa già dal 2006”.
E’ inaccettabile che i lavoratori vedano respinte sistematicamente le loro richieste di riconoscimento delle patologie oncologiche amianto correlate, un calvario doloroso e ingiusto, che spesso li vede soccombenti. Una situazione di vera e propria “discriminazione” nei confronti dei lavoratori sardi, su cui l’AIEA vuole vedere chiaro e per cui chiede l’intervento urgente della Regione.
L’Associazione chiede, infatti, l’attivazione di un registro degli esposti ed ex esposti ad amianto e in ambito sanitario chiede che vengano seguite le linee guida previste dal Piano Sanitario Nazionale 2011-2013: le malattie oncologiche sono una priorità in ambito sanitario. La lotta ai tumori si pone come obiettivo: la prevenzione, la riduzione della mortalità, la promozione della diagnosi precoce.
Trasmetto:
Esposto all’amianto, concesso il prepensionamento: sentenza storica al Tribunale di Cagliari:
Sentenza storica a Cagliari: pensione anticipata per malato d’amianto:
Lavoratori esposti all’amianto: arrivano primi riconoscimenti:

Cagliari, 11 giugno 2015
Carmìna Conte
Addetto stampa AIEA in Sardegna
cellulare 393 13 77 616

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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Monday, June 15, 2015 6:41 AM
Subject: I 7 PECCATI CAPITALI DEL MOBBER

Dal blog Muglia la Furia

E dopo il rischio stress lavoro-correlato, parliamo di “mobbing”. Certo noi potremmo parlare di conflitti, soprusi, molestie, vessazioni, demansionamenti ecc., ma con il termine mobbing si ricomprendono tutte queste ipotesi.
Parlando di mobbing dobbiamo proprio rassegnarci a dover usare alcuni neologismi di importazione (mobber, mobbizzati ecc...) dovuti forse anche al fatto di non avere una norma interna che abbia definito un glossario specifico.
La mancanza di una normativa specifica mette in evidenza l’importanza dell’Articolo 2087 del Codice Civile del quale abbiamo già detto parlando del rischio stress lavoro correlato (http://muglialafuria.blogspot.it/2015/06/la-festa-della-repubblica-il-2087-e-il.html).
Oggi ne parliamo con riferimento al mobbing alla luce di una importante sentenza della Corte di Cassazione Civile (n. 1037 del 2015) che, da un lato ha dato per acquisite alcune modalità per il riconoscimento del mobbing (anche sotto il profilo risarcitorio) e, dall’altro, ha stabilito che la responsabilità del datore di lavoro non viene meno quando a mettere in atto le azioni mobbizzanti siano stati colleghi di lavoro del mobbizzato.
Ma andiamo per gradi e rileggiamo cosa dice l’articiki 2087 Codice Civile (“Tutela delle condizioni di lavoro”): “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Proprio così, con questo articolo del 1942 il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la tutela della personalità morale
Gaetano Natullo a tal proposito nel working paper di Olympus del 12 maggio 2011 “Il quadro normativo dal Codice Civile al Codice della sicurezza sul lavoro. Dalla Massima sicurezza (astrattamente) possibile alla Massima sicurezza ragionevolmente (concretamente applicata?)” http://olympus.uniurb.it/images/wpo/2014/39.pdf scrive che “La norma apre il sistema legislativo di tutela delle condizioni di lavoro, che si articola nel ponderoso corpus delle norme tecniche, ed allo stesso tempo lo integra e lo chiude, nell’ipotesi in cui, pur non sussistendo obblighi legislativi prevenzionali specifici, si accerti comunque l’esistenza di rischi e la possibilità, secondo le conoscenze tecniche del tempo, di apprestare delle misure di prevenzione”.
Infatti, pur in assenza di una legge specifica sul mobbing, prosegue Natullo: “L’articolo 2087 del Codice Civile ha, in particolare, offerto una solida base normativa ai Giudici per la tutela dei prestatori (prestatrici) di lavoro nei casi di molestie sessuali e, più generale, di vessazioni sul lavoro. E’ infatti nell’obbligo di sicurezza del datore di lavoro, ex 2087 del Codice Civile, e in particolare nella parte che fa riferimento alla tutela della “personalità morale” del lavoratore, che la giurisprudenza ha rinvenuto le ragioni per affermare la responsabilità del datore di lavoro (diretta o indiretta e solidale) per le molestie sessuali subite ad opera dello stesso datore di lavoro o di altri dipendenti. Più in generale, altrettanto importante, com’è noto, è il ruolo giocato dalla norma del Codice Civile nella tutela del lavoratore contro il mobbing e nella definizione qualitativa e quantitativa dei conseguenti danni risarcibili”.
Visto il quadro generale di riferimento, vediamo ora cosa prevede nello specifico la Sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 15 maggio 2015, n. 10037, visionabile al link: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13381:cassazione-civile-sez-lav-15-maggio-2015-n-10037-mobbing-sette-parametri-di-riconoscimento-della-%20fattispecie&catid=16:cassazione-civile&Itemid=60.
La Cassazione Civile è intervenuta con la propria decisione sulla legittimità della sentenza emessa dalla Corte di Appello dell’Aquila che condannava in solido il Comune di Colonnella e C.E.G. a risarcire il danno alla salute e professionale in favore della dipendente D.M.A. quale conseguenza di un comportamento mobbizzante.
Le risultanze istruttorie confermavano: “la sottrazione delle mansioni, la conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un ufficio all’altro, l’umiliazione di essere subordinati a quello che prima era un proprio sottoposto, l’assegnazione a un ufficio aperto al pubblico senza possibilità di poter lavorare, così rendendo ancor più cocente la propria umiliazione”.
Prosegue ancora la sentenza nel sottolineare che “nel caso di specie si era riscontrata la presenza contestuale di tutti e sette i parametri tassativi di riconoscimento del mobbing, per cui la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal Comune contro il risarcimento richiesto”.
Sette i parametri per l’accertamento del mobbing individuati nel metodo per la valutazione e la quantificazione dello specifico danno secondo il metodo inventato dallo psicopatologo Harald Ege che consente sia il riconoscimento (o meno) della presenza del mobbing, sia il calcolo del grado di lesione risarcibile riportata dal soggetto mobbizzato (Harald Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, Edizioni Giuffrè, Milano, 2002).
Questi i sette parametri considerati e la cui presenza deve essere contestuale:
1)    l’ambiente lavorativo: il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoro (meglio sarebbe parlare di occasione di lavoro);
2)    la frequenza (le azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese);
3)    la durata (i conflitti devono essere in corso da almeno 6 mesi);
4)    il tipo di azioni (le azioni devono appartenere ad almeno 2 delle categorie del “Lipt Hege”, questionario elaborato del 1950 da Harlad Ege);
5)    il dislivello tra antagonisti (la vittima deve trovarsi in posizione costante di inferiorità);
6)    l’andamento secondo fasi successive (la vicenda ha raggiunto almeno la seconda fase del modello Harald Ege);
7)    l’intento persecutorio (nella vicenda deve essere riscontrabile un disegno vessatorio coerente e finalizzato, un obiettivo conflittuale, una carica emotiva e soggettiva).
Con la stessa Sentenza la Corte di Cassazione ha affermato che “la circostanza che la condotta di mobbing provenga da altro dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli obblighi di cui all’articolo 2049 del Codice Civile, ove questo sia rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo”.
Né secondo la Corte del merito “il Comune poteva essere scriminato dal danno arrecato alla lavoratrice giacché la circostanza che la condotta di mobbing provenga da altro dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli obblighi di cui all’articolo 2049 del Codice Civile, ove questo sia rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo (l’articolo 2049 del Codice Civile specifica che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti)”.
Per questi motivi la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati con la conferma delle condanne inflitte dal Giudice di merito e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Muglia La Furia

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Monday, June 15, 2015 4:06 PM
Subject: INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DELL’ONOREVOLE ALFONSO BONAFEDE SULLE MORTI SUL LAVORO

L’Onorevole Alfonso Bonafede ha creato un atto alla Camera dei Deputati, un’interrogazione parlamentare al Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali e al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sui morti sul lavoro e degli agricoltori schiacciati dal trattore.
Voglio sperare che almeno dopo questa interrogazione il Ministro Martina, il Ministro Poletti e il Primo Ministro Renzi si occupino come richiesto da quando questo Governo si è insidiato, dall’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it, di occuparsi finalmente di queste tragedie.
Ricordo a tutti che le morti sui luoghi di lavoro da quando questo Governo si è insidiato sono aumentate notevolmente. Grazie Onorevole Bonafede. Non ho mai votato il Movimento 5 Stelle, ma siete gli unici in Parlamento a occuparvi con continuità delle morti sul lavoro.
Gli altri gruppi sono tempestati di mail, ma mai nessuno si è degnato di rispondere.
Chiedo a tutti quelli che mi sono stati vicini in questi anni, che mi hanno chiesto l’amicizia, che visitano a centinaia ogni giorno l’Osservatorio di sostenere questa iniziativa.

ATTO CAMERA
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/09455
Primo firmatario: Bonafede Alfonso
Gruppo: Movimento 5 Stelle
Data firma: 12/06/15
Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.
Premesso che:
-         secondo i dati rilevati dall’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, sono 252 i morti sui luoghi di lavoro nei primi cinque mesi del 2015, mentre, nel solo mese di maggio, si sono registrati 56 decessi dei quali 23 relativi ad agricoltori schiacciati da trattori e 3 morti mediante motozappa;
-         per la detta categoria, gli incidenti mortali, con i dati di maggio, in totale dall’inizio dell’anno sono 54, facendo così lievitare, per il 2015 (l’anno di EXPO dedicato all’agricoltura) al 34 per cento i morti nel comparto agricolo sul totale nazionale, ricordando che durante l’intero 2014 i morti schiacciati da trattori furono ben 152;
-         il 28 febbraio del 2014, il citato Osservatorio chiese ufficialmente, senza riscontro alcuno, ai Ministri interrogati, nonché al Presidente del Consiglio, di realizzare una campagna informativa sulla pericolosità nell’utilizzo dei mezzi agricoli come contributo di solidarietà nei confronti di questa categoria di lavoratori; e che identica sollecitazione è stata proposta sia nel febbraio, che nel maggio 2015;
-         in assenza di specifiche iniziative istituzionali al riguardo, anche in relazione ai recenti eventi luttuosi verificatisi in gran numero in Toscana, l’agenzia formativa del CIPA-AT di Grosseto, la CIA, l’Istituto Leopoldo II di Lorena, assieme a Confagricoltura, ASL, INAIL e a uno sponsor privato, produttore di macchine agricole, con un format pubblico/privato, hanno recentemente istituito un corso di formazione per il rilascio dell’abilitazione all’uso del trattore agricolo rivolto ad un ristretto numero di studenti, quale possibile “esperienza pilota” a livello nazionale.
Per sapere:
-         se, possano indicare quali misure abbiano implementato nell’ambito delle proprie rispettive competenze dal loro insediamento posto che l’interrogante ritiene che, nonostante specifici appelli provenienti da organismi indipendenti, i Ministri interrogati abbiano sottovalutato il problema delle vittime occorse durante l’utilizzo delle macchine agricole;
-         se posto che, nell’ambito delle morti bianche, la delineata situazione rappresenta un’emergenza cui fare fronte;
-         non ritengano necessario porre in essere appositi interventi di comunicazione mirata sui fattori di rischio anche attraverso esperienze di formazione presso i più giovani, e se, possano dire quali ulteriori misure tecniche siano da adottarsi per garantire la sicurezza dei conducenti delle macchine agricole, senza tuttavia operare aggravi di tipo economico a carico degli stessi agricoltori.

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From: SpeziaPolis info@speziapolis.org
To:
Sent: Tuesday, June 16, 2015 3:41 PM
Subject: DA SPEZIAVIADALCARBONE

Eccoci con un nuovo aggiornamento...prima di partire per Padova dove parteciperemo a un nuovo convegno sull’energia:
In attesa di organizzarne uno nuovo alla Spezia...
Intanto ARPAL ha collocato due centraline mobili a Vezzano Ligure e Melara:
sapremo mai cosa ci è costato in salute, in passato, non aver fatto monitoraggi specifici?
Ultime battute per il processo Parcopoli che diventa una telenovelas: i magistrati non mollano:
speriamo che poi trovino il tempo di occuparsi dei nostri esposti sull’ENEL.
Giovedì l’enciclica del Papa. Laudato sì e la sura del creato:
Un docufilm di 20 minuti per vedere cosa c’è dietro l’acciaio e il mercato delle automobili, in Brasile:
Sempre più soggetti, fondi e intere nazioni disinvestono dal carbone: non (solo) per problemi etici o ambientali ma perché proprio non conviene più:
Ecco perché anche Enel dovrà cercare rapidamente alternative.
Cosa succede della nostra salute se facciamo niente, poco, tanto?
L’indagine è oggetto del progetto VIAS Valutazione dell’Impatto Ambientale Sanitario dell’inquinamento:
Sull’intervento all’Assemblea Generale di Enel c’era anche una twitter story:

Saluti,
Daniela Patrucco

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From: Davide Fabbri ecologisticesena@hotmail.it
To:
Sent: Tuesday, June 16, 2015 7:38 PM
Subject: AMIANTO NELL’ACQUA CHE BEVIAMO DAL RUBINETTO: ORA SERVONO LE BONIFICHE

Pochi lo sanno. L’informazione è carente: in quasi tutti gli acquedotti italiani sono presenti tubature usurate in cemento-amianto. A Cesena sono presenti 43 kilometri di condutture idriche in cemento amianto; in tutta la Romagna sono la bellezza di 2.300 i kilometri di tubazioni in cemento-amianto.
Da anni mi batto per far partire le bonifiche, facendo seri investimenti sulla manutenzione delle reti.
Si chiede alle nostre istituzioni un maggior impegno per contrastare o ridurre il rischio delle fibre di amianto ingerite nell’acqua; pertanto faccio appello al sindaco del Comune di Cesena, ai sindaci della Romagna e ad Hera SpA per la rimozione e sostituzione delle tubazioni obsolete in cemento-amianto utilizzate per le acque destinate ad usi potabili.
Da anni sostengo che l’acqua deve essere completamente indenne da sostanze cancerogene.
Pur essendo partito un piano di Hera SpA di sostituzione delle vecchie reti in cemento-amianto, non sono state adottate misure necessarie ed efficaci che coincidano con la bonifica graduale e integrale delle reti per far veicolare l’acqua per uso potabile. Le tubature in cemento-amianto hanno avuto grande diffusione a partire dalla seconda metà degli anni ‘60 e ne è stato completamente interrotto l’utilizzo a partire dai primi anni ‘90, con l’introduzione della Legge nazionale n. 257 del 1992, che ha stabilito (per le problematiche sanitarie correlate all’amianto) il divieto di produrre e commercializzare i prodotti contenenti amianto.
La concentrazione di amianto nell’acqua dovrebbe essere pari a zero (ma in realtà non è così), e i danni dovuti al rilascio da parte delle tubature usurate si producono sia per effetto di ingestione che per inalazione.
Studi scientifici recenti mettono in evidenza il pericolo dell’amianto ingerito con l’acqua (l’ingestione di fibre di amianto è un fenomeno poco studiato e da molti sottovalutato); inoltre l’amianto eventualmente contenuto nell’acqua può contribuire ad aumentare il livello di fondo delle fibre aero-disperse e quindi il rischio legato alla possibile assunzione per via inalatoria (fibre di amianto si possono respirare lavando i pavimenti, ad esempio).
La soluzione è legata allo sostituzione graduale di tutte le tubature in cemento-amianto con materiali che non ne rilasciano, un’operazione dal costo di milioni di euro: investimento affrontabile per le tasche del gestore che fa business sulle risorse ambientali, Hera SpA, ma che non sembra intenzionato a investire.
Un’azione, quella della sostituzione, che dovrebbe essere fatta al più presto, per evitare delle ripercussioni sulla salute delle persone.
Si chiede pertanto ad Hera SpA e ai Sindaci dei Comuni soci di Hera SpA, di elaborare e mettere in atto un piano teso a bonificare integralmente le reti acquedottistiche.

Cesena, 16 giugno 2015
Davide Fabbri
Associazione Italiana Esposti Amianto della Provincia di Forlì-Cesena
cellulare: 333 12 96 915

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, June 18, 2015 3:06 AM
Subject: JOBS ACT: IL DISCOUNT DEL LAVORO E’ SERVITO

Millantando come una grande conquista la stabilizzazione a 24 mesi della Nuova Assicurazione Sociale per la perdita dell’Impiego (NASpI) in cambio del dimezzamento della possibilità di usufruire della Cassa Integrazione (da 48 a 24 mesi nei cinque anni), il commensale degli attori di “mafia capitale”, il ministro Poletti, ha dato notizia della costituzione dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro e del riordino di queste politiche.
Premesso che due anni di conservazione del posto di lavoro e con un sussidio costante sono ben altra cosa rispetto all’aggiunta di sei mesi di un assegno (quello della NASpI) che, decurtandosi del 3% al mese a partire dal quarto mese di disoccupazione, si riduce in briciole, andando a “vedere” il testo del Decreto licenziato dal Consiglio dei Ministri e trasmesso (per il più inutile degli esami) alle commissioni parlamentari, non si può non riconoscere al Governo la ferrea coerenza con cui, dopo aver fatto strame del diritto del lavoro, dà alla merce lavoro e al lavoro in quanto tale la più consona allocazione commerciale: il discount.
Dell’Agenzia, a parte la pretesa del Governo attraverso un Ministero, quello del lavoro, trasformato in una testa senza un corpo, e lo smembramento dell’ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori), la cui autonomia di ricerca sarebbe d’ingombro, a parte la pretesa, dicevamo, di porre sotto il ferreo controllo dell’esecutivo incentivi e politiche attive per il lavoro, dell’Agenzia non si può sapere granché, visto che tutto è rimandato a Decreti attuativi successivi, con tutte le più che giustificate preoccupazioni dei lavoratori coinvolti, e certamente alla versione finale del titolo quinto della Costituzione con il riordino delle competenze tra Stato e regioni.
Ma cosa intendano per politiche attive e cosa intendendo per mercato del lavoro Renzi e i suoi sodali è chiaro e indiscutibile.
Solo qualche esempio.
Chi ha la colpa di dover fare ricorso ad un sostegno al reddito perché è stato licenziato sarà soggetto a un regime inflessibile che gli imporrà qualunque genere di disponibilità pena incorrere nei rigori di un sistema sanzionatorio (sì, proprio questo è stato introdotto) che lo porterà, se non alla seconda infrazione, sicuramente alla terza, alla perdita del sussidio.
Cosa particolarmente odiosa è che le somme “risparmiate” in questo modo, per il 50% saranno rigirate al centro per l’impiego, pubblico o privato, che lo ha segnalato ed a favore dei suoi operatori.
Il Decreto introduce una nuova figura, il “disoccupato parziale”.
In questa nuova categoria rientra chi percepisce un reddito annuo inferiore ai limiti della tassabilità e chi ha un contratto part-time inferiore al 70% dell’orario intero.
Ma in questa nuova categoria rientra anche il lavoratore occupato che usufruisce della cassa integrazione.
Con questo Decreto il cassintegrato viene sottoposto al medesimo regime del disoccupato e allo stesso sistema sanzionatorio. Ovvero per poter percepire la cassa dovrà sottostare alle pretese del suo tutor, comprese le eventuali offerte di lavoro “congrue”.
E sulla congruità di un’offerta di lavoro pesa tra le altre cose il fatto che sarà considerata “congrua” un’offerta superiore del 20% all’ultima mensilità del sussidio percepita.
Ora, se consideriamo un lavoratore con la retribuzione di 1.195 euro (quella a base nel 2015 per la NASpI), per effetto della decurtazione progressiva del sussidio al 24° mese quello che è divenuto un disoccupato avrà un sussidio di 487 euro, sarà quindi per lui “congrua” un’offerta di lavoro, magari a 50 km da casa, per una retribuzione lorda di 585 euro.
Ancora, il Decreto generalizza il sistema, sperimentato per gli esuberi Alitalia e introdotto a marzo per i licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo nel 2015, del cartellino che fissa il prezzo del lavoratore.
Il disoccupato dovrà farsi “profilare”, cioè valutare in base alla difficoltà di trovare un lavoro.
Sulla base di questa valutazione sarà “dotato” di un “assegno di ricollocazione” che sarà libero di consegnare a una qualunque agenzia perché provi a collocarlo.
La norma dice che “tendenzialmente” (solo tendenzialmente) l’agenzia potrà riscuotere l’assegno a servizio fornito, ovvero a lavoro “congruo” assegnato.
Se in questo quadro il diritto costituzionale al reddito in caso di perdita involontaria del lavoro è derubricata in colpa da espiare per ingrassare corsifici, agenzie di lavoro interinale e quant’altro, il Decreto contiene un’ulteriore perla che chiarisce la nozione stessa di lavoro di Renzi e dei suoi accoliti.
Lo stesso Governo che con lo “sbloccaitalia” ha massacrato la Pubblica Amministrazione, con il nuovo codice degli appalti, il Civic Act, cancella i diritti sociali e di cittadinanza smantellando i servizi pubblici che li garantiscono, e riducendoli a bisogni che lavoratori, disoccupati, pensionati e le loro famiglie devono soddisfare acquistandoli sul mercato per il profitto del privato; lo stesso Governo che trasforma in profit il no-profit, svaluta i servizi utili e necessari alle persone, ma che non producono entrate, cioè possibili utili per un eventuale gestore privato, negando la stessa dignità di lavoro alla fornitura di questi servizi.
Il Decreto prevede infatti una nuova sorta di lavori di pubblica utilità, eventualmente obbligatori per i lavoratori in cassa integrazione e per gli ultrasessantenni senza reddito e senza pensione che potranno così accedere al sussidio di povertà.
Questo è il quadro che si para dinanzi a chi lavora e a chi non lavora.
Un quadro che richiede una risposta forte e determinata che coinvolga tutti, occupati o disoccupati, per un futuro che riconosca diritti e dignità a ciascuno.
Ora, adesso, ribellarsi non è solo giusto, è necessario.

16/06/15
Proletari resistenti http://www.resistenze.org

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From: Lorena Tacco lorenatacco@fastwebnet.it
To:
Sent: Thursday, June 18, 2015 8:07 PM
Subject: SENTENZA DI APPELLO DEL PROCESSO EURECO

Buonasera,
vi inoltro il Comunicato Stampa del Comitato a sostegno dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco, in merito alla sentenza di appello del processo contro il titolare dell’azienda Merlino emesso ieri.
Saluti
Lorena Tacco

COMUNICATO STAMPA
Oggi, 17 giugno 2015, alle ore 15.00, la Quinta Corte di Assise di Milano ha pronunciato la sentenza di Appello contro Giovanni Merlino e l’Eureco, nella quale sostanzialmente sono state confermate le decisioni espresse in primo grado!
Rimane quindi la condanna del Merlino a 5 anni di carcere e al pagamento delle provvisionali a tutte le parti civili interessate, compresa la CGIL ed il Comune di Paterno Dugnano.
Questa Sentenza, in attesa di un possibile pronunciamento in Cassazione, ci conforta e ci rincuora, in particolare dopo aver sentito gli avvocati della difesa che hanno descritto l’imputato come un “benemerito dell’ecologia”, disponibile a investimenti per la salute nel luogo di lavoro, generoso nel demandare incarichi alle sue persone al punto tale che la responsabilità dell’incendio è da attribuirsi a uno dei quattro lavoratori morti!
Purtroppo rimane insoluto, con riflessi preoccupanti per le famiglie coinvolte, l’aspetto dei mancati risarcimenti a quasi cinque anni di distanza dalla tragedia e a oltre due anni dalla sentenza di primo grado (23/04/13), questo perché sia l’imputato, che Carige, con cui il Merlino aveva stipulato un’assicurazione, si rifiutano di risarcire quelle parti lese non direttamente dipendenti dell’azienda, nonostante fossero però appartenenti ad una cooperativa esclusivista Eureco.
Ci è doveroso segnalare che a causa di questi mancati risarcimenti, per alcuni di loro, rimangono irrisolti i problemi occupazionali e le situazioni di sfratto in essere.
Ora l’intento è quello di procedere rapidamente ad avviare l’azione civile nei confronti del Merlino per richiamarlo a responsabilità che tenta di eludere, accampando indisponibilità economiche.
Disponibilità che pare ci siano quando viene però richiesta una autorizzazione all’insediamento nello stesso luogo di una nuova azienda.
Il Comitato confida nella responsabilità delle Istituzioni a tutti i livelli nell’impedire che ciò avvenga per il bene dei lavoratori e della popolazione padernese.

Paderno Dugnano
17/06/15
COMITATO A SOSTEGNO DEI FAMILIARI DELLE VITTIME E DEI LAVORATORI EURECO
cellulare 335 68 63 489

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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Friday, June 19, 2015 8:42 AM
Subject: VIAREGGIO: LUNEDI’ 29 GIUGNO: GIORNATA DELLA MEMORIA E DELLA SOLIDARIETA’

A seguire il volantino che diffonderemo lunedì 22 giugno di fronte al Tribunale di Firenze.

PER IL SESTO ANNIVERSARIO DELLA STRAGE ANNUNCIATA
Del 29 giugno 2009 siamo ancora qui a ricordarvi...
Il 20 maggio scorso avevamo invitato il Giudice del lavoro Nannipieri e quelli di Firenze (Giovanni Bronzini, Gaetano Schiavone e Simonetta Liscio), all’udienza per la strage ferroviaria di Viareggio, in cui è stato ascoltato come testimone Marco Piagentini (che ha perso i figli Luca e Lorenzo di 2 e 4 anni e la moglie Stefania).
L’udienza è stata l’occasione per ascoltare dalla voce di Marco cosa accadde quella maledetta notte. Marco, ustionato nel 90% del corpo, è rimasto sotto le macerie per ore e ricoverato per 6 mesi a Padova, in fin di vita per settimane.
Questi signori Giudici, partecipando all’udienza, avrebbero capito cosa è stato il 29 giugno 2009 e si sarebbero posti l’elementare domanda: “Ma cosa ho combinato? Cosa abbiamo fatto!” per aver emesso la “sentenza-reato” nei confronti di Riccardo Antonini; una sentenza di inchino ai poteri forti come al cavaliere Moretti e agli altri rinviati a giudizio.
La “colpa” di Riccardo è aver denunciato la mancanza di sicurezza in ferrovia ed essersi schierato pubblicamente e apertamente a fianco dei familiari delle 32 Vittime nella battaglia per la sicurezza, la verità, la giustizia.
Anche questi signori Giudici “del lavoro” dovrebbero sapere quali immense responsabilità hanno gli imputati della strage ferroviaria. Infatti, da ogni udienza emerge chiaramente la verità: una politica di abbandono della sicurezza a danno della collettività per il profitto di pochi. Una logica criminale che ha ucciso bambini, ragazze, uomini e donne e che, se fossero esplose altre cisterne, ne avrebbe uccise a centinaia.
Se Moretti & company avessero adottato misure di prevenzione e protezione necessarie ed elementari, rivendicate dai ferrovieri per anni, e oggetto pure nel dibattimento processuale, l’immane tragedia di Viareggio non sarebbe accaduta.
Come possiamo pensare che questi signori Giudici del lavoro non siano consapevoli di ciò? Come possiamo accettare una sentenza che impedisce al cittadino, al lavoratore, al ferroviere, di esprimere giudizi su un fatto di tale gravità e che cancella l’impegno per la sicurezza?
Lo stipendio (solo quello ferroviario) di 877.000 euro del cavalier Moretti, una volta promosso a Finmeccanica, è passato a un milione e 400 mila euro. Poi, con la (s)vendita della Breda di Pistoia ha incassato altri 700.000 euro.
Le minacce e i ricatti contro Riccardo (documentati e testimoniati) sono caduti nel vuoto, come deve essere. Le minacce e i ricatti di Moretti nei confronti del Governo Renzi (se mi abbassi lo stipendio me ne vado) sono state, invece, accolte.
Il cavalier Moretti santificato da poteri forti (cavalierato, nomine e rinomine, promozioni, ecc.) è stato graziato anche con le sentenze di questi Giudici, e istigato a continuare a intimidire e minacciare ferrovieri e lavoratori impegnati sulla sicurezza. Moretti ha anche preteso che a sostituirlo alle ferrovie fosse Michele Elia, il braccio destro, anch’esso rinviato a giudizio.
Signori Giudici, non avete avuto il coraggio di opporvi allo strapotere di Moretti e di sentenziare l’unica verità: il licenziamento di Riccardo Antonini è di natuta politica e quindi DISCRIMINATORIO.
E non possiamo che ribadire una sola cosa: VER-GO-GNA!
Lunedì 29 giugno: giornata della Memoria e della Solidarietà
ore 17:00: Incontro-dibattito in Comune a Viareggio
ore 20:30: appuntamento in via Ponchielli (luogo della strage) per la manifestazione cittadina.

Viareggio, 22 giugno 2015
Assemblea 29 giugno
Associazione dei familiari “Il mondo che vorrei”

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From: Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
To:
Sent: Friday, June 19, 2015 9:52 AM
Subject: UN NUOVO, INFAME “COLPO DI MANO” DI RENZI E DEL SUO GOVERNO!

In base ad uno dei “Decreti attuativi” del Jobs Act, le informazioni raccolte dalle imprese attraverso le telecamere di sorveglianza, ma anche per il tramite di telefonini cellulari, smartphone, tablet, PC portatili, badge in dotazione al lavoratore, potranno essere utilizzate dal padrone per controllare da lontano il proprio dipendente. Tutto questo senza accordo con i sindacati: basterà che il lavoratore sia “informato” del controllo a distanza a cui viene sottoposto. Così la direzione dell’impresa avrebbe mani libere sull’uso a posteriori dei dati raccolti, anche a fini disciplinari.
“La direzione capitalistica” - scrive Marx nel Capitale - “è, quanto alla forma, dispotica. Questo dispotismo sviluppa poi le sue forme particolari[...]. Allo stesso modo che un esercito ha bisogno di ufficiali e sottufficiali militari, una massa di operai operanti sotto il comando dello stesso capitale ha bisogno di ufficiali superiori (dirigenti, managers) e di sottufficiali (sorveglianti) [...]. La subordinazione tecnica dell’operaio all’andamento del mezzo di lavoro e la peculiare composizione del corpo lavorativo, fatto di individui di ambo i sessi e di diversissimi gradi di età, creano una disciplina da caserma che si perfeziona e diviene un regime di fabbrica completo e porta al suo pieno sviluppo il lavoro di sorveglianza”.
Contro “il codice della fabbrica in cui il capitalista formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia sugli operai”, gli operai hanno condotto per lunghi decenni e in ogni paese del mondo durissime lotte, ottenendo anche parziali vittorie e strappando alcune misure di legislazione sociale che attenuassero il dispotismo padronale in fabbrica.
Una di queste misure legislative è stato, in Italia, lo “Statuto dei Lavoratori”, approvato nel maggio 1970 e tuttora vigente, frutto del lungo ciclo di lotte operaie degli anni ‘60 del secolo scorso.
L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce: “E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna”.
Il nuovo Decreto abrogherebbe queste, sia pur minime, garanzie e l’operaio vedrebbe ancor più ribadita la sua condizione di schiavo salariato.
Operai, lavoratrici e lavoratori! Ribellatevi contro l’infame progetto predisposto dal Governo Renzi e dalla burocrazia ministeriale al suo servizio. Agite direttamente, manifestate con forza nelle fabbriche e in tutti luoghi di lavoro, nelle strade e nelle piazze, per far fallire il progetto governativo!
Fate pressione con ogni mezzo sui dirigenti delle organizzazioni sindacali a cui aderite, affinché RIFIUTINO OGNI ACCORDO con i padroni e con il Governo Renzi, espressione organica della volontà reazionaria della Confindustria, e impediscano l’attuazione del Decreto!
VIA IL GOVERNO RENZI!

Giugno 2015
Piattaforma Comunista per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Friday, June 19, 2015 6:13 PM
Subject: LA TROIKA E I DIRITTI UMANI

“La gestione delle crisi nell’Unione Europea ha condotto a massicce violazioni di diritti umani. Inoltre il modo in cui le crisi sono state gestite ha esposto una serie di buchi neri quando si tratta di individuare le responsabilità per la violazione di diritti umani”: lo ha scritto di recente una giurista del Centro per lo Studio dei Diritti umani della London School of Economics, Margot Salomon.
Il suo saggio è uno dei più approfonditi finora apparsi sul tema, dopo quello del 2014 di Andreas Fischer-Lescano, docente a Brema (“Diritti umani ai tempi delle politiche di austerità”). I tagli a sanità, pensioni, stipendi, diritti del lavoro, istruzione, servizi pubblici imposti da Commissione Europea, FMI e BCE a Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia e altri paesi hanno inflitto gravi privazioni a milioni di persone.
E’ sempre più evidente che le istituzioni UE e il FMI non avevano il diritto di compiere azioni del genere. Non soltanto: si può sostenere che compiendole hanno violato dozzine di articoli di patti, trattati, carte e convenzioni sottoscritti da esse medesime, a cominciare dal Trattato fondativo dell’Unione. Vediamo qualche caso.
Tra i diritti legalmente sanciti dalla Carta Sociale Europea (versione riveduta del 1996) figurano i seguenti: “Tutti i lavoratori hanno diritto a un’equa retribuzione che assicuri a loro e alle loro famiglie un livello di vita soddisfacente” (articolo 4); “I bambini e gli adolescenti hanno diritto a una speciale tutela contro i pericoli fisici e morali cui sono esposti” (articolo 7); “Ogni persona ha diritto di usufruire di tutte le misure che le consentano di godere del migliore stato di salute ottenibile” (articolo 11); “Tutti i lavoratori e i loro aventi diritto hanno diritto alla sicurezza sociale” (articolo 12); “Ogni persona sprovvista di risorse sufficienti ha diritto all’assistenza sociale e medica” (articolo 13); “Ogni persona anziana ha diritto ad una protezione sociale” (articolo 23); “Tutti i lavoratori hanno diritto ad una tutela in caso di licenziamento” (articolo 24); “Ogni persona ha diritto alla protezione dalla povertà e dall’emarginazione sociale” (articolo 30).
Si potrebbe continuare citando articoli analoghi del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (New York 1966); della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea; di una mezza dozzina almeno di Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dal 1948 in avanti.
Per finire magari con l’articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, intitolato “Crimini contro l’umanità”, che al comma “k” recita: “Altri atti inumani di carattere simile che causano intenzionalmente grande sofferenza, o seria menomazione al corpo o alla salute mentale o fisica”.
Allo scopo di portare la Commissione, la BCE e il FMI davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, o alla Corte penale internazionale, e perché no qualche Governo europeo, affinché rispondano delle violazioni dei diritti umani delineate sopra, vi sarebbero diversi punti critici da affrontare.
I rapporti menzionati all’inizio scartano subito l’argomento principe dei fautori dell’austerità: le ristrettezze inflitte alle popolazioni UE sarebbero state necessarie a causa della crisi finanziaria, l’urgenza di migliorare lo stato dei bilanci pubblici, il dovere degli stati debitori di ripagare i creditori. Le violazioni dei diritti umani, anche se comprovate, sarebbero quindi giustificate dalla situazione di emergenza, ovvero dallo “stato di eccezione” in cui versa o versava l’intera UE. Tuttavia, se si accetta questo punto di vista, ha scritto un altro giurista (Paul Kirchhof), l’Europa intera, quale comunità fondata sul primato della legge, sarebbe privata della sua ragion d’essere.
L’effetto sarebbe che nessun Capo di Stato o Ministro o membro del parlamento potrebbe intraprendere azioni vincolanti che riguardassero i cittadini, poiché il loro mandato ha una base legale: però la legge non esisterebbe più. Per cui il sistema legale europeo non può cedere il passo dinanzi a un presunto stato di emergenza, conclude il rapporto di Brema, ovvero non può che un sistema di competenze legali sia soppiantato da pratiche considerazioni politiche.
Un secondo punto critico riguarda l’individuazione dei soggetti responsabili delle violazioni dei diritti umani. Il principale strumento utilizzato nella UE per imporre a un paese dure politiche di austerità ha preso in genere forma di un “Memorandum di intesa” (sigla inglese MOU), un documento che elenca in modo ossessivamente dettagliato le decurtazioni che un paese deve effettuare alla propria spesa pubblica per potere ottenere determinate concessioni dalla Troika.
Su un piano affine ai MOU si collocano le lettere-diktat inviate da istituzioni europee a stati membri. Sia nella formulazione che nell’esecuzione, i MOU e affini sono opera di diversi soggetti, le cui rispettive responsabilità sarebbero da accertare. Tra di essi non rientra la Troika, poiché non ha personalità giuridica.
Vi rientrano invece gli stati membri con i loro Governi, il FMI, la BCE, la Commissione Europea. Si aggiunga che la responsabilità di tali soggetti nell’infliggere sofferenze a milioni di cittadini, violando i diritti umani riconosciuti dalla stessa UE, è aggravata dal fatto che le politiche di austerità che hanno veicolato le violazioni si sono rivelate un fallimento totale. Dopo cinque anni, nei paesi destinatari dei MOU e delle lettere stile militare della BCE la disoccupazione è cresciuta a dismisura, la povertà assoluta e relativa anche, il PIL è diminuito di decine di punti, la struttura industriale è stata compromessa (vedi il caso Italia) e a una intera generazione di giovani è stato rubato in gran parte il futuro. Per cui le suddette politiche non possono venire invocate come circostanze attenuanti.
Se le istituzioni della UE e i loro dirigenti fossero riconosciuti responsabili dall’una o dall’altra Corte europea di violazione dei diritti umani e delle estese sofferenze che hanno provocato, non correrebbero certo il rischio di serie penalità. Ma sarebbe quanto meno un riconoscimento ufficiale di un fatto inaudito: milioni di vittime della crisi apertasi nel 2008 sono state chiamate, tramite le politiche di austerità, a pagare i danni della crisi da quelli stessi che l’hanno provocata, a cominciare dai loro governanti nazionali e internazionali.

Lunedì, 04 Maggio 2015
Luciano Gallino
La Repubblica

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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Sunday, June 21, 2015 4:20 PM
Subject: TANTA LA CARNE AL FUOCO, MA...TANTO FUMO E POCO ARROSTO

Dal blog Muglia la Furia

Tra Decreti attuativi del Jobs Act, semplificazioni introdotte e altre cancellate, nuovo accordo sulla formazione di RSPP (ma non solo), nuovo codice degli appalti con suoi intrecci con il testo unico sicurezza, ce ne sarebbero di cose da commentare. E sono tanti quelli che si stanno esercitando sul tema.
C’è però una questione sulla quale ho letto molti interventi e rispetto alla quale posso affermare senza tema di smentita :”IO L’AVEVO DETTO!”.
L’occasione per tale ambiziosa affermazione mi è data dalla nota del Ministero del Lavoro n. 9483 dell’8 giugno 2015, sul tema della “collaborazione” degli organismi paritetici alla formazione obbligatoria di lavoratori e loro rappresentanti, che l’articolo 37, comma 12, del D.Lgs. 81/08 pone come obbligo al datore di lavoro.
Ma se è vero che nel caso della nota in questione, e l’argomento non avrebbe meritato tutta l’attenzione che gli è stata dedicata, è anche vero che i più si sono accontentati, nei loro commenti, a sottolineare come la mancata collaborazione con gli organismi paritetici non sia sanzionabile alla luce dell’articolo 37, comma 12. Insomma si è preferito limitarsi a esultare (e su questo i sindacati un pensierino sarebbe bene che lo facessero) per il fatto che si sia semplicemente ribadito quanto scritto nella legge.
Che poi il non essere sanzionati per la violazione di una disposizione obbligatoria significhi aver cancellato un obbligo ce ne passa.
Se si volessero davvero semplificare e cancellare tutti i dubbi interpretativi che girano intorno agli organismi paritetici, enti bilaterali (veri o presunti, inattivi o farlocchi) che dir si voglia, si dovrebbe fare una sola cosa: abolire il comma 12 dell’articolo 37. E allora si che sarebbe una festa!
Nella nota in questione ci sono infatti un paio di sottolineature che avrebbero meritato maggior attenzione:
-         i destinatari della nota in questione vengono individuati negli organi di vigilanza, in particolare quelli che, alla luce dell’articolo 37, comma 1, hanno ritenuto di sanzionare i datori di lavoro per aver erogato una formazione giudicata “non sufficiente ed adeguata” visto il mancato coinvolgimento degli Organismi Paritetici;
-         gli Organismi Paritetici i cui requisiti, previsti dal D.Lgs. 81/08, DEVONO essere verificati dal Datore di lavoro.
Io mi domando se qualche Giudice, valutando la formazione erogata con riferimento a un infortunio accaduto in cui si possano individuare nessi di causalità con una “insufficiente e non adeguata formazione”, in presenza anche della violazione dell’articolo 37, comma 12, non pensi di attribuirne la responsabilità al soggetto collocato in posizione di garanzia (in primis il datore di lavoro quindi) proprio per il mancato coinvolgimento, o la mancata verifica del possesso dei requisiti di legge, dell’ organismo paritetico. Perché in questo caso la mancata previsione di una sanzione c’entra nulla.
E voglio fare un esempio.
Un lavoratore edile (settore in cui gli organismi paritetici, veri, sono nati, attivi e spesso meritevoli di rispetto) si dovesse infortunare in cantiere a seguito di una caduta dal ponteggio. Nel verificare la formazione si scopre che il lavoratore aveva partecipato a un corso di formazione in cui gli aspetti relativi al rischio (specifico) di caduta dall’alto non erano stati trattati (o lo erano stati in maniera insufficiente) perché si trattava di un corso “misto” con partecipanti di diversi settori produttivi. Men che meno si era parlato di ponteggi.
Davvero possiamo pensare che la mancata richiesta di collaborazione all’organismo paritetico non possa determinare l’individuazione di una colpa specifica a carico del datore di lavoro?
A tal proposito mi soccorre una recente sentenza della Cassazione Penale, 26 maggio 2014, n. 21242 (Necessaria formazione sull’uso dell’attrezzatura di lavoro. Non basta l’esperienza decennale del lavoratore sui macchinari) che nel confermare quanto deciso dalla Corte di appello di Trieste, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Pordenone nei confronti di N.W., giudicato responsabile del reato di lesioni colpose gravi commesse in danno di un dipendente, N.A. [...] per non aver adeguatamente formato il lavoratore sull’uso della attrezzatura di lavoro e in particolare sulla funzione del dispositivo di protezione rappresentato dal vassoio del tritacarne e sulla pericolosità insita nell’utilizzo di guanti con maglie di ferro nell’impiego del macchinario. [...] In particolare, per quel che qui più interessa, dell’attività di formazione veniva scandito: a) l’oggetto, dovendo aver attinenza specifica al posto di lavoro e alle mansioni assegnate al lavoratore; b) la temporalità, essendo evidenziati per la sua somministrazione i momenti dell’assunzione, del trasferimento o cambio di mansioni, dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi, nonché la modifica per evoluzione o per innovazione del quadro dei rischi; c) il (mancato n.d.r.) coinvolgimento degli organismi paritetici previsti dall’articolo 20 (ancora più dettagliato e portatore di limitazioni alle scelte datoriali, quanto a contenuti e modalità di somministrazione dell’attività di formazione, è l’articolo 37 D.Lgs. 81/08).
Interessante è anche notare, e lo voglio sottolineare (vedi anche quanto scritto in http://muglialafuria.blogspot.it/2015/02/decalogo-per-la-prevenzione-casaclima.html) che per la mancata formazione e informazione la sentenza fa riferimento a quanto stabilito dall’articolo 15 del Testo Unico (Misure generali di tutela) ancorché non sanzionate.
C’è poi anche il fatto, e la cosa mi fa infuriare, che molte delle osservazioni circolate in queste settimane su questa “nota” del Ministero, sono state scritte proprio da coloro i quali, a suo tempo, hanno partecipato alla stesura della norma stessa o ai molti tentativi di interpretarla ed applicarla.
E allora c’è da domandarsi se ci sia solo incapacità dietro tutto questo.
Provate a seguire il mio ragionamento. Si elabora la norma che rinvia ad un accordo e, passati pochi mesi, viene elaborato un successivo accordo per interpretare e/o favorire l’applicazione di quello precedente. Poi inizia il valzer degli interpelli, delle note ministeriali e via fino al successivo accordo che rimette in gioco tutto (è quello che sta succedendo con l’accordo 26 gennaio 2006 sulla formazione degli RSPP). Davvero chi scrive per mesi, anzi per anni, gli accordi di cui trattasi, è talmente incompetente da non capire quali falle sta aprendo nel sistema?
No. Non lo è. Tant’è vero che poi lo chiamiamo nei convegni a chiarire i dubbi che il testo, da lui stesso elaborato, ha generato.

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