domenica 5 ottobre 2014

1 ottobre: ILVA: CHI PAGA PER I MORTI E PER I VIVI? NESSUNO...

Gli eredi di Claudio Riva rinunciano all'eredità per liberarsi da responsabilità per risanamento e risarcimenti - Ma anche i nuovi soci vogliono l'Ilva ma senza obblighi.

CHI PAGA PER I MORTI DI OPERAI E DEI CITTADINI DI TARANTO? CHI PAGA PER I TUMORI E LE MALATTIE? CHI RISANA L'ILVA E L'AMBIENTE?

Nessuno lo vuole fare! I Riva, dopo aver imboscato nei "paradisi fiscali" i miliardi di profitti, ora cercano di sottrarsi con altre manovre dal mettere soldi per l'Ilva e la città; i possibili nuovi acquirenti, indiani o italiani che siano, vogliono una Ilva nuova, pulita da debiti e impegni, praticamente regalata; il governo, tramite il commissario Gnudi accetta tutto questo e pensa di preparare una "Bad Company" in cui scaricare tutti i debiti e i "doveri" di vecchi e nuovi proprietari, nonchè, come abbiamo denunciato in altri articoli, anche gli operai considerati in esubero. 
Se passa questa politica, i padroni, vecchi e nuovi, avranno un altro grosso regalo dallo Stato italiano, gli operai e le masse popolari di Taranto perderanno in tutti i sensi, come lavoro e come salute. 
A chi parla di "nazionalizzazione" come la soluzione (falsa) di tutti i guai (Usb, Fiom...), il governo risponde per quello che inevitabilmente è nel sistema capitalista: un comitato d'affari dei padroni, impegnato solo a risolvere i problemi dei padroni (sfruttatori, evasori, ladri, assassini), a salvaguardare i loro mega profitti fatti sul sangue dei lavoratori. Noi abbiamo posto e poniamo la necessità di un "decreto operaio" per difendere posti di lavoro, salute, sicurezza; ma nessuno si illuda, per questo "decreto" occorre una guerra di classe lunga, dura. Occorre che i padroni e i governi temano concretamente questa minaccia.  


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La "Bad Company" dei Riva

(dal Corriere della Sera) - "Figli e nipoti hanno rinunciato alla eredità di Emilio Riva, punto di riferimento del gruppo familiare, ma questo non ha conseguenze sulla proprietà dell’Ilva, di cui erano e rimangono gli azionisti di controllo. Il motivo è molto semplice: Emilio Riva, morto alla soglia dei 90 anni, aveva soltanto l’usufrutto delle azioni della società a cui fanno capo gli stabilimenti di Taranto, l’acciaieria più importante d’Europa, e non la nuda proprietà. Quest’ultima, infatti, è stata trasferita agli eredi un discreto numero di anni fa. Alla sua morte l’usufrutto si è estinto automaticamente, ricongiungendosi alla nuda proprietà. La proprietà dell’Ilva fa capo a due rami familiari: quello di Emilio Riva, che ne ha la maggioranza, e quello del fratello Adriano.Nella saga dei Riva gli eredi, nel caso di Emilio, sono i tre figli maschi del primo matrimonio (Fabio, Claudio e Nicola, che controllano ognuno il 20 per cento della partecipazione che faceva capo al gestore del gruppo), il quarto nato dalle seconde nozze (Daniele, che ha il 15 per cento) e due nipoti (con il 12,5 per cento a testa). Il ramo di Adriano Riva, invece, ha come eredi due figli maschi, Cesare e Angelo, più un nipote. Nella nuova governance non c’è più un uomo solo al comando, com’era stato con Emilio Riva, ma Claudio e Cesare, che hanno avuto mandato di guidare il gruppo familiare per cinque anni. La rinuncia all’eredità è comunque una scelta che si fa solo in casi gravi. Nel caso specifico le inchieste avviate dalla magistratura di Taranto e Milano sono in pieno svolgimento e dagli esiti imprevedibili. La morte di Emilio Riva estingue le responsabilità penali, che ovviamente non sono trasferibili agli eredi, ma resta aperto il problema delle responsabilità civili. 
Il commissario-piazzista Gnudi
Proprio il groviglio dei procedimenti giudiziari, con inevitabile coinvolgimento dei figli che lavoravano in azienda e dei manager, rende particolarmente complessa la partita in corso per il risanamento e rilancio dell’Ilva, affidata al nuovo commissario straordinario, Piero Gnudi, nominato pochi mesi fa. Di sicuro nessun acquirente accetterà di prendersi i rischi del passato e, molto probabilmente, lo schema della vendita sarà la creazione di due società: la bad company, in cui resteranno rischi civili e patrimoniali, e la nuova Ilva. In più c’è il filone dei reati fiscali e societari su cui sta indagando la magistratura milanese... Meglio, di conseguenza, tirarsene fuori. 

Il nuovo padrone Mittal




Restano, invece, le responsabilità in capo alla società Ilva, ma questo è un altro discorso, che s’intreccia con le trattative avviate da Gnudi per una nuova compagine societaria. La cordata di ArcelorMittal e Marcegaglia, il candidato più accreditato, è pronta a un’offerta che garantisce l’occupazione anche se non ha messo nero su bianco il prezzo d’acquisto, limitandosi ad evidenziare una serie di fattori che ne erodono il valore: dagli investimenti previsti dal piano ambientale a quelli nella produzione, dalla cassa necessaria per continuare la produzione all’indebitamento elevato. Tanto che, alla fine, il prezzo potrebbe avvicinarsi allo zero. O risultare perfino negativo". 

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