giovedì 27 febbraio 2014

4 febbraio: IL "SALARIO MINIMO" FA MALE ALL'OPERAIO... I GIULLARI DEI PADRONI

In questi giorni, mentre i padroni, l'esempio in campo è l'Electrolux ma non solo, si danno da fare per abbassare i salari degli operai, escono su Sole 24 Ore (giornale della confindustria) articoli sulla positività, convenienza per le aziende stesse di fissare per legge un "salario minimo", al di sotto del quale le aziende non potrebbero andare. 
Un primo paradosso è che questa proposta viene presentata come favorevole agli operai e di conseguenza in controtendenza alla politica del padronato per cui nei suoi desideri (e sempre più spesso nella realtà) non c'è un limite all'abbassamento dei salari molto al di sotto delle retribuzioni in corso, già risicate. In realtà non è così, perchè questa proposta di "salario minimo" ha l'unico scopo di dare legittimità di legge al padronato per tagliare i salari e pagare retribuzioni al di sotto di quelle dei CCNL.

Uno di questi articoli "esemplari" è quello uscito il 26 gennaio di Fabrizio Galimberti, intitolato "Il "salario minimo" fa bene al lavoro"

Ne riportiamo alcuni stralci:

"Bisognerebbe pagare a chi lavora almeno un salario minimo? Ci dovrebbe essere una cifra - che so, 5 euro all'ora - al di sotto della quale sarebbe illegale pagare i lavoratori? Suppongo che voi, pensando al vostro futuro di lavoratori, non avreste dubbi a dire di sì: non vogliamo essere sfruttati, ci dovrebbero dare almeno x euro... Ed è giusto che lo Stato, in una situazione in cui il potere negoziale dei datori di lavoro è superiore a quello dei lavoratori (vista la crisi che c'è in giro), si preoccupi di piantare un paletto per stabilire un livello di compenso al di sotto del quale non è giusto andare."

Già la premessa è tutta un programma: "pagare almeno un salario minimo", che qualche rigo dopo viene chiamato "compenso".
Intanto chiariamo, contro chi vuole offuscarne la vera natura, cos'è il salario, cosa percepisce l'operaio.
Il salario è il prezzo dei mezzi di sostentamento necessari a riprodurre la forza-lavoro dell'operaio, in questo per il capitalista la forza-lavoro è come una qualsiasi altra merce il cui prezzo è stabilito sulla base del tempo medio/sociale necessario alla sua produzione; ma l'operaio è una merce speciale che dopo aver lavorato per un tempo x per riprodursi (lavoro necessario) continua a lavorare gratis per il padrone e quindi a produrre plusvalore.

Quindi intanto il salario non è un "compenso" dato dal capitalista per il "lavoro fatto dall'operaio", ma il pagamento del tempo che serve all'operaio per riprodursi come merce forza-lavoro. Quindi stando alle loro stesse leggi capitalistiche, le aziende dovrebbero "almeno" pagare il salario corrispondente al tempo necessario per la produzione dei beni, in condizioni sociali date, che servono all'operaio per tornare il giorno dopo, il mese dopo a lavorare per il capitale.

Invece, qui si dice che "almeno" i capitalisti devono pagare un "salario minimo", senza minimamente vergognarsi che questo salario è anche fuori dalle stesse leggi del capitale. Qui siamo già nella illegalità - non è che l'illegalità c'è solo se le aziende vanno al di sotto del "salario minimo".
Ma per F. Galimberti, solo e soltanto, quando e se le aziende pagassero meno dei 5 euro l'ora di "salario minimo", allora gli operai dovrebbero esclamare "Sì, non vogliamo essere sfruttati..." - come se fino a 7/8 o anche 10 euro/dollari (come per es. ora dice Obama) non ci fosse sfruttamento.
E il Galimberti chiama lo Stato a ratificare per legge questa illegalità di rapina da parte dei padroni anche sul lavoro necessario dell'operaio.

Certo, i padroni, i loro economisti non hanno limite alla rapina sul salario, per cui tutto l'articolo si snocciola nel convincere i padroni che questo "salario minimo" gli conviene...  
"La prima obiezione che farebbero - scrive Galimberti - è questa: se si introduce un salario minimo si perdono posti di lavoro... Certamente - continua - si tratta di una norma che interferisce col libero mercato. Non esiste un prezzo minimo per le patate o il taglio dei capelli o il biglietto del cinema. Perchè allora esiste questa norma per il lavoro?...". 

Appunto, perchè se la forza-lavoro è, quando il padrone la prende dal "mercato", una merce come tutte le altre nel sistema capitalista non deve "almeno" essere pagata con le stesse leggi delle altre merci?
Il "libero mercato" è solo per il capitale che punta a trovare sul mercato, mondiale, il costo della forza lavoro alle condizioni salariali e normative a lui più favorevoli - e in generale solo la lotta degli operai in varie fasi ha messo un argine alla ricerca del "massimo ribasso" - sia dettando e utilizzando le leggi ai suoi governi, sia, soprattutto nella fasi di crisi, utilizzando l'arma dei licenziamenti e l'aumento della massa dei disoccupati; per gli operai non c'è un "libero mercato" ma solo la legge dello sfruttamento.

Ma il nostro giornalista insiste: vediamo negli altri paesi, il "salario minimo ha danneggiato o no l'occupazione? La risposta è in generale favorevole all'introduzione di un livello minimo di salario..."
E spiega poi il perchè: “Mettiamo che in un mercato libero il salario che si verrebbe a creare spontaneamente, per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, sia di 6 euro l’ora. Ma nella realtà – sempre una realtà lasciata a se stessa – si riscontrano salari di 5 euro l’ora. Perché? Perché ci sono degli “attriti” nel mercato del lavoro. Se un lavoratore vuole lasciare un posto che rende poco e cercarne un altro, ci sono costi legati a questa ricerca: deve darsi da fare, chiedere a destra e a sinistra… Allora, data l’esistenza di questi costi, rimane dov’è e al datore di lavoro rimane il vantaggio di pagare 5 euro per un’ora di lavoro che, in un mercato privo di “attriti”, costerebbe 6. Ecco che in quel caso lo Stato sarebbe giustificato a introdurre un salario minimo di 6. 
Ci possono poi essere altre ragioni: per esempio, con un salario minimo più alto ci sono maggiori costi per l’impresa ma anche più vantaggi. Se il lavoratore è più contento, ci sarà meno andirivieni nella forza lavoro: dover frequentemente assumere e formare lavoratori è un costo e una noia per l’impresa. Insomma, il salario minimo, purché fissato a livelli adeguati… può far più bene che male”.

Galimberti per rispondere all'obiezione per cui "un salario minimo ridurrebbe l'occupazione", utilizza argomentazioni che non hanno alcuna base scientifica e che vogliono unicamente affermare la legittimità di un salario minimo per permettere, via legge, ai padroni di poter tagliare i salari (ma fino ad un certo punto... - visto che lo Stato deve pur sempre tener conto dell'interesse generale dei capitalisti e non di quello particolare di uno o pochi capitalisti...).
Con queste premesse di argomentazioni le conclusioni (per cui accettando un salario minimo si difende l'occupazione), sono solo nella testa di Galimberti non nella realtà.
Per arrivare a queste conclusioni il giornalista (che tra l'altro dovrebbe "spiegare l'economia ai ragazzi") usa affermazioni del tipo "il salario si verrebbe a creare spontaneamente, per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro" - affermazioni che non stanno nè in cielo nè in terra.
Il nostro uomo dà una rappresentazione di un mercato in cui conterebbero solo le "libere volontà" del capitalista e del lavoratore, in cui entrambi avrebbero uguale "libertà"; il nostro uomo nasconde che le oscillazioni che ci possono essere tra domanda e offerta sul salario sono minime, legate a fasi del sistema capitalista, ma ruotano sempre intorno al valore della forza-lavoro stabilito dal prezzo dei beni necessari per la sua riproduzione (prezzo, ripetiamo, anche a sua volta stabilito dal tempo di lavoro per produrre quei beni).
Il nostro uomo chiama "attriti" (?) nel mercato del lavoro, i mezzi vari e anche violenti che il capitalista (sia singolo, sia come classe generale) utilizza per abbassare o direttamente o indirettamente il salario.
Il nostro uomo rappresenta la situazione di un lavoratore che smetterebbe di "darsi da fare, chiedere a destra e a sinistra" per cercare un lavoro più remunerativo solo per stanchezza, ma che avrebbe (se non si stancasse presto) tutta la possibilità di andarsene da un'azienda e scegliersi un altro lavoro - alla faccia di tutti i lavoratori che soprattutto oggi, nella crisi, vengono cacciati (non che se ne vanno) dal loro posto di lavoro se non accettano i tagli al salario e ai diritti, e vanno ad ingrassare la marea di disoccupati.
Per non parlare poi della descrizione del capitalista che avrebbe tanto interesse che "il lavoratore sia più contento (perchè così) ci sarà meno andirivieni nella forza lavoro: (visto che) dover frequentemente assumere e formare lavoratori è un costo e una noia per l’impresa"; un capitalista che rinuncerebbe a licenziare i lavoratori e a prendere altri a cui potrebbe dare un salario più basso soprattutto per "noia" - alla faccia dei piani concreti del capitale che invece si muove eccome, fa "andirivieni", licenzia qui e occupa all'estero per tagliare i costi del lavoro - e non gliene può fregar di meno se il lavoratore è "contento" o no.

ALLA FINE, TUTTA QUESTA "LEZIONE" E' SOLO PER FISSARE UN SALARIO MINIMO, NON PER I PADRONI, PER GLI OPERAI!


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