venerdì 3 gennaio 2014

Operaie tessili e amianto

LE MORTI SUL LAVORO NON SONO TRAGEDIE, MA HANNO DEI RESPONSABILI CON NOME E COGNOME SONO IL SISTEMA DEI PADRONI SONO LA NOCIVITA' DEL CAPITALE CHE NON VEDE ALTRO CHE IL PROFITTO…… 

è così che solo per fortuna degli operai tra cui anch'io siamo scampati per culo al crollo di un paranco di una gru con portata 7tonnellate venerdì 20 dicembre alla Tenaris Dalmine….

i sindacati come la cisl sono parte di questo sistema che ha mantenuto il silenzio prima durante e dopo l'esposizione al rischio amianto avvenuta in maniera massiccia nelle fabbriche e sempre tenuta nascosta con il silenzio sindacale e anche con l'avvallo degli enti statali come l'inail …..

solo la lotta dei lavoratori organizzati nei cobas a partire dall'ilva di taranto alla dalmine ha permesso di scoperchiare questo aspetto delle morti sul lavoro e ottenere dei risultati dal punto di vista dei riconoscimenti pensionistici…..

ma sarà solo una rivoluzione dei lavoratori che potrà mettere fine alle morti per i profitti della borghesia.

DALL’INCHIESTA CORRIERE DELLA SERA BERGAMO

Amianto killer nel tessile
Pronto un nuovo esposto

EX OPERAIA CONTRO AZIENDA DELL’ISOLA. E LA CONDANNA DI UNA DITTA IN VAL SERIANA VIENE CONFERMATA IN SECONDO GRADO. LA CISL: UNA TRAGEDIA PASSATA SOTTO SILENZIO

Lavoro con vecchio telaioLavoro con vecchio telaioUn dramma rimasto nel silenzio, per troppo tempo. Il nesso tra il lavoro nelle aziende tessili e le diagnosi di mesotelioma pleurico - tumoredovuto all’inalazione delle polveri d’amianto - era già stato messo a fuoco nel 2005 in uno studio dell’Università di Milano. I freni dei telai, dei filatoi o dei ritorcitoi, realizzati in amianto almeno fino al 1992, erano soggetti a usura e quindi disperdevano fibra cancerogena nell’aria, a diretto contatto con i lavoratori. Solo di recente, però, c’è stata una presa di coscienza da parte di operai e operaie, colpiti dal mesotelioma anche venti o trent’anni dopo la fine della loro esperienza lavorativa. Troppo spesso sono i loro figli a chiedere un parere medico, o una consulenza legale: i genitori non ci sono più, divorati da quel male che nell’immaginario collettivo è stato collegato quasi esclusivamente alla produzione dell’eternit nel Monferrato e nel Pavese, o al contatto diretto con la materia prima da fondere, come nel caso della Dalmine. A rompere il silenzio è stata una famiglia di Gorno: i figli di Erminia Abbadini, detta Giuseppina, dipendente dal 1941 al 1979 della Cantoni Itc Tessiture Spa di Ponte Nossa, morta a marzo del 2008 di mesotelioma, l’anno scorso hanno ottenuto dal giudice del Lavoro di Bergamo Monica Bertoncini un risarcimento per «danno morale e biologico subìto in vita dalla mamma e poi da loro ereditato», come è stato scritto nella sentenza. L’azienda aveva presentato ricorso in appello, ma anche in quella sede i giudici hanno dato ragione ai figli dell’operaia. Quel caso sta smuovendo le coscienze: l’ufficio vertenze della Cisl e l’avvocato Pierluigi Boiocchi, che già avevano assistito la famiglia Abbadini, presenteranno a giorni un nuovo esposto. L’ex dipendente di un’azienda tessile di Chignolo d’Isola, al lavoro per anni su un ritorcitoio, è affetta da mesotelioma.
La diagnosi, come è accaduto in molti altri casi, è arrivata più di dieci anni dopo aver smesso di lavorare. Informata dai medici, e dall’Asl, delle possibili cause della neoplasia, la donna ha deciso di rivolgersi al sindacato, all’avvocato, e quindi al tribunale. «Il caso che stiamo per portare in tribunale è molto simile al precedente, per il quale i giudici hanno riconosciuto le responsabilità dell’azienda - commenta Salvatore Catalano, responsabile dell’ufficio vertenze della Cisl -. Al momento, però, la diretta interessata preferisce non scendere nello specifico della sua vicenda. Più in generale va detto che, per quanto riguarda il tessile e quindi l’usura dei freni dei macchinari, si è arrivati molto tardi ad una presa di coscienza del problema. È ormai certo che all’interno di molti stabilimenti ci fossero macchinari con componenti in amianto. Ed è altrettanto fuor di dubbio, come ci hanno raccontato molti operai, che proprio dopo il 1992 (anno in cui la legge vietò l’utilizzo dell’asbesto, ndr ) i responsabili delle aziende sostituirono gli impianti. Prima di quell’anno i dipendenti, mentre lavoravano, notavano a vista d’occhio la polvere grigia dispersa dall’usura dei freni dei macchinari. Spesso la si ripuliva semplicemente utilizzando una scopa, altre volte si usavano i compressori. La si rimuoveva, ma restava sul posto. Accadeva così in molti luoghi di lavoro: l’impressione è che si sia consumata una tragedia silenziosa». Una tragedia o più tragedie che possono essere risarcite (solo in parte, solo per l’aspetto economico) anche quando le vittime non ci sono più.
Scriveva infatti il giudice Bertoncini nella sentenza di primo grado: «Non si può concordare con le argomentazioni della convenuta (ovvero con la Cantoni Itc Tessiture), secondo cui, essendo intervenuta la morte della Abbadini, non vi sarebbe spazio per una liquidazione del danno biologico permanente». I danni, biologico e morale, sono anzi soggetti ad un diritto ereditario, vengono trasmessi ai figli e alle figlie, che possono farli valere in tribunale. Quello del tessile è l’ultimo fronte che si sta aprendo in relazione a quel prodotto naturale omicida, chiamato asbesto, o amianto, utilizzato con continuità per almeno trent’anni in decine di aziende italiane.L’anno scorso la ricercatrice dell’Università di Bergamo Isabella Seghezzi, in occasione di un convegno, aveva riassunto le vicende giudiziarie bergamasche: quelle della Dalmine, della Siad e della Sacelit, per le quali si è arrivati ad una serie di condanne di alcuni dirigenti. Oppure le assoluzioni per la Manifattura Colombo di Sarnico e per il Sacchificio Vezzoli di Calcio. Adesso un altro settore produttivo, il tessile, che la crisi sembra aver fiaccato in modo irreparabile, sembra pronto a raccontare una sua pesante eredità.

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