domenica 1 dicembre 2013

Governo e Stato responsabili della strage di Lampedusa

 L'Espresso:


 Lampedusa, scaricabarile sulla strage
 Così sono annegati i bimbi siriani


   La nave Libra della Marina militare era a poche miglia dai profughi.
   Ma per ore non è stata coinvolta nelle operazioni di salvataggio. La
   prima chiamata di soccorso arrivata alla centrale della Guardia
   costiera. Che ha passato l'intervento a Malta nonostante gli
   italiani fossero più vicini al punto del naufragio. "Abbiamo
   rispettato gli accordi". Ecco come l'11 ottobre sono morte oltre 260
   persone. La ricostruzione esclusiva de "l'Espresso"

di/Fabrizio Gatti/


La piccola Joud Mustafa sta giocando sotto il sole a "Subway surfer"
sull'ipad del papà. A 3 anni un viaggio così scomodo sul ponte affollato
e sporco di un peschereccio è una noia senza fine. Poi anche Joud si
addormenta stremata, nelle braccia della mamma. Da due giorni non hanno
da mangiare. Non c'è più acqua da bere. Ma un mormorio tra i 480-500
passeggeri finalmente diffonde una buona notizia. La centrale operativa
della Guardia costiera in Italia ha risposto alla richiesta di soccorso
lanciata con un telefono satellitare da un medico a bordo. Molti
ringraziano Dio e gli italiani. Sono le 12.26 di venerdì 11 ottobre.
Comincia così un conto alla rovescia di protocolli e burocrazia che nel
giro di cinque ore ucciderà Joud e la sua mamma. E con loro, tra i
sessanta e i cento bambini, le loro famiglie e decine di ragazze e
ragazzi siriani che credevano di salvarsi in Europa. Una roulette
agghiacciante di numeri: almeno 268 annegati, solo 26 corpi recuperati,
212 sopravvissuti. E il finale inaccettabile nella sua assurdità: per
tutto il pomeriggio la nave Libra della Marina militare italiana è
vicinissima ai profughi, appena dietro l'orizzonte. Tra le 27 e le 10
miglia, un'ora, mezz'ora di navigazione o poco più. Ma né l'Italia né
Malta chiedono per ore il suo intervento.


La Libra ha un ponte grande, l'elicottero a bordo e marinai esperti che
potrebbero dare aiuto a tutti i naufraghi. La comandante, il giovane
tenente di vascello Catia Pellegrino, è un'icona della Marina. Da quella
breve distanza il peschereccio che sta affondando è sicuramente visibile
sul loro schermo radar. Ma nessuno dà ordini, nessuno prende decisioni
che potrebbero ancora salvare 268 persone. La Libra viene autorizzata a
raggiungere il punto soltanto alle 17.14. A quell'ora la nave dei
bambini si è rovesciata da sette minuti e il mare è una distesa di
persone vive e morte. I ritardi riducono drasticamente anche il tempo di
luce a disposizione per le ricerche. Calato il buio, chi è in acqua
rischia di non essere avvistato dai soccorritori e di andare alla deriva
verso una fine di stenti, freddo e fame. Forse è per questo che qualcuno
tra i siriani giura di aver notato bambini e adulti aggrappati a pezzi
di legno del peschereccio, ma di non averli poi ritrovati tra i
superstiti riportati a terra.


"L'Espresso" ha scoperto quale sala operativa ha raccolto la prima
richiesta di aiuto. Quella che avrebbe potuto cambiare il corso degli
eventi. È la centrale di coordinamento di Roma del comando generale
delle Capitanerie di porto, una struttura della Marina inquadrata nel
ministero dei Trasporti da cui dipende l'attività della Guardia
costiera. L'imbarcazione carica di profughi siriani affonda a 113
chilometri da Lampedusa e a 218 chilometri da Malta. Causa del disastro:
l'eccessivo numero di passeggeri obbligati a salire a bordo dai fratelli
Khaled e Mohamed, spregiudicati trafficanti del porto di Zuwara in
Libia, e le raffiche di mitra sparate la notte precedente da una
motovedetta libica che hanno forato lo scafo. Causa del ritardo nelle
operazioni di salvataggio: lo scaricabarile delle responsabilità tra
l'Italia e Malta nelle procedure di ricerca e soccorso che in passato ha
già provocato morti e dispersi. Per ricostruire in questo articolo la
cronologia della tragedia sono stati analizzati i dati di quasi
tredicimila posizioni delle navi in transito: coordinate, velocità e
direzione, dalle 11 del mattino a mezzanotte di quel venerdì. Un
laboratorio in Inghilterra si è occupato dell'estrazione dei numeri di
emergenza memorizzati in un telefono recuperato dal mare. Ai dati
geografici e scientifici, si aggiungono la testimonianza dell'ammiraglio
Felicio Angrisano, comandante generale del Corpo delle capitanerie di
porto e della Guardia costiera, e i racconti di alcuni ufficiali della
Marina militare.


Il punto di non ritorno verso la strage viene superato alle 13 dell'11
ottobre: a quell'ora la centrale operativa italiana potrebbe ancora
salvare i bimbi e gli altri passeggeri. Ma rinuncia all'intervento
diretto e passa la richiesta di soccorso ai colleghi di Malta.
Nonostante la distanza tra la nave dei bambini e Malta sia il doppio
 della distanza da Lampedusa. Una scelta che in un resoconto scritto,
inviato  a "l'Espresso", l'ammiraglio Angrisano spiega così: «La
sequenza degli eventi descritta risponde a quei criteri di condotta
internazionali dettati, nello specifico, dalla Convenzione di Amburgo
che impongono a ciascuno Stato la responsabilità del coordinamento delle
operazioni di ricerca e soccorso in aree definite e dichiarate». Alle
mamme e ai papà sopravvissuti che hanno perso il resto della famiglia
stanno quindi dicendo che i loro piccoli, i loro cari sono morti nel
rispetto della Convenzione di Amburgo, dell'accordo che dal 1979 affida
al ministero dei Trasporti la responsabilità del soccorso in mare.

Il comandante generale della Guardia costiera italiana conferma la
testimonianza di Mohanad Jammo, 40 anni, pubblicata da "l'Espresso" a
inizio novembre. Le loro versioni non coincidono soltanto per un punto.
Il dottor Jammo, primario dell'Unità di terapia intensiva in un ospedale
di Aleppo in Siria, nel naufragio ha perso due figli di 6 anni e 9 mesi.
È lui che dal peschereccio parla con il numero di Roma della centrale di
coordinamento del soccorso. Telefona su richiesta dello scafista che gli
presta il satellitare Thuraya. Jammo chiama l'Italia proprio perché
sullo schermo di tre strumenti Gps che hanno a bordo vedono che
Lampedusa è a poco più di cento chilometri. E Malta è a oltre duecento.
Logica e buon senso avrebbero spinto chiunque a quella scelta. Cento
chilometri sono due ore di navigazione per le motovedette della Guardia
costiera e poco più di un'ora e mezzo per i pattugliatori veloci della
Guardia di finanza che l'11 ottobre sono presenti in forze a Lampedusa,
dopo il naufragio dei profughi eritrei otto giorni prima. «Ho chiamato
tre volte, sempre lo stesso numero italiano», dice Mohanad Jammo: «Verso
le 11 del mattino, verso le 12.30 e poco prima dell'una del pomeriggio».
Le parole di Jammo sono confermate da altri due medici sopravvissuti:
Ayman Mustafa, 38 anni, chirurgo, il papà di Joud, che ora è
ufficialmente dispersa in mare con la mamma Fatena, 27, e da Mazen
Dahhan, 36, neurochirurgo, che ha perso la moglie Reem, 30 anni, e tutti
e tre i loro bambini.

Il drammatico racconto di Mohanad Jammo del medico siriano sopravvissuto
al naufragio dell'11 ottobre e che nella tragedia ha perso due figli.
"Abbiamo chiesto aiuto e per un'ora e mezza non è successo nulla.
Solamente dopo ci hanno detto di chiamare la marina maltese. Così
abbiamo perso due ore fondamentali"


L'ammiraglio Angrisano smentisce soltanto la telefonata delle 11. Il
resto è confermato. «Alle 12.26», racconta, «giunge da apparato
telefonico satellitare alla centrale operativa una chiamata fortemente
disturbata e a tratti incomprensibile. Dopo cinque minuti di tentativi
di comunicare, la linea cade. L'esperienza maturata induce comunque a
contattare, come già fatto in centinaia e centinaia di casi analoghi, il
gestore della rete Thuraya che ha sede negli Emirati arabi».

Otto minuti dopo la conclusione della prima conversazione, il dottor
Jammo richiama. Sono le 12.39 e la telefonata prosegue fino alle 12.56.
La voce è più comprensibile: «Tanto da permettere di acquisire alcuni
elementi, numero e nazionalità delle persone a bordo, luogo di partenza,
la presenza di due bambini bisognosi di cure, fornendo per ultimo la
posizione dell'unità che, con motore fermo, imbarca acqua», aggiunge
Angrisano.

Dunque la centrale operativa di Roma sa che a bordo ci sono profughi, ci
sono bambini, ci sono feriti e che il peschereccio sta affondando. Anche
ignorando la chiamata delle 11, che Mohanad Jammo comunque conferma,
alle 13 c'è ancora tutto il tempo per far partire le motovedette e i
pattugliatori da Lampedusa. E, calcolando la loro velocità, per farli
arrivare a destinazione tra le 14.30 e le 15. Cioè almeno due ore prima
della strage. Poi ci sono la Libra e più lontana, a 96 chilometri, la
Espero. Le due navi militari sono da quelle parti per proteggere i
pescherecci italiani da incursioni libiche. Le motovedette maltesi
insomma dovrebbero percorrere il doppio della distanza rispetto ai due
pattugliatori della Marina. E rispetto ai mezzi ancora a Lampedusa, che
quel pomeriggio sono in gran parte in porto. Invece alle 13 la centrale
operativa di Roma passa la richiesta di soccorso a Malta.

Quando dalla Guardia costiera italiana gli annunciano quello che
avrebbero fatto, Mohanad Jammo li supplica: «Per favore, stiamo per
morire». E il militare al telefono: «Per favore, potete chiamare le
forze maltesi, adesso vi do il numero: 00356...».

«Se prendete la registrazione», ricorda il dottor Jammo, «vedrete che
non mi ha lasciato il tempo. Ha chiuso la telefonata prima ancora che
avessi finito di scrivere il numero». Questo invito a chiamare
direttamente Malta, spiega l'ammiraglio Angrisano, «risponde a una
chiara, collaudata e produttiva metodica che attraverso il contatto
diretto di chi chiede soccorso e chi è tenuto a prestarlo, rende più
efficace, più produttiva l'azione di salvataggio». A bordo sono
terrorizzati. Il ponte inferiore è ormai allagato. I passeggeri
cominciano a risalire sul ponte principale e su quello superiore. Mazen
Dahhan, che è là sotto, prende i suoi bambini, Mohamed, 9, Tarek, 4, e
il piccolo Bisher, 1, e li passa di sopra ad Ayman Mustafa che li fa
sedere all'asciutto. La piccola Joud sta ancora dormendo, abbracciata
alla mamma.


Anche Mohamad, 6 anni, il figlio più grande di Jammo, dorme al sole. Per
un attimo riapre gli occhi e osserva il suo babbo in piedi sul tetto
della cabina di comando, che con il telefono satellitare e una voce
sempre più disperata continua a chiamare Malta. Incrociano i loro occhi
per un attimo. Il papà gli mostra il pollice alzato. Il piccolo Mohamad
gli sorride, si riaddormenta. Resterà il loro ultimo sguardo.

«L'unità si trova nell'area di responsabilità di Malta», insiste
l'ammiraglio Felicio Angrisano nel resoconto scritto: «Quella centrale
di coordinamento viene pertanto interessata alle 13 dalla centrale
operativa della Guardia costiera che comunica di aver anche individuato
nella zona due navi mercantili, più prossime alla unità dei migranti,
rispettivamente a 25 e 70 miglia». Alle 13.05 l'autorità maltese,
secondo il comandante della Guardia costiera, assume la direzione delle
operazioni di ricerca e soccorso. Rivela ancora l'ammiraglio Angrisano:
«Frattanto in quell'area dirige, come da disposizioni del comando in
capo della squadra navale della Marina militare, anche la nave Libra con
elicottero a bordo». E qui però i conti non tornano più.


La Marina militare riferisce che alle 13.34 la nave Libra è soltanto a
27 miglia dal punto della richiesta di soccorso. Sono 50 chilometri.
Alla velocità massima della nave, 20 nodi, 37 chilometri orari, con quel
mare calmo la Libra potrebbe raggiungere i profughi in un'ora e mezzo.
Cioè già alle 15. Arriverà invece alle 18: perché soltanto dopo
l'affondamento della nave dei bambini, il coordinamento di Malta chiede
alla centrale operativa di Roma il concorso degli italiani. Alle 17.14,
quando riceve finalmente l'ordine di intervento, la Libra è ancora a
dieci miglia, 18 chilometri. Insomma, da ore naviga in attesa che
qualcuno decida cosa fare. Quattro ore e mezzo per percorrere 50
chilometri fanno una velocità media di 11 chilometri orari, meno di 6
nodi: non certo un'andatura di pronto intervento.

Le 13.34 di quel pomeriggio nascondono un altro retroscena incredibile.
È il momento in cui l'avviso ai naviganti del centro operativo di Roma
viene diramato a tutto il mondo: la nota "hydrolant 2545" chiede alle
navi in transito di assistere se possibile il peschereccio, come ha
scoperto Charles Heller, ricercatore alla Goldsmiths University of
London e uno dei fondatori della rete watchthemed.net . Alle navi in
transito. Non alla nave Libra. Perché? «La Centrale di coordinamento di
Roma ha offerto immediatamente il richiesto contributo indicando la
presenza, nella più vasta area, di due navi mercantili e di una nave
della Marina militare», sostiene il comando della Guardia costiera:
«L'autorità che assume in base alla convenzione di Amburgo la direzione
e il coordinamento delle attività di soccorso, ne detta i tempi, le
modalità e anche le eventuali richieste di cooperazione». In altre
parole, è colpa dei maltesi se si sono dimenticati di impiegare la
Libra. Le Forze armate maltesi non hanno ancora risposto alla richiesta
di spiegazioni.

Alle 16.22 l'autorità di Malta informa Roma che un proprio aereo ha
individuato il peschereccio alla deriva. Alle 17.07 sempre dalla
Valletta avvertono che si è capovolto e chiedono aiuto all'Italia.

Soltanto alle 17.51 arriva sul posto la prima nave di soccorso, il
pattugliatore maltese P61 . Verso la 18 si unisce la Libra. Mentre da
Lampedusa vengono fatte partire le motovedette CP302 e CP301 e due
pattugliatori veloci della Guardia di finanza. Esattamente quello che il
buon senso del dottor Jammo supplicava da almeno sei ore.



_______________________________________________
Redditolavoro mailing list
Redditolavoro@lists.ecn.org
http://lists.ecn.org/mailman/listinfo/redditolavoro

Nessun commento:

Posta un commento