martedì 15 maggio 2012

AMMORTIZZATORI SOCIALI NEL DISEGNO DI LEGGE MONTI – FORNERO

L'ASPI, LA NUOVA INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE

L'Assicurazione sociale per l'impiego (AspI) è il nuovo ammortizzatore 
sociale. Parte subito, ma la piena applicazione sarà solo dal 2017, e fino 
ad allora funzioneranno ancora le diverse tipologie  di cassa integrazione e 
la mobilità. Sarà finanziata da un costo dai lavoratori a tempo 
indeterminato, dai fondi della Cig in deroga, e da un aumento dei contributi 
su tutti i contratti a termine, per i quali questo onere contributivo non è 
accompagnato da un tetto minimo salariale, e quindi il rischio è che certi 
(im)prenditori, per pagare la tassa, finiscano per ridurre lo stipendio ai 
lavoratori precari, .........
caricando sulle loro spalle i maggiori costi imposti 
dalla riforma. Per usufruire dell’ ASpI bisogna avere almeno due anni di 
anzianità assicurativa e 52 settimane di lavoro nell'ultimo biennio.



L'IMPORTO EROGATO È SCARSO E NON RISPONDE AL REQUISITO MINIMO CHIESTO DAL 
PARLAMENTO EUROPEO

L’importo stanziato sarà pari al 75% della retribuzione fino a 1.150 euro e 
al 25% oltre questa soglia, per un tetto massimo di 1.119 euro lordi al 
mese. L'assegno verrà tagliato del 15% dopo i primi sei mesi e di un altro 
15% dopo il semestre successivo. È un importo che non risponde al requisito 
che, secondo il Parlamento Europeo, dovrebbe essere quello di garantire una 
vita dignitosa al lavoratore che ha perso il suo impiego ed alla sua 
famiglia, cioè non dovrebbe essere inferiore al 60% del reddito mediano 
dello Stato membro interessato (come da punto 15 della risoluzione). E il 
60% del reddito mediano mensile netto italiano è pari a 1.227 euro (dato di 
partenza di fonte Istat). Pertanto chi si ritrova licenziato avrà un assegno 
di disoccupazione previsto dall'ASpI pari a 7mila euro all'anno, ed 
oltretutto sottoposto a continui ribassi (-15% dopo i primi sei mesi, 
ulteriore ribasso del 15% dopo il secondo semestre): un importo che non 
garantisce alcuna copertura rispetto al rischio di caduta in povertà legato 
alla perdita del lavoro. Monti, che spesso si vanta di essere un uomo 
dell'Europa dovrebbe anche rispettare le decisioni ufficiali delle 
istituzioni europee, quelle - loro sì- democraticamente elette.



L’ASPI RIDUCE LA DURATA DELLE PROTEZIONI

Se fino ad ora si poteva contare su 2 anni di Cassa integrazione 
straordinaria, dopo i quali scattava la mobilità (2 anni per gli under 50, e 
3 per gli over, o 4 anni per gli over 50 del Sud), cioè in totale una 
protezione dai 2 ai 6 anni, invece dopo il  “periodo di transizione” della 
riforma, cioè dal 2017 quando spariranno la mobilità e la Cassa 
straordinaria, resterà soltanto 1 misero anno, massimo 1 anno e mezzo per 
gli anziani, dopo il quale c’è l’inferno della disoccupazione. E per di più 
il lavoratore che esce dal mercato del lavoro, perderà il vantaggio alla 
ricollocazione, che prima era assicurato dall’iscrizione nelle liste di 
mobilità. Dove si collocheranno le lavoratrici e  i lavoratori espulsi dai 
luoghi di lavoro, senza tutele, e lontanissimi dall’accesso alla pensione a 
causa dell’allungamento abnorme dell'età pensionabile contenuto nella 
riforma Fornero del dicembre 2011?



ALTRE  CONSIDERAZIONI:

1) l’art 62 prevede che il lavoratore decada da ogni trattamento qualora 
“non accetti una offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo 
non inferiore del 20 per cento rispetto all’importo lordo dell’indennità 
(non della retribuzione!) cui ha diritto”. Ma (art. 24) l’importo lordo dell’indennità, 
come abbiamo visto, è pari al 75% della retribuzione, a cui si applica una 
ulteriore “riduzione del 15% dopo i primi sei mesi di fruizione” e una 
ulteriore “del 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione”. Insomma un 
lavoratore licenziato che percepiva 1.000 euro decadrà dal trattamento 
qualora non accetterà un impiego per una retribuzione pari a €.433 lordi 
(!), e ciò del tutto a prescindere da che tipo di attività si tratti e con 
quale orario, purché il posto di lavoro sia “raggiungibile mediamente in 80 
minuti con i mezzi di trasporto pubblici” che con il ritorno a casa fanno 
160 minuti e cioè 3 ore solo di viaggio giornaliero casa/lavoro per poco più 
di 300 euro netti al mese. Ogni commento è superfluo.

2) l’ASpI è una forma di sussistenza privatistica con la quale la tutela 
dalla disoccupazione comincia a passare dalla fiscalità generale ad una 
forma di sussistenza stipulata tra impresa e singolo dipendente. Dunque la 
disoccupazione perde la sua valenza di problema sociale per diventare un 
fatto individuale, una specie di disgrazia personale di chi ci incorre.

3) oggi i lavoratori hanno materialmente più possibilità di riavere presto 
il loro posto di lavoro, avendo il diritto di prelazione, che dura 6 mesi 
per i lavoratori in mobilità, e stabilisce che se l'azienda vuole assumere 
nuovi lavoratori deve dare la precedenza ai propri ex dipendenti ancora 
iscritti alle liste di mobilità che nel frattempo non abbiano trovato un 
altro lavoro. Ma la riforma cancella la mobilità alla fine del 2016.

4) oggi i lavoratori hanno un’attitudine allo stare insieme per cercare di 
riavere  una collocazione o dall’azienda o dalle istituzioni, come accaduto 
molte volte. Invece, con la riforma Fornero, una volta perso il posto, i 
lavoratori saranno tutti meno tutelati, molto più isolati e con la paura 
costante di non trovare più un lavoro.

5) La riforma degli ammortizzatori sociali cancella dopo il 2016 anche la 
Cassa in deroga, introdotta nel 2009 al fine di estendere i sussidi alle 
piccole imprese e ai settori finora esclusi dalla Cassa.

6) Cancellando la Cassa straordinaria (Cigs) si toglie anche la possibilità 
di restituzione delle quote di accantonamento del Tfr maturato in costanza 
di Cigs qualora il lavoratore cessi dal rapporto di lavoro prima della 
ripresa lavorativa.

7) Nella valutazione dei requisiti d'accesso all’ASpI andrebbero conteggiate 
e sommate alle attività di lavoro subordinato anche le settimane per le 
quali sia stata versata contribuzione destinata a gestioni diverse da quella 
dei lavoratori dipendenti, al fine di aumentare l'inclusività dell'istituto 
che, per come e' presentato nel testo, non risponde alle diverse forme del 
lavoro precario.



LA MINI-ASPI

È riservata ai lavoratori subordinati che abbiano almeno 13 settimane di 
contribuzione negli ultimi 12 mesi, e dura la metà dei mesi per cui si hanno 
i contributi, al massimo per sei mesi. A conti fatti la mini-ASpI è più 
generosa del trattamento attuale: per una retribuzione media di 9.855 euro 
l'anno (quella di un precario), chi ha lavorato 3 mesi prenderà 926 euro in 
tutto (contro i 731 di oggi), e chi ha lavorato un anno raddoppierà 
l'assegno (3.700 euro in tutto contro 1.800). Il calcolo è lo stesso 
previsto per l'AspI.

1) La mini-ASpI non amplia la platea dei protetti, ma sostiene chi oggi ha 
già un ombrello

2) la mini ASpI resta comunque nel complesso poco generosa, tanto da essere 
quasi ininfluente per chi è senza lavoro e ha bisogno di un sostegno al 
reddito.

3) bisogna ottenere che per la mini ASpI l'unico requisito per la fruizione 
debba essere la contribuzione di 13 settimane senza altre aggiunte, e che il 
calcolo dell'istituto debba essere allungato rispetto all’attuale metà delle 
settimane su cui sia stata versata contribuzione, per non produrre un taglio 
rispetto al valore dell'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti.



ASPI  ZERO

L’ASpI non determina una reale universalità nel sostegno al reddito, come 
invece aveva promesso Monti nel suo discorso di novembre alla risoluzione 
del Parlamento Europeo. Questa riforma infatti non estende gli 
ammortizzatori a chi non abbia due anni di anzianità assicurativa e versato 
almeno 52 settimane di contributi, cioè le giovani generazioni del lavoro 
discontinuo e  i giovani disoccupati che non trovano il primo lavoro. Non è 
prevista nessuna tutela per co.co.pro., collaborazioni occasionali, a 
chiamata, assegnisti di ricerca: si tratta di  945.141 lavoratori precari, 
di cui più della metà sono co. co. pro (675.883), cui si aggiungono 52.459 
associati in partecipazione, 54.210 co.co.co. statali, 49.179 dottorandi e 
assegnisti di ricerca, 24 mila venditori porta a porta, 27 mila 
“collaboratori” generici, 8.913 occasionali (Dati Isfol 2010). A questi 
vanno aggiunte  tutte le finte partite IVA. Siamo quindi ben lontani da un 
ammortizzatore universale degno di questo nome, o da un reddito di 
cittadinanza, in procinto di essere invece attuato in Europa.



FONDO SOLIDARIETA’ PER SETTORI NON COPERTI DA CASSA INTEGRAZIONE:

Entro il 2013 per le aziende con più di 15 dipendenti arriva un Fondo di 
solidarietà presso l’Inps, che andrà a sostituire parzialmente l’eliminazione 
della cassa integrazione in deroga, della cig straordinaria e  della 
mobilità. La contribuzione dovrà essere a carico del datore di lavoro (2/3) 
e del lavoratore (1/3) e ci sarà l’obbligo di bilancio in pareggio dell’ente 
erogatore. Al finanziamento potrà concorrere anche lo 0,30% attualmente 
versato ai fondi per la formazione.

1) i fondi pur essendo privi di personalità giuridica ed essendo definiti 
come “gestioni dell’Inps” si pongono come evidente transizione verso un 
modello che ha l’obiettivo di trasferire parti crescenti del welfare dalla 
garanzia e gestione pubblica a quella della bilateralità fra imprese e 
sindacati, privatizzando di fatto il welfare e cambiando quindi il ruolo 
delle organizzazioni sindacali.

2) L’abolizione della cassa in deroga e straordinaria non diventa occasione 
per istituire strumenti a carico della fiscalità generale, contributi 
pubblici a sostegno al reddito come per esempio il reddito sociale minimo, 
attualmente in discussione in Europa. Il reddito sociale minimo garantirebbe 
l’autonomia e la libertà di scelta, toglierebbe dalla ricattabilità del 
lavoro nero e dello schiavismo, permetterebbe a una generazione di compiere 
scelte non dettate dalla condizione economica della propria famiglia e di 
avviare un percorso di crescita formativa, professionale e di vita con una 
minima rete di protezione sociale.

3) i fondi configurano tutele diverse a secondo dei settori e non 
garantiscono le tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle imprese con 
meno di 15 addetti, essendo obbligatori solo al di sopra di tale soglia.



IL CONTRIBUTO DI LICENZIAMENTO

Dal 2013 il datore di lavoro all’atto del licenziamento per i rapporti a 
tempo indeterminato e per gli apprendisti, dovrà versare all’Inps mezza 
mensilità ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. 
Questa novità è probabilmente proposta a seguito della revisione 
dell'articolo 18 che renderà più facili i licenziamenti. Il contributo di 
licenziamento sostituirà i contributi oggi versati dalle aziende per la 
disoccupazione e la mobilità. Il lavoratore riceverebbe invece un indennizzo 
economico proporzionale all'anzianità di servizio deciso dal Giudice o da un 
arbitro scelto tra le parti. Il governo dovrebbe però rafforzare le tutele 
per i lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti, oggi escluse 
dall'articolo 18.



TUTELA DELLA LAVORATRICE MADRE

Nella riforma del mercato del lavoro c'é la norma contro le dimissioni in 
bianco, un turpe strumento spesso utilizzato da certi (im)prenditori a 
discapito delle lavoratrici perché non restino incinta. Si estende fino a 
tre anni di vita del bambino il “periodo di rafforzamento”, cioè il periodo 
in cui le dimissioni della lavoratrice madre o del lavoratore padre devono 
essere convalidate dal Ministero Del Lavoro.

1) con le previsioni contenute nel ddl la burocratizzazione è aumentata ed è 
tutta a
carico della lavoratrice, che comunque sarà ricattabile con la procedura 
prevista,
cioè l'obbligo, per la convalida delle dimissioni, della firma. Infatti la 
semplice apposizione di firma da parte del lavoratore in calce alla 
comunicazione del datore di lavoro di cessazione del rapporto per dimissioni 
volontarie o risoluzione
consensuale non è sufficiente a scongiurare la pratica delle dimissioni in 
bianco. A garanzia di chi lavora andrebbe esplicitato che il Ministero possa 
verificare, contestualmente all'invio della comunicazione, le modalità di 
data e veridicità delle dimissioni.

2) se il lavoratore non firma la dichiarazione di dimissioni evidentemente 
non vi è la volontà, e pertanto il rapporto di lavoro non può considerarsi 
“risolto”, con una penalizzazione per il lavoratore che manifesta l'abuso 
con la non sottoscrizione della comunicazione di risoluzione.

3) va chiarito che la non sospensione della prestazione di lavoro da parte 
della lavoratrice o lavoratore che non hanno sottoscritto la comunicazione 
di risoluzione o dimissioni rende nullo l'effetto sospensivo e comporta 
l'automaticità della comminazione di pena per la falsa dichiarazione al 
datore di lavoro

4) andrebbe chiarito che non solo le dimissioni o risoluzione sono prive di 
effetto ma nel periodo pregresso non agisce l'effetto sospensivo

5) il reato per falsa dichiarazione di dimissioni volontarie o risoluzione 
consensuale va assimilato al licenziamento illegittimo con le relative 
conseguenze, e l'ammenda sanzionatoria va chiarito che è aggiuntiva. 
Altrimenti la falsa dichiarazione che maschera un tentato licenziamento 
sarebbe punita con una penalizzazione inferiore a quella prevista per 
analogo illecito: in un caso infatti avremmo la semplice ammenda e 
sospensione della risoluzione nell'altro indennizzo e reintegro. La 
progressività dell'ammenda a discrezionalità della Direzione territoriale 
del lavoro non è giustificabile dal momento che il reato/abuso commesso è il 
medesimo.

6) le sanzioni attualmente previste, da 5 a 30 mila euro, sono ancora troppo 
basse, e le organizzazioni sindacali hanno chiesto che siano raddoppiate, 
oppure che si preveda la disciplina del licenziamento discriminatorio



Si intendono poi favorire le varie forme di baby-sitting, prevedendo l’introduzione 
di voucher di cui la lavoratrice madre potrà usufruire in alternativa al 
facoltativo periodo di maternità.

1) questa “riforma” ha l’evidente obiettivo di spingere le donne lavoratrici 
a tornare subito al lavoro, ottenendo “in cambio” per 11 mesi dei voucher 
per la baby-sitter

2) I voucher comunque non compensano la carenza di servizi pubblici.

3) il testo è un passo indietro rispetto a tanti disegni di legge presentati 
in Parlamento e agli standard europei.

4) va cancellato il riferimento all'ISEE come indicatore della 
determinazione del numero e dell'importo dei voucher o servizi corrispettivi 
poiché attualmente la fruibilità del congedo parentale è un diritto 
universale che verrebbe sostituito da un'opportunità legata al reddito

5) I lavoratori iscritti alla gestione separata già pagano un contributo 
dello 0,72% per le prestazioni sociali (maternità, assegni familiari e 
malattia): sono fondi che ad oggi rimangono parzialmente inutilizzati. I 
requisiti per l’accesso a tali prestazioni devono dunque essere allargati e 
il trattamento deve essere uniformato a quanto previsto per i lavoratori 
dipendenti.


TUTELA DEI LAVORATORI PADRI

E’ reso obbligatorio il congedo di paternità, da utilizzare fino al 
compimenti dei 5 mesi di età del bambino, per un massimo di 3 giorni 
continuativi.

1) Difficile pensare che un tempo così limitato (3 giorni) favorisca «una 
cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno 
della coppia» come afferma la riforma. L'Europa chiede almeno due settimane 
di congedo obbligatorio per i neopadri, dunque i giorni di congedo paternale 
obbligatorio andrebbero
portati almeno a dieci in aggiunta al congedo obbligatorio maternale, in 
linea con altri
paesi europei.

2) già oggi molti contratti prevedono periodi superiori ai tre giorni per 
congedo paternale e quindi bisognerebbe specificare che sono aggiuntivi ai 
periodi già previsti dai CCNL.



TUTELA DEI DISABILI

Circa i soggetti disabili, al fine di favorirne l’integrazione nel mercato 
del lavoro, è previsto l’aumento del numero in rapporto ai lavoratori 
totali, ma sul punto il progetto di riforma è molto vago e poco preciso.



TUTELA DEI MIGRANTI

Rigurado ai lavoratori migranti, si prevede un aumento del tempo di 
disoccupazione necessario prima della perdita del permesso di soggiorno.



PENALIZZAZIONI PER I LAVORATORI AGRICOLI

Le misure contenute nel ddl lavoro mirano ad annullare i diritti 
previdenziali, assistenziali e contrattuali dei lavoratori agricoli e più in 
generale del lavoro stagionale. L’art. 11 estende l’uso dei voucher -da 
incassare alla Posta- a tutto il lavoro stagionale nel settore agricolo 
cosicché esso verrebbe considerato 'meramente occasionale' e i braccianti si 
ritroverebbero senza un contratto, senza un salario di qualifica e senza le 
tutele per la maternita'. Gli artt. 24-28 (mini-Aspi) comporteranno inoltre 
una riduzione media dell’indennità spettante al lavoratore fino al 30% 
rispetto a quella attuale. E il nuovo sistema di calcolo dei contributi 
figurativi comporterà un forte taglio della prestazione pensionistica se 
non, addirittura, il mancato raggiungimento al diritto della stessa.



LAVORATORI ANZIANI

1) Alle aziende spetta uno sgravio contributivo del 50% (fino a 18 mesi in 
caso di conferma) per le assunzioni a tempo determinato di lavoratori con 50 
anni di età anagrafica e disoccupati da oltre 12 mesi.

2) Dopo aver cancellato la mobilità e varato a dicembre 2011 un allungamento 
abnorme dell'età pensionabile, ora il governo Monti tenta di correre ai 
ripari istituendo un «contributo» per permettere i prepensionamenti.  Le 
aziende con più di 15 dipendenti potranno incentivare l’esodo di lavoratori 
che maturano i requisiti pensionistici entro 4 anni dal licenziamento, 
corrispondendo al lavoratore il trattamento di pensione, e dando all’Inps la 
contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti. Ma sembra difficile 
convincere un datore di lavoro a farsi carico per 4 anni del pagamento della 
pensione dei lavoratori, contributi compresi, in maniera del tutto 
volontaria.





CONCLUSIONE

La riforma degli ammortizzatori sociali, dunque, presenta numerose lacune, è 
sostanzialmente un’operazione di tagli del periodo di copertura e delle 
indennità, e non prevede neppure sostegno economico per tutte quelle figure 
che oggi non ne hanno diritto.

Questo disegno di legge Monti-Fornero serve in sostanza a quelle imprese che 
non hanno immaginazione né volontà tecnologica innovativa, e quindi puntano 
tutto sulla pura riduzione dell’occupazione e dei diritti. Così con l’art. 
18 si renderanno più liberi i licenziamenti riducendo il lavoratore a pura 
merce; non verranno aumentati i posti di lavoro, e sono stati mancati gli 
obiettivi che lo stesso governo aveva inizialmente dichiarato, che erano 
quelli della riduzione della precarietà: un modo davvero singolare di 
rispondere alla crisi!

Monti ha voluto imporre un ruolo residuale al sindacato, cancellando 
principi cardine della nostra Carta costituzionale, cercando di far passare 
l'idea che le forze sindacali non abbiano diritto a fare trattative. Ma per 
la rappresentatività che appartiene loro e per la consistenza degli 
interessi che rappresentano, i sindacati non possono essere messi al margine 
di un processo democratico: se si cancella il Novecento della giustizia 
sociale non si entra nel nuovo millennio, si torna solo all'Ottocento.

Del resto le tre parole chiave annunciate dal governo Monti – rigore, 
crescita, equità – sono state declinate con rilievo molto diseguale: tanto 
rigore per i più poveri, poca crescita e scarsa equità, e mentre i Mercanti 
si nutrono ben pasciuti nel Tempio, agli umili è lasciata invece la 
solitaria disperazione.

Il governo Monti deve voltare pagina, altrimenti è difficile vederne la 
differenza con chi l’ha preceduto. L’Europa di Merkel, Sarkosy e Monti, 
quella del rigore a senso unico verso i meno abbienti, dell’austerità di 
bilancio e della svalutazione del lavoro, ha portato l'eurozona alla 
depressione sociale, all'involuzione democratica e alla recessione con 
conseguente espansione del debito. Non era evidentemente “l’Europa sociale”, 
quella cui costoro facevano riferimento, non erano le solitudini, le 
fragilità, lo smarrimento di identità di chi rimane senza lavoro!

Ma “l’arroganza precede la caduta”, come è scritto nella Bibbia, e ora 
questa nera Europa è uscita pesantemente sconfitta in Francia come in 
Grecia, in Olanda come in Italia, e i tempi sono finalmente maturi per una 
svolta che metta al centro il sostegno alla domanda interna ed una crescita 
sostenibile, il riequilibrio dei rapporti di debito e di credito 
intra-europei, una revisione dell’impatto recessivo del Fiscal Compact, 
vincoli alla finanza, un’imposizione fiscale improntata alla giustizia 
sociale e un piano di politica economica e industriale in grado di difendere 
l’occupazione attraverso investimenti pubblici nei settori strategici, nella 
difesa del territorio e dell’ambiente, nella ricerca e nell’innovazione di 
prodotto e di processo.

Le forze politiche sinceramente democratiche e quelle di opposizione sono 
ora chiamate ad un  energico impegno in Parlamento per modificare in modo 
sostanziale questa “riforma” del lavoro, facendo valere il proprio nuovo 
peso elettorale per non lasciare che lavoratrici e lavoratori vengano 
travolti da un’ondata di licenziamenti, da una diminuzione delle tutele 
nella disoccupazione e da un aumento infernale della precarietà, riportando 
indietro di decenni la civiltà del lavoro.


Franco Pinerolo
12 Maggio 2012 

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